Il mistero delle vergini morte
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Il mistero delle vergini morte

D. Picciuti (grotesque fantasy - 20000 car.) circa

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  1. Daniele_QM
     
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    Stavolta posterò io un racconto del Circo Massimo. Ho solo lievemente rielaborato l'incipit, che presentava un piccolo contrasto col proseguo della storia.

    IL MISTERO DELLE VERGINI MORTE

    - 1 -



    Crocifissa non aveva mai avuto un uomo, almeno non nel senso che intendeva sua madre. Lei le aveva sempre detto che gli uomini erano come i lupi, affamati e insaziabili e di loro non ci si poteva fidare. Crocifissa capiva cosa volesse dire, ma cercava di non darle ascolto.
    A Ponte Spaccato, dove loro vivevano, non c’erano molti maschi interessanti, la maggior parte erano fabbri, muratori, contadini, falegnami e artigiani e nessuno aveva meno di cinquant’anni. Certo, c’erano i ragazzi, i figli di fabbri, muratori, contadini, falegnami e artigiani, ma erano partiti che non la interessavano e poi sua madre non avrebbe approvato. Dopo la morte di suo padre, che di mestiere faceva il fabbro, si era vista costretta a promettere di non sposarsi mai, a meno che non le avesse chiesto la mano qualcuno di nobile famiglia.
    Per fortuna, pensò mentre un sorriso le affiorava sulle labbra, sua madre non conosceva il suo segreto.
    Il freddo le penetrò nelle ossa e lei si strinse nello scialle di lana.
    Aveva fatto più tardi del solito alla merceria della comare Merletta e non era abituata a girare di notte nel villaggio.
    Mentre camminava a passo sostenuto sul lastricato della piazza, il suo sguardo scivolò sulle finestre delle case. Erano spente, come occhi addormentati, e pensò che le sarebbe piaciuto se almeno una di quelle finestre fosse accesa.
    Si sarebbe sentita meno sola.
    Uno scalpiccio di passi le fece fare un salto. Si voltò, ma non vide altro che la strada buia. Poi da dietro un abbeveratoio sgattaiolò via un piccolo cane, che corse nella notte senza nemmeno accorgersi di lei.
    Crocifissa tirò un sospiro di sollievo. Avrebbe avuto un argomento di conversazione di cui ridere con sua madre, una volta che fosse tornata a casa.
    Quando si girò per riprendere il cammino, una sagoma scura le si pose davanti, afferrandola per i capelli. Crocifissa fece per gridare, ma la bocca le venne tappata con un fazzoletto e il sogno di incontrare un giorno un nobile partito svanì per sempre.

