Losco Figuro
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Ritorno a casa
Il nero manto celeste era cosparso di stelle come sciami di lucciole disperse nell'immenso. Hans si mosse più in avanti per avere una visuale migliore e poterla osservare: una sfera multicolore simile a una gemma dai riflessi blu su un drappo di velluto nero. La Terra. La loro missione stava finalmente per giungere a compimento, e di lì a breve sarebbero rientrati nell'atmosfera per poi tornare al pianeta da cui mancavano da tempo. Era il 21 di Dicembre. Anche considerando i tempi necessari per le attività successive al rientro, questo significava che lui e il resto dell'equipaggio avrebbero potuto festeggiare il Natale del 2012 in famiglia, invece che doversi accontentare di cibi sottovuoto e brindisi in assenza di gravità. Il modulo di rientro stava per disporsi in orbita geosincrona, l'ultima fase necessaria prima della discesa, e di lì a poco avrebbe dovuto esserci il contatto radio con la base. Neanche i suoi pensieri l'avessero evocato, l'altoparlante prese a gracchiare: «Diana IV qui Controllo Missione, mi ricevete?» «Casa!» esclamò una voce dall'interno della cabina di comando. Hans sorrise e si avvicinò alla consolle. «Roger Controllo Missione, vi riceviamo forte e chiaro. Siamo pronti a iniziare le procedure di rientro.» «Negativo, Diana IV.» A quelle parole l'astronauta sentì un tuffo al cuore. Si volse a guardare il resto dell'equipaggio, che gli restituì una serie di sguardi attoniti e preoccupati «Restate in orbita, ci sono delle difficoltà al momento.» «Che genere di difficoltà?» «Nulla di preoccupante, solo una lieve attività sismica nella zona dell'ammaraggio. Dovrete ritardare il rientro di un paio d'ore.» Un paio d'ore non sembravano niente di intollerabile, tanto che fu quasi sollevato sentendo la spiegazione. «Ricevuto Controllo Missione. Attendiamo ulteriori istruzioni», disse nel microfono, per poi rivolgersi ai suoi compagni di viaggio. «Avete sentito? Dovremo restare quassù qualche ora in più del previsto.» Anna, l'unica donna della missione, si strinse nelle spalle, anche se il gesto risultò quasi invisibile nella tuta che indossava. «Dopo tutti i mesi a galleggiare nello spazio, non saranno un paio di ore a rovinarci la festa», asserì. «Parla per te, io mi immaginavo già a casa», replicò Carl, il tecnico di bordo, mentre armeggiava con dei comandi sulla consolle delle comunicazioni. «Che stai facendo?» gli domandò Hans. «Cerco una stazione radio per passare il tempo, ce ne dovrebbe essere qualcuna che... ah... ecco.» Dall'altoparlante, frammiste ai fruscii della statica, si potevano in effetti sentir giungere le note di una qualche canzone che non sembrava nulla di riconoscibile. Del resto era probabile che la scena musicale fosse cambiata da quando erano partiti, non c'era di che stupirsene. Carl manovrò ancora un po' finché non riuscì a isolare quasi del tutto la frequenza, riducendo al minimo il rumore di fondo. Sorrise, poi si avvicinò ad Anna tendendole una mano. «Vuoi ballare?» «Con te no, grazie», replicò lei, ricambiando però il sorriso. «Su, non fare la musona!» Lui le prese con gentilezza una mano e la tirò appena a sé. In quel momento, la musica cessò. «Visto? Non è destino», lo canzonò lei mentre un annunciatore si prodigava a illustrare le incredibili proprietà di un detersivo per lavastoviglie. «Se proprio dobbiamo ascoltare la radio, almeno cerca un notiziario», si intromise Hans. «Magari riusciamo a sapere qualcosa sulla situazione sotto di noi invece di dover aspettare che ci richiamino.» «Agli ordini capo!» rispose il tecnico, ricominciando a lavorare sulla consolle. Dopo vari tentativi, qualcosa che assomigliava a un radiogiornale iniziò a potersi udire tra il brusio generale. Quando però Carl riuscì a sintonizzare meglio