Incandescenze

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  1. Fini Tocchi Alati
     
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    INCANDESCENZE



    Il tempo rallenta fino a fermarsi.
    Lei è ancora davanti a me,
    sospesa nella sua disperazione,
    ma ora ha un nome.
    Io ho un nome, e inizio a ricordare.


    (strumm, Matmon)









    1
    MIRCEA


    «Qual è il nome del cane di Topolino?»
    «Uh, che cavolata!», esclamò Miriam, le mani all'insalata da lavare, gli occhi alla TV. Aveva sempre adorato i quiz televisivi, non se ne perdeva uno. «Caro, hai sentito? Vabbe' che è solo la seconda domanda, però...»
    Mircea, suo marito, allungato sul divano leggeva il Corriere dello Sport. Seduta a tavola, Laura, la loro bambina di sei anni, stava disegnando e riempiva il block notes del padre di prati verdi e cieli azzurri.
    «Si chiama... Pippo! Sì, si chiama Pippo».
    «Ma Pippo non era l'amico di Topolino?», chiese Mircea.
    «Hai ragione!», fece Miriam.
    «Si chiama Pluto, mamma», disse Laura.
    «Pluto? Ma che dici?»
    «Uno: Sansone», il presentatore iniziò a leggere le varie opzioni. «Due: Pippo».
    «Ecco lo sapevo: Pippo!»
    «Tre: Pluto. Quattro: Orazio».
    «Non è Pippo!», ribadì Mircea. «Mi sa che ha ragione la piccola».
    In quella squillò il telefono.
    «E ti pareva», disse Mircea. «Sempre quando stiamo per cenare. Rispondi tu?»
    Miriam alzò la cornetta.
    «Pronto?», disse allungando il collo per non perdere di vista la televisione. «Sì, è qui». Poi, al marito: «Mirci, è per te».
    «Ecco, lo sapevo», sbuffò il marito. Posò il giornale sul tavolo lasciandolo aperto in modo da non perdere il segno. «Ti ho detto mille volte di non chiamarmi con quel nomignolo», disse alla moglie prendendo la cornetta.
    «Uffa, come sei noioso», fece Miriam dandogli un bacio e correndo in cucina.
    «Pronto?», disse Mircea. «Miriam, puoi abbassare la televisione, non sento niente. Pronto? Chi è?»
    Aggrottò leggermente la fronte quando cominciò a udire un cupo mugolio.
    «Pronto? Non capisco niente, ma chi è?»
    La voce dall'altro capo del telefono divenne a poco a poco più chiara, distinta: era una specie di filastrocca.

    Ninna nanna, ninna oh,
    questo bimbo a chi lo do.



    «Ma si può sapere chi parla? Cos'è, uno scherzo?»

    Se lo do al gatto mammone,
    se lo mangia in un boccone.



    Dalla cucina si affacciò Miriam: «Era Pluto, aveva ragione Laura come al solito. Quando si tratta di fumetti... Ma chi è al telefono?»
    «Non lo so, deve essere uno stupido scherzo».
    «Riattacca, è pronto in tavola».

    Se lo do all'uomo nero,
    se lo tiene un anno intero.



    La filastrocca si interrupe, seguita da un ghigno perverso e da una risata grottesca. Mircea rimase immobile, la cornetta in mano, il viso pallido, gli occhi sbarrati per la sorpresa, immobilizzati in una smorfia di terrore.
    «Caro?»
    Miriam tornò a riaffacciarsi dalla porta della cucina. Mircea fissava il vuoto sopra l'acquario. Gli si avvicinò.
    «È successo qualcosa? Sei così pallido. Ti senti bene?»
    Lui trovò la forza di annuire.
    «Ma chi era al telefono?»
    L'uomo la guardò e sembrava continuasse a fissare il vuoto. Riuscì a scuotersi, sorrise e disse: «Nessuno».