    - 2 -



    La taverna del Nano Monco era l’unica di tutta Ponte Spaccato e non tanto perché gli abitanti non sentissero il bisogno di aprirne un’altra, quanto perché Monco, il nano proprietario del locale, non tollerava la concorrenza. Una volta un tizio di fuori si azzardò ad aprire una tavernetta da due soldi, nulla che potesse impensierire Monco, e tuttavia non passarono due giorni che un incendio polverizzò il locale del concorrente. Il poveretto andò di corsa da Cordoro, lo sceriffo del villaggio, il quale dopo una settimana di indagini fu costretto a chiuderle per insufficienza di prove, nonostante praticamente tutti sapessero chi era stato a giocare col fuoco.
    Da allora, per un tacito consenso delle parti, Monco aveva il suo piccolo monopolio e Ponte Spaccato aveva la sua taverna a prezzi modici.
    Quella sera a Monco non stava andando molto bene, nonostante fosse il giorno degli spettacoli dei saltimbanchi, che generalmente portava sempre molta gente, perciò quando vide entrare dalla porta due facce nuove, facce che non ispiravano nulla di buono, non fu per niente contento. D’altro canto, non era usuale vedere un mezz’orco e un mezz’elfo andarsene in giro insieme.
    Puntarono dritti verso di lui, ignorando sia i giocolieri che davano spettacolo tra i tavoli, sia il gruppo di avventori che tiravano ai dadi scommettendo perfino le mutande, sia la giovane odalisca che si esibiva in una danza del ventre sopra un cubo di cartapesta.
    - Idromele, oste! – berciò il mezz’orco, picchiando un pugno sul bancone.
    Monco grugnì qualcosa, restando immobile a fissarlo con aria di sfida.
    Essendo un nano, Monco aveva fatto installare una pedana alta cinquanta centimetri dietro al bancone in modo da essere alla stessa altezza di chi stava dall’altra parte. L’unico inconveniente era che non poteva avere alcun aiutante che non fosse un nano anche lui, ma essendo avido come pochi, non aveva questo problema. Pagava due soldi a qualche ragazzino del villaggio perchè lo aiutasse a portare da mangiare e da bere ai tavoli e tanto bastava. Il bancone era di sua esclusiva competenza.
    - Fammi vedere i soldi! – rispose cupo, la faccia nascosta dietro una barba rossa enorme e riccia.
    Il mezz’orco mutò la sua espressione in pura cattiveria e tirò fuori un coltellaccio dalla cintura, lungo almeno cinquanta centimetri.
    - Idromele... – ripeté, arricciando il grugno da mezzo maiale – oste!
    Monco ridusse gli occhi a due fessure, deciso a non cedere.
    Quello era il suo locale ed era lui a comandare.
    Il mezz’orco avvicinò il coltellaccio alla faccia del nano con intenzioni bellicose.
    - Boro! – lo richiamò il mezz’elfo, posandogli una mano sulla spalla. – Falla finita.
    Monco osservò quest’ultimo: capelli color paglia, occhi acqua di mare, pelle come neve sporcata dal fango, vestiva un’armatura nera e sottile e aveva l’aria di essere quello con più cervello.
    - Non dirmi di farla finita! – protestò l’altro, – questo nano infame non vuole darmi da bere!
    - Non è quello che ho detto, – precisò immediatamente Monco. – Ho detto che voglio vedere i soldi.
    Boro si girò verso il mezz’elfo.
    - Lo vedi?
    - E tu fagli vedere i soldi! – sbottò il compare, esasperato.
    Boro grugnì qualcosa e rinfoderò il coltellaccio. Frugò nelle tasche e lanciò sul bancone due monete.
    Monco tornò a rilassarsi e le afferrò, infilandosele in tasca. Poi versò l’idromele al mezz’orco.
    - E per te? – chiese rivolto all’altro.
    - Lo stesso. Ma se mi chiedi di farti vedere i soldi, ti infilzo come un maiale, quant’è vero che mi chiamo Lacero.
    Monco tacque. Lacero aveva negli occhi una luce strana, inquietante. Capì che non parlava a vanvera e versò l’idromele senza fiatare.
    I due compari tracannarono i loro bruciabudella, quindi ne chiesero dell’altro e poi dell’altro ancora. Monco versava e loro bevevano, lasciando ogni volta una moneta sul bancone. Andarono avanti così per un’ora, fino a quando la taverna non iniziò a svuotarsi e le loro bocche canterine divennero insopportabili.