la stazione e fu possibile udire le parole dello speaker, i tre rimasero raggelati. «... che riceviamo dalle postazioni del Pacifico sono allarmanti. Si parla di onde alte più di quindici metri, mentre il sisma che da questa mattina sta colpendo l'intera area degli Stati Uniti sembra crescere di intensità di minuto...» «Ma che sta succedendo?» Anna diede voce ai pensieri di tutti. «Spegni, provo a chiamare la base», disse Hans di rimando mentre iniziava una comunicazione. «Controllo Missione, qui Diana IV, mi ricevete?» Alcuni secondi passarono lenti. «Non rispondono», commentò Carl. «Me ne sono accorto. Controllo Missione, qui Diana IV, mi ricevete?» ripeté Hans. «Roger Diana IV, vi riceviamo.» Carl e Anna tirarono un simultaneo sospiro di sollievo. «Che sta succedendo là sotto? Abbiamo sentito alla radio...» «La situazione è più complicata del previsto Diana IV. Vi daremo notizie appena possibile, chiudo.» «No, un momento! Ci lasciate così?» si intromise Carl, ma dall'altra parte non vi fu alcuna ulteriore risposta. Hans tornò all'oblò, in silenzio. Quella che fino a un istante prima gli era sembrata una vista magnifica, ora gli infondeva una sottile angoscia, da un lato perché il pianeta che gli era parso ormai tanto vicino si era all'improvviso trasformato in una meta irraggiungibile, dall'altro per il pensiero di ciò che stava accadendo e di quanto impossibile fosse per loro essere d'aiuto. Tale era la sua preoccupazione che ebbe l'impressione di poter quasi vedere i continenti tremare sotto il suo sguardo. «Porca troia!» La colorita espressione di Carl alle sue spalle lo costrinse ad abbandonare il filo dei suoi pensieri e osservare meglio la scena che aveva dinnanzi. Non c'era stata alcuna impressione o gioco di luci, le masse emerse davanti a lui si stavano davvero muovendo al punto tale che il loro tremore era visibile a occhio nudo. Sotto i loro sguardi attoniti, un pezzo di Florida si separò dal continente principale diventando in pochi istanti un'isola a sé. «Ma non è possibile!» sbottò ancora Carl, mentre lui si precipitava di nuovo alla consolle. «Controllo Missione qui Diana IV, mi ricevete?» Niente. «Controllo Missione qui Diana IV, rispondete!» Solo la statica fece eco alle sue parole. «Controllo Missione qui Diana IV, rispondete per la miseria!» «Lascia perdere, vieni a vedere!» lo richiamò Anna, che intanto si era avvicinata a sua volta all'oblò. Hans la raggiunse, anche se la sua mente rimase alla comunicazione mancata. A terra erano semplicemente troppo impegnati per rispondergli, o avevano dovuto abbandonare la base? E c'era ancora una base? Si fece largo tra i compagni per ricavare un pezzetto di oblò da cui guardare, e subito capì che, se così era, non ci sarebbe stata ancora a lungo. Al centro dell'Oceano Pacifico era ora visibile un immane gorgo, come se qualcuno avesse tolto un tappo dal fondo. L'analogia divenne ancora più calzante quando fu possibile notare che le acque si ritiravano a vista d'occhio, denudando le coste che fino a poco prima avevano lambito. Bastarono pochi istanti perché l'azzurro che occupava la maggior parte del globo scomparisse del tutto, lasciando al suo posto solo roccia, sabbia... e un'immensa crepa lungo quello che un tempo era stato il fondale dell'oceano, scura, frastagliata e lunga quanto l'intero continente americano. «Non è possibile, deve essere un sogno», mormorò Carl incredulo. Hans avrebbe voluto potergli dare ragione, ma era sicuro di essere fin troppo sveglio. Il suo sguardo non si distoglieva per un attimo da quell'assurda ferita sul pianeta, quasi ne fosse calamitato, e probabilmente fu il primo a vedere la luce che iniziava a sprigionarsene. Il suo primo pensiero fu che il magma del nucleo stesse erompendo da quello squarcio, eppure si rese conto che qualcosa non tornava, anche se