    2
    MIRIAM


    «Mamma, mi racconti una favola?»
    Mentre Laura abbracciava forte Pimpy, il coniglietto rosa che le aveva regalato il papà, Miriam le rimboccava le coperte. Si sedette sul bordo del letto e le accarezzò il viso.
    «Una sola, però. D'accordo?»
    «Sì», rispose Laura dopo un pizzico di esitazione.
    «Quale?»
    «Cappuccetto Rosso».
    Aveva cominciato a piovere. Le gocce d'acqua picchiettavano contro il vetro della finestra e sembravano schiocchi di dita. Di tantro in tanto, attraverso la tenda rosa, si intravvedeva un bagliore lontano subito seguito da un rombo cupo. In casa erano accesi i termosifoni e si avvertiva un piacevole tepore.
    «C'era una volta, tanto, tanto tempo fa, una bambina».
    «Come si chiamava?»
    «Si chiamava Laura», disse Miriam e Laura rise. «Ma tutti la chiamavano Cappuccetto Rosso per via del cappottino con cappuccio rosso che aveva sempre addosso».
    L'abat-jour di Winnie The Pooh rischiarava la stanza, creando, in corrispondenza del comodino e del letto di Laura, un cono di luce al di là del quale prendeva consistenza il buio, vischioso come zucchero filato.
    «Un giorno Cappuccetto Rosso si recò dalla nonna. Prese una scorciatoia che passava per il bosco e chi incontrò?»
    «Chi?»
    «Il Lupo Cattivo».
    «Perché era cattivo?»
    Un fulmine caduto più vicino fece sussultare la lampadina dell'abat-jour che iniziò a tremolare a causa di un abbassamento della tensione. Il cono di luce si restringeva progressivamente, e propaggini del buio dal pavimento si avvicinarono al letto, risalirono le coperte e quasi toccarono Laura. Miriam diede un colpetto all'abat-jour che riprese a funzionare, costringendo i tentacoli neri a ritirarsi.
    «Il Lupo era cattivo perché voleva mangiare Cappuccetto Rosso».
    «Aveva fame?», domandò Laura.
    Miriam rimase interdetta a quella domanda: «Beh, sì, credo di sì», rispose.
    «E allora non era cattivo», disse Laura. «Voleva mangiare Cappuccetto Rosso solo perché aveva fame».
    Queste favole, pensò Miriam. Quando era piccola, le avevano sempre fatto paura: lupi, orchi, streghe. Altro che favole per bambini! Già. Ma allora perché si ostinava a raccontarle a Laura? Lei col tempo era cresciuta e aveva smesso di avere paura, ma Laura? Era solo una bambina, forse era ancora troppo piccola per le favole. Poi, però, sarebbe stata troppo grande, e allora non ci avrebbe creduto più.
    Il rombo di un tuono più forte la fece sussultare. Andò via la luce.
    «Mamma, ho paura», disse Laura.
    «Su, non è niente, è solo andata via la luce. Adesso torna. Dammi la mano».
    Afferrò la mano della figlia. Era fredda. Si chinò su di lei e pose le labbra sulla fronte.
    «Sei gelata. Hai freddo?»
    «No», disse Laura.
    Tornò la luce. Fu un attimo, l'attimo che separa il buio dalla luce. Miriam vide un volto, no, vide una maschera nera e il nero sembrava sciogliersi come miele. Fu solo un attimo. Come quando si fissa per alcuni secondi una lampadina e poi si chiudono gli occhi: i filamenti incendescenti rimangono ancora visibili perché impressi sulla retina. Oppure il volto di Gesù in quella rivista di enigmistica. Miriam lo ricordava bene: aveva fissato una specie di macchia per un minuto circa. Poi aveva chiuso gli occhi e aveva visto nitidamente il volto di Gesù. La chiamano "persistenza retinica". Le era parso un fenomeno curioso e si era informata. Così, in quel momento aveva visto una maschera nera, come se il buio non avesse fatto in tempo a ritirarsi al ritorno della luce, e si fosse impresso nella retina dei suoi occhi. Una questione di attimi. Incandescenze.
    «Mamma?»
    Miriam si scosse da una sensazione di inquietudine che l'aveva assalita, e guardò Laura con occhi sbarrati.
    «Mamma», disse ancora la bambina, «il Lupo Cattivo vuole mangiare anche me».
    Miriam si sforzò di sorridere: «Ma cosa dici, Laura? Qui nessuno ti farà del male. Ci siamo io e papà, no?»
    «Il Lupo Cattivo mi ha detto che è più forte di papà».
    «Non è possibile», disse Miriam. Vattene via da questa stanza! No, non andartene. Era combattuta dal desiderio di abbandonare la camera e dalla paura di lasciare Laura da sola.
    «Adesso è ora di dormire», disse sforzandosi ancora di sorridere. Si chinò sulla bambina e le diede un bacio sulla fronte. «Buonanotte, amore».
    «Buonanotte, mamma».
    Allungò la mano per spegnere l'abat-jour. Esitò.
    «Vuoi... vuoi che lasci la luce accesa?»
    «Sì», disse la bambina.