    Avevano una voce terribile, sembravano due cinghiali appesi a un albero sul punto di essere macellati e forse era questo il motivo principale per cui gli avventori si defilavano prima del solito, scoccando severe occhiatacce al nano.
    A un certo punto, mentre l’esibizione canora giungeva al suo insopportabile culmine, l’odalisca che fino ad allora si era esibita nella danza del ventre, saltò giù dal suo cubo e andò dritta verso di loro con aria battagliera.
    - Volete piantarla, voi due? – sbraitò, piazzandosi di fronte a Boro, che tra loro era quello che faceva più chiasso. – Sto perdendo tutti i clienti per colpa vostra!
    Il duo smise di cantare, sopraffatto dallo stupore per l’inaspettata aggressione.
    - Come? – Fu Boro a parlare, gli occhi grossi e molli piantati sugli immensi seni dell’odalisca, che ballonzolavano a ogni suo movimento.
    - Il mio spettacolo! – ripeté lei, infuriata. – Lo state rovinando!
    Boro l’afferrò per un braccio e la tirò a sé.
    - Nessuno mi parla in questo modo! – esclamò, fissando negli occhi la donna più che potè, finché fu sopraffatto dagli ormoni e li lasciò scivolare nuovamente su quei seni prosperosi, coperti appena da un costumino di quattro taglie più piccolo.
    Lacero si mise dietro di lei e a un tratto l’odalisca capì che forse aveva esagerato.
    Spinosa, questo il suo nome, era fatta così. Era considerata da tutti una donna dal carattere difficile, che quasi nessun uomo riusciva a sopportare, ragion per cui era ancora senza marito. Tuttavia, per la stessa ragione poteva permettersi di fare il mestiere che faceva senza rischiare di essere abbordata da tutti con la pretesa di una notte d’amore.
    A Ponte Spaccato tutti la conoscevano e di stranieri ne capitavano sempre pochi, cosicché a volte, lei stessa non si rendeva conto di quali fossero i suoi limiti.
    Venne afferrata e trascinata via dal mezz’orco, mentre Lacero ridacchiava tranquillo col suo settimo boccale di idromele in mano. Boro la portò fuori dal locale a forza, toccandola dove capitava, ottenendo scalpiti e strilli.
    Monco era attonito. Nessuno nella taverna osava intervenire.
    Ponte Spaccato era un piccolo villaggio e non c’erano molti eroi tra fabbri, muratori, contadini, falegnami e artigiani. Anzi forse non ce n’erano proprio.
    Avrebbe dovuto correre ad avvertire lo sceriffo, ma era assai probabile che Cordoro non fosse in ufficio, il che significava dover prendere un cavallo e galoppare fino alla sua casa al di là del ponte sul fiume, ai margini del villaggio.
    Monco afferrò l’ascia che teneva nascosta sotto il bancone e corse verso l’uscita, intenzionato a fare qualcosa. Fu afferrato per le spalle e proiettato lontano. Atterrò su un tavolo, che si spaccò sotto il suo peso.
    Si rialzò furibondo ma prima che potesse rendersene conto si ritrovò una spada puntata alla gola.
    Lacero lo fissava con sguardo cattivo.
    - Non le farà niente – disse, per nulla convincente. – Lascia che i piccioncini si divertano.
    Le urla da fuori costrinsero entrambi a voltarsi, poiché non erano urla da donna.
    Lacero scattò verso l’uscita e una volta fuori si ritrovò di fronte uno scenario che non si aspettava: un cavaliere in armatura d’argento stava dritto con un enorme spadone in pugno di fronte a Boro, che grondava sangue a qualche passo di distanza, mentre l’odalisca era a terra tremante di paura.
    Il cavaliere avanzò con passo lento e sfrontato e il mezz’orco non fu da meno, caricandolo con un ruggito di battaglia e la mazza ferrata in mano.
    Il cavaliere schivò il colpo di Boro ruotando su se stesso, poi alzò lo spadone sopra la testa e lo abbatté pesantemente sulla schiena del mezz’orco, squarciandola in due.
    Lacero, che non era stupido come il compagno, rinfoderò la spada e corse via, perdendosi nella notte.
    Il cavaliere aiutò Spinosa a rialzarsi, offrendole il suo mantello per coprirsi, quindi venne verso la soglia della locanda, mostrando il suo volto a Monco, che aveva assistito attonito a tutta la scena. Era un giovane di bell’aspetto, biondo e con due occhi azzurri che sembravano emanare luce al sol guardarli.
    - Potete aiutare questa donna?
    Monco annuì.
    - Certo. Voi chi siete?
    - Fierbaldo di Torre Bigia – rispose con un inchino. – Per servirvi.