sul momento non riusciva a capire cosa. Quando la vampata bianca fu del tutto visibile, fu come se la luce fosse penetrata anche nella sua mente. Il magma avrebbe avuto bagliori rossi, nulla che potesse assomigliare al cuneo di un bianco abbagliante che stava emergendo dalla spaccatura. Ormai nessuno dei tre aveva più parole. La luce continuava a espandersi, e sebbene fosse luce era solida al tempo stesso, come dimostrava il fatto che al suo passaggio la crepa si allargasse e – per impossibile che ciò potesse apparire – la Terra si dividesse sempre più in due metà. E la luce pareva avere... un volto? No, non proprio, aveva dei lineamenti ma non quelli di un volto umano, sembravano più le linee morbide e ricurve del muso di un rettile o un uccello. E gli altri archi luminosi comparsi all'improvviso a fianco del primo, ripiegati verso i margini della crepa, non sembravano forse... artigli? Poi, di colpo, il pianeta si spaccò del tutto, dapprima in due e poi in una miriade di frammenti, e la cosa emerse in tutto il suo splendore, uno splendore tale che non fu possibile distinguere altro, tale da precipitare l'intero equipaggio in una beata incoscienza.
Quando Hans riaprì gli occhi, l'idea di aver sognato non gli appariva più così remota. Anna e Carl erano a terra accanto a lui, ma già si stavano riprendendo. La prima cosa che fece fu correre all'oblò. La Terra era davanti a lui, come sempre. Era avvolta da un manto di nubi, ma riusciva a vedere il blu delle acque attraverso le rade aperture. «Controllo Missione qui Diana IV, mi ricevete?» Carl stava provando a contattare la base, ma rinunciò subito, senza neanche un secondo tentativo. «Che succede?», gli domandò. «Le apparecchiature sono fuori uso, siamo senza comunicazioni.» «Dobbiamo rientrare» esclamò lui. «Cosa?» «Procedura di rientro manuale, non possiamo rimanere qui, dobbiamo capire cosa è successo.» «Allucinazione collettiva?», domandò Carl «Perché avete visto anche voi quella... cosa... che...» Anna si limitò ad annuire, e così fece lui. Non voleva dare forma alle parole che avrebbero potuto descrivere gli eventi, che avrebbero potuto renderli reali. «Procedura di rientro manuale» si limitò a ripetere.
Non fu semplice, ma il modulo rientrò nell'atmosfera terrestre, ritrovandosi immerso nelle nubi. Gli strumenti erano muti e ciechi. Sotto di loro si estendevano l'oceano e la terra. La terra, ma non la Terra. Non era l'America quella che stavano sorvolando, neppure le somigliava. Eppure c'erano valli, monti, piante... c'era tutto quello che ci doveva essere, ma non come avrebbe dovuto esserci. E c'erano... Creature. Creature che forse in un lontano futuro sarebbero state (di nuovo?) umani, ma che adesso brandivano armi improvvisate puntando occhi e dita al cielo verso la capsula di cui non comprendevano la natura, osservandola, Hans poteva quasi percepirlo, con un misto di timore e meraviglia, quasi fosse stata una manifestazione divina. Una manifestazione divina. Era a questo che avevano assistito? Non del Dio adorato in chiese e moschee ma di qualcosa di antico, che aveva atteso centinaia di migliaia di anni o forse più per venire alla luce? Che aveva... cosa? ... assicurato la sua discendenza allo stesso modo in cui un tempo qualcuno... qualcosa... doveva aver fatto per lui? Il modulo scendeva, rallentato dai sistemi di sicurezza che avrebbero attutito l'impatto col suolo, e gli ominidi di sotto già si inchinavano ad adorarlo. Hans li guardò chiedendosi cosa avrebbero fatto una volta che fossero giunti a terra. Domandandosi se, un giorno lontano, qualcuno avrebbe visto un suo rozzo ritratto sulla parete di una caverna e si sarebbe chiesto come fosse possibile che un uomo preistorico avesse tracciato sulla pietra le forme di un astronauta.
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