    Quando Miriam entrò in camera, erano le dieci passate.
    «Si è addormentata?», le domandò Mircea.
    «Ancora no».
    Si spogliò, indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte accucciandosi accanto al marito.
    «Abbracciami», gli disse.
    «Cosa c'è?», chiese Mircea stringendola forte.
    «Non dobbiamo più raccontare le favole a Laura».
    «Perché?»
    «Si impressiona. Laura, lo sai, è una bambina con molta fantasia, si crea nella mente strani personaggi».
    Mircea non disse nulla.
    «Sai? Ha voluto dormire con la luce accesa, proprio come te», disse Miriam.
    «Sarà un periodo».
    «Ma non ha mai avuto paura del buio».
    «Le passerà».
    «A te ancora non è mica passata», rise Miriam.
    «Già».
    Mircea si girò dall'altra parte. Stette un po' a fissare la radio-sveglia sul comodino.
    Miriam, come ogni notte, attese che si addormentasse. Poi, spense la luce.


    3
    LAURA


    Nella mia cameretta c'è un grosso armadio rosso e un letto dove io ci dormo insieme a Pimpy. Dalla finestra, quando è giorno, entra tanta luce e io sono contenta. La notte invece la luce non c'è. Per fortuna che c'è Winnie, sennò sarebbe tutto buio.
    Prima di dormire, la mamma viene e mi rimbocca le coperte. L'altra notte mi ha raccontato la favola di Cappuccetto Rosso.
    Cappuccetto Rosso era una bambina e la mamma dice che si chiamava come me, ma io non ci credo.
    Cappuccetto Rosso doveva portare una crostata alla nonna e disobbedendo alla sua mamma passò per il bosco dove incontrò il Lupo Cattivo.
    Qualche volta, il Lupo Cattivo entra in camera mia e dice che vuole mangiare anche a me come ha mangiato Cappuccetto Rosso. Solo che questo Lupo, a differenza dell'altro, è veramente cattivo perché vuole mangiarmi anche se non ha fame. Mi fa paura perché è colorato tutto di nero, come un lenzuolo. Allora io accendo la luce e lui se ne va.
    Ora che dormo con la luce accesa, lui non ha il coraggio di venirmi a prendere e se ne sta accucciato nell'angolo più buio della camera, dentro l'armadio dove ci sono i miei vestiti e le mie scarpe.
    Da lì mi parla e mi dice un sacco di cose.
    L'altra notte mi ha detto che papà nel suo comodino nasconde una bellissima pallina colorata che fa certi rimbalzi che le altre palline non fanno. Mi ha detto che se voglio posso andare a prenderla e giocarci.
    Ma io non l'ho fatto perché il papà non vuole che giochi con le sue cose.