    - 3 -



    Il giorno dopo, in piazza del mercato non si faceva altro che parlare di due cose. Una era il ritrovamento del corpo senza vita della povera Crocifissa, che aveva gettato nello sconforto sua madre e il villaggio intero; l’altra era l’uccisione del mezz’orco da parte del prode Fierbaldo, che aveva già rapito i cuori di molte fanciulle.
    Quella mattina, Monco accompagnò Fierbaldo nell’ufficio dello sceriffo, al quale avevano sporto denuncia nei confronti del mezz’elfo, che si era dato latitante, per complicità in aggressione ai danni della povera Spinosa.
    Cordoro, che nonostante la mezz’età, aveva la faccia di un ragazzino con pochi capelli in testa, ascoltò ogni parola in silenzio, arrivando infine a trarre le sue conclusioni.
    - Devono esser stati loro a uccidere la povera Crocifissa. Se uno è scappato, è possibile che le nostre ragazze corrano tutte dei grossi pericoli. Emetterò subito un’ordinanza da affiggere sui muri. Per una settimana ci sarà il coprifuoco e nel frattempo daremo la caccia a quel vile.
    Fierbaldo annuì a ogni parola dello sceriffo e alla fine Monco gli rivolse una domanda che gli frullava in testa già da un po’.
    - Possiamo contare sul vostro aiuto per catturarlo?
    Il volto del cavaliere s’illuminò.
    - Naturalmente! – rispose come se avesse imparato a memoria quella parte. – Il mio coraggio e il mio onore sono al servizio vostro e di questa povera gente, così come la mia lama.
    - Alloggerete da me, a mie spese, – gli assicurò il nano, sotto lo sguardo cupo di Cordoro, che sembrava non gradire molto quell’iniziativa. – La camera dove avete dormito stanotte era di vostro gradimento?
    - Certamente! – annuì Fierbaldo, riservando poi la sua attenzione allo sceriffo. - Se per voi va bene, vorrei fare un giro per rendermi conto dei possibili nascondigli di quel farabutto.
    - Non pensate che ormai sarà lontano? – domandò Cordoro, perplesso. – Immagino che dovremo cercare le sue tracce fuori del villaggio ormai.
    - Un mezz’elfo non scappa mai – sentenziò Fierbaldo, cupo. – Se lo fa, è sempre per tornare a compiere la sua vendetta.

    - 4 -



    Violata viveva da sola da ormai troppo tempo, cioè da quando suo marito era morto in casa, una sera di qualche mese addietro.
    C’erano state delle indagini e alla fine lo sceriffo aveva appurato che il poveretto era scivolato sul pavimento bagnato dai residui di pioggia e aveva battuto violentemente la testa sullo spigolo del caminetto, restandoci secco.
    Violata non aveva tenuto il lutto molto a lungo, forse perché le cose con suo marito non andavano bene da tempo e non aveva sofferto granché la sua perdita. Naturalmente di fronte alla gente era costretta a recitare la parte della vedova inconsolabile, sacrificio necessario se voleva evitare sgradevoli pettegolezzi sul suo conto.
    Aveva trascorso la giornata al mercato, ascoltando le voci sui due tragici eventi della nottata e quando finalmente rientrò a casa con la spesa, non fu del tutto sorpresa di ritrovarsi una mano sulla bocca e una lama puntata nella schiena.
    - Se urli ti ammazzo.
    Violata restò di pietra.
    - Ora tolgo la mano, ma non devi urlare. Hai capito?
    Lei annuì.
    La mano fu ritratta e lentamente lei si girò, ritrovandosi a fissare il mezz’elfo di cui tanto si vociferava per strada.
    Aveva un aspetto truce e gli occhi magnetici.
    - Cosa... cosa volete da me?
    - Ospitalità – rispose lui, tranquillo. – Se non mi tradisci, ti lascerò vivere. In caso contrario...
    Non aggiunse altro, limitandosi a mostrarle la lama del suo pugnale, che brillava così forte da incutere paura.
    - Va bene – disse lei, calma. – Ditemi cosa volete e lo farò.
    Lacero annuì soddisfatto. Era proprio quello che voleva sentire.

    - 5 –



    Il cadavere di Spinosa fu ritrovato quella sera stessa dagli uomini di Cordoro. Non che lo sceriffo avesse dei veri e propri soldati al suo servizio, ma a turno gli uomini di Ponte Spaccato prestavano il loro aiuto nelle ricerche. In questo caso particolare, aveva voluto l’aiuto di tutti quelli che potevano rendersi disponibili, poiché la caccia al mezz’elfo era una priorità assoluta.
    La povera donna era stata sgozzata, esattamente come la prima vittima.
    In breve tempo nel villaggio prese forma l’ipotesi che il mezz’elfo fosse un maniaco che uccideva le giovani vergini. Se c’era una cosa che tutti sapevano in quel fazzoletto di mondo infatti, era che sia Crocifissa che Spinosa non avevano mai avuto un uomo in tutta la loro vita.
    Verso mezzanotte le ricerche si interruppero, con l’aspettativa di riprenderle il giorno dopo.
    Mentre tornava alla locanda, Fierbaldo notò un’ombra sospetta aggirarsi in strada, nonostante il coprifuoco.
    La seguì silenziosamente, invisibile come un fantasma, riuscendo a non emettere nemmeno un suono nonostante la rumorosa armatura. Anni e anni di allenamento presso il Tempio di Sha’sha-shu, sotto la guida dei monaci del Celeste Cancello, avevano forgiato mente e corpo a essere un tutt’uno con la sua volontà.
    Fierbaldo seguì la figura fino a una casa bassa dalle mura verdi. La osservò mentre furtiva penetrava all’interno attraverso una finestra e velocemente andò a spiare oltre il davanzale. L’ambiente interno era buio e non si vedeva quasi nulla.
    Scavalcò la finestra e fu dentro.
    Bastarono pochi passi e un’ombra gli scivolò alle spalle senza che se ne accorgesse.
    Qualcosa lo afferrò per i capelli, tirandogli la testa indietro e una lama gli squarciò la gola. Morì chiedendosi cosa, dell’insegnamento Sha’sha-shu, non avesse realmente compreso.

    - 6 -



    Lacero si svegliò di soprassalto.
    Era mattina presto, il sole filtrava nella stanza colorando d’arancio le pareti marce.
    Per quanto tempo aveva dormito? Fu preso dal panico. Se la donna se n’era accorta, poteva esser corsa dallo sceriffo per avvertirlo della sua presenza e...
    La porta si aprì e Violata apparve sulla soglia con un vassoio tra le mani su cui erano sistemati una tazza di latte fumante e dei biscotti.
    - Dormito bene?
    Lacero la osservò incredulo.
    - Sì – rispose, mentre lei si sedeva sul letto accanto a lui, – grazie.
    Violata lo osservò mentre consumava rapidamente la colazione, poi lo ascoltò quando si rivolse a lei in tono asciutto.
    - Starò qui ancora un giorno. Questa notte uscirò e non mi vedrai mai più.
    Lei scrollò le spalle, quindi si alzò, rimanendo in silenzio a fissarlo.
    Mosse una mano e la vestaglia le ricadde ai piedi, lasciandola nuda di fronte a lui.
    - Ne sei sicuro?
    L’ultimo biscotto cadde dalle mani del mezz’elfo, impiastricciando di latte e briciole le lenzuola.

    - 7 -



    Quel giorno il prode cavaliere che aveva sconfitto i due malviventi non si presentò dallo sceriffo per coordinare le ricerche. Nessuno rivide più Fierbaldo.
    Cordoro chiamò a raccolta gli uomini del villaggio e ripresero a cercare il fuggiasco. Fu una giornata sterile, che non portò alcun risultato, cosa che mandò su tutte le furie Monco. Il nano si rifiutava di credere che Fierbaldo avesse lasciato Ponte Spaccato per vigliaccheria. Lo aveva visto combattere, non era tipo da andarsene in punta di piedi nottetempo, senza far più ritorno, tanto più che il suo cavallo era ancora nelle stalle.
    No, doveva essergli capitato qualcosa.
    Ripensò alle due vittime e in testa iniziò a ronzargli una strana idea.
    Se quelle donne erano state uccise per la loro verginità, l’assassino doveva per forza essere uno che le conosceva. Ammesso che il ragionamento fosse valido, escludeva a priori che si trattasse del mezz’elfo, che nessuno aveva mai visto prima al villaggio. In questo caso, chi poteva voler morte quelle poverette?
    Gli ritornò in mente la faccia che aveva fatto lo sceriffo quando il cavaliere aveva accettato di unirsi alle ricerche. Sembrava contrariato, come se non lo volesse tra i piedi.
    E se fosse proprio lui l’assassino? Avrebbe potuto fuorviare le ricerche in qualsiasi momento, giacché era lui a dirigerle. La presenza di un cavaliere invece avrebbe potuto inficiare il suo piano.
    Era plausibile.
    Decise che non poteva logorarsi nell’incertezza e uscì a cercare lo sceriffo per affrontarlo.
    Quando arrivò nei pressi del suo ufficio, notò che dentro una luce era ancora accesa.
    Ascia alla mano, Monco bussò alla porta, ma non venne nessuno.
    Spinse avanti l’uscio ed entrò.