    2
    MIRIAM


    Quella mattina, Miriam, mentre riordinava la cameretta di Laura, notò sulla scrivania un quaderno. Lo sfogliò. Sorrise leggendo i primi temi di Laura. L'ultimo che aveva scritto era intitolato: "La mia cameretta".
    «Nella mia cameretta c'è un grosso armadio e un letto dove io ci dormo insieme a Pimpy».
    Miriam provò una sensazione di inquietudine, proprio come l'altra notte. Dalla finestra aperta entrava aria e Miriam sentì freddo. La chiuse, la tenda rosa creò un po' di penombra. Pimpy parve animarsi e ovunque per la stanza, sul letto, sul pavimento, sulle pareti, Miriam vedeva fuggire le ombre degli uccelli che volavano fuori dalla finestra.
    Continuò a leggere.
    «... nel suo comodino nasconde una bellissima pallina colorata...», si arrestò. Una pallina? Non ne sapeva niente, eppure quel comodino era sempre lei a metterlo a posto. Ma cosa andava pensando? Erano solo fantasie di una bambina. Nient'altro. E se...
    Posò il quaderno e uscì dalla camera. Forse Laura aveva davvero rovistato nella loro stanza e aveva trovato una pallina o qualcosa del genere. Magari si era sentita in colpa per essere entrata senza permesso e adesso lo scriveva nel tema, quasi per alleggerirsi la coscienza.
    Entrò, raggiunse il comodino dalla parte del marito e aprì il tiretto. Toccò qualcosa, aveva una superficie liscia e dura. Era fredda. La trasse a sé. Sì, era una pallina: una grossa biglia rossa. Miriam afferrò la sfera e, non appena l'ebbe stretta, la porta della camera sbattè, come se fosse stata chiusa da un colpo di vento. Si era fatto buio. Stai calma, si disse Miriam. Non succede niente, è solo una pallina. Sentì qualcosa strisciarle sulle gambe come un serpente, no, come un lenzuolo umido che la stava avvolgendo velocemente. Urlò e d'istinto accese la luce dell'abat-jour. Ebbe l'impressione che quella cosa viscida si ritirasse.
    Uscì dalla camera e tornò in quella della bambina.
    Si sedette sul letto, con ancora un senso di angoscia che le bucava lo stomaco. Aveva in mano la pallina. La guardò. Era una semplice biglia, con una superficie liscia e lucente. Però c'era qualcosa di strano. Di solito, questi oggetti lucidi riflettono la luce come fossero veri e propri specchi. Quella biglia, invece, no. Anche se la metteva sotto la lampadina accesa dell'abat-jour, la pallina non rifletteva niente. Anzi. Al contrario sembrava che assorbisse la luce, come accade invece per le superfici opache. La luce andava a morire in quella pallina.
    D'un tratto, Miriam sentì un rumore. Proveniva dall'armadio rosso di Laura, sembrava ci fosse qualcosa rinchiuso dentro, un topo o un uccello. No, non è un animale. Miriam avvertì ancora una volta il bisogno di andarsene via dalla stanza, però la biglia nella sua mano le trasmetteva una certa tranquillità che non si sapeva spiegare. Si alzò e andò verso l'armadio. Afferrò l'impugnatura delle ante e rimase qualche secondo ferma, in ascolto. Niente, il silenzio era tornato a riempire la stanza. Aprì. L'armadio era vuoto. Non c'era nulla, neanche le cose di Laura. Però, anche se Miriam non vedeva niente, sentiva che c'era qualcosa. Era tutto buio, ma si trattava di un buio denso, viscoso, come miele. Non riuscì a resistere alla tentazione di allungare la mano e di toccarlo. Le sembrò che la mano penetrasse qualcosa di morbido e sensuale, di caldo, invitante. Quando la ritrasse, sulla mano erano rimasti appiccicati residui di buio che colavano come cera. Tornò a fissare il buio, e la maschera, quella maschera che qualche notte prima, durante il temporale, aveva avuto l'impressione di vedere, le si era materializzata davanti. Ora riusciva a distinguere due strette fessure, che dovevano essere gli occhi, e la base di un cuneo, forse la bocca. Nella profondità del cuneo comparvero file e file di denti aguzzi che ricordavano i denti di uno squalo. Un mostro, ecco cosa Miriam si trovava davanti. Come un vortice, si sentì risucchiare dal cuneo e in breve capì che il suo corpo, le braccia, le gambe, la testa, stavano svanendo, come se si sciogliessero nel buio.


    1
    MIRCEA


    La giornata in cantiere era stata dura, avevano dovuto gettare il cemento per le fondazioni e Mircea era stato costretto a impastare sabbia nella betoniera per tutto il tempo. Ora che tornava a casa a bordo della sua Fiat tentava di rilassarsi un po' ascoltando la musica di Goran Bregovic. Mentre canticchiava sotto le note di "Mesencina" ripensò a quella telefonata. Non ne aveva più ricevuto e aveva concluso che doveva trattarsi di uno scherzo. Non poteva essere altrimenti. Perché, però, proprio a lui? Come un flash gli tornò in mente quella notte.
    La roulotte era vuota. Il vecchio Adrian se ne era andato senza dire nulla e senza lasciare tracce di sè. Sul pavimento, Mircea, che allora era un bambino di neanche dieci anni, aveva trovato un quaderno e una biglia rossa. Sulla prima pagina era scritto:
    "IL rito per sconfiggere Matmon, l'Uomo Nero".
    Non si era fatto troppe domande, aveva recuperato una candela e una sua fotografia. Aveva raggiunto la sua roulotte, svuotato l'armadio dei vestiti. Aveva acceso la candela, si era spogliato ed era entrato nell'armadio con la biglia, la fotografia e un pennarello nero. Aveva chiuso le ante e si era fatto il buio. Aveva iniziato a colorare la fotografia, mantenendo la biglia tra le cosce. Improvvisamente, dalla sua bocca erano uscite parole di una lingua sconosciuta. Aveva avuto la sensazione che il buio all'interno dell'armadio fosse divenuto più denso, avesse assunto una certa consistenza. Al contrario aveva sentito il proprio corpo alleggerirsi. Si era guardato e aveva avuto l'impressione che il buio si stesse appiccicando alla pelle. Aveva sentito un ghigno, poi una risata grottesca. E si era spaventato. Inavvertitamente aveva urtato la candela. La fiamma aveva dapprima attaccato la carta messa lì per proteggere i vestiti dalla polvere, poi l'armadio, fatto di vecchio compensato che non aveva tardato a prendere fuoco. In breve tutta la roulotte era stata avvolta dalle fiamme. Ricordava solo che era stato salvato dal padre e che per poco non era morto bruciato vivo.
    Col tempo Mircea aveva rimosso l'episodio.
    E ora aveva ricevuto quella telefonata. Anche le paure della bambina, così improvvise, non erano normali.
    Mircea cercò di scrollarsi di dosso quei cattivi pensieri. Era venerdì, diavolo! Lo aspettava un week-end di assoluto relax. Una volta a casa, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato tagliare l'erba del prato, sennò chi la voleva sentire Miriam!
    Si fermò a un distributore di benzina e si fece riempire una tanica.
    Quando rientrò in casa provò un paio di volte a chiamare la moglie:
    «Miriam!», ma Miriam non rispose.
    Laura era dalla nonna, ma Miriam doveva essere già rientrata, il venerdì lavorava sempre mezza giornata, beata lei.
    Andò in camera a cambiarsi: la stanza era completamente al buio. Provò ad accendere la luce, ma non funzionava. Deve essersi fulminata un'altra volta. Il buio lo metteva a disagio. Accese l'abat-jour. Che strano, pensò, qualcuno ha rovistato nel mio cassetto.
    «Miriam, sei qui?»
    Indossò la tuta e uscì dalla camera. Mentre stava però per scendere le scale sentì un ruomre provenire dalla camera di Laura.
    «Miriam, sei tu?», disse affacciandosi alla porta della stanza.
    Ma Miriam non c'era. Anzi, non c'era proprio nessuno. Diede un'occhiata in giro, fece per uscire. In quella, notò qualcosa per terra.
    «No-non è possibile», mormorò. Cominciò a sentire freddo.
    «Mi-Miriam!», gridò, ma Miriam ancora una volta non rispose.
    Guardò l'armadio: le ante erano socchiuse. Aveva la sensazione terribile che qualcosa vi fosse chiuso dentro.
    Temette di capire cosa era successo.
    Un senso di rabbia, misto allo sconforto, si impadronì di lui. Perché? Perché quel mostro era tornato a tormentare lui e la sua famiglia? Aveva creduto, sperato, di averlo sconfitto, di averlo distrutto per sempre. Credeva che quella telefonata, le paure della bambina fossero solo un caso, uno scherzo del destino. Ma si era sbagliato. Matmon era tornato, insaziabile di vite umane, come era sempre stato. In quel preciso momento capì che non avrebbe mai potuto sfuggirgli e prese la sua decisione.
    Uscì dalla stanza, scese le scale di corsa. Raggiunse la macchina, si svuotò la tanica di benzina addosso. Quindi tornò di sopra, prese una foto e una candela. Entrò in camera di Laura, si spogliò, afferrò la biglia ed entrò nell'armadio. Tirò le ante a sé.
    Quella biglia. Erano trascorsi anni, ma provò ancora la stessa sensazione di calore, di quiete che gli era sempre rimasta impressa. La posò tra le cosce e iniziò a colorare la fotografia. Non ci volle molto. In breve il buio si mostrò. Ma non il buio solito, privo di consistenza, etereo. Il Buio, quello vero, denso, pesante, opprimente.
    Sentì una voce.
    «Mircea».
    Era una voce cupa, vischiosa come il buio che aveva iniziato ad avvolgerlo. «Da quanto tempo! Credevi che mi fossi dimenticato di te?»
    Mircea udì strane parole uscire dalla sua bocca, come quella volta di tanti anni fa, quando era ancora solo un bambino. Le membra, il viso, gli occhi, i capelli e tutto il corpo iniziavano a impregnarsi di quel buio che gli stava entrando dentro, costringendolo a dissolversi, lui e la sua anima, i suoi ricordi, le sue emozioni.
    Capì allora che era il momento. Prese la candela e si diede fuoco. In breve il suo corpo divenne una torcia umana. Sentì Matmon urlare, maledirlo. Sentiva che lo stava sconfiggendo, una volta per tutte, definitivamente. E mentre il buio straziato gridava, Mircea iniziò a ridere. Prima di perdere completamenmtge coscienza, ripensò a Miriam e a Laura un'ultima volta.


    0
    LAURA


    «Come si chiama questo bel coniglietto?»
    «Pimpy! Si chiama Pimpy».
    Una donna sta giocando con Laura mentre alcuni pompieri finiscono di spegenere l'incendio che ha divorato la casa. I vicini accorsi non si spiegano come sia potutto succedere. Laura non sa cosa è successo e forse, anche se lo venisse a sapere, non potrebbe capire.
    La nonna si intrattiene con alcune persone, parla e piange. Come farà adesso da sola con la bambina? Deve farsi forza, deve farlo per Laura.
    «Laura», le dice trattenendo le lacrime, «vuoi dormire dalla nonna questa notte?»
    «Mamma e papà dove sono?», chiede Laura e la nonna pensa che no, non riuscirà a farcela.
    «Sono a lavoro», risponde sorridendo. «Faranno tardi».
    «Posso portare anche Pimpy?»
    «Certo, tesoro. Certo che puoi».
    La nonna le dà la mano e Laura, Pimpy in braccio, si incammina verso la macchina.
    «Aspetta, aspetta!», dice alla nonna prima di entrare.
    Proprio sotto il marciapiede ha notato qualcosa. Si avvicina, l'afferra. Non ha mai visto una biglia così bella!




    F I N E

     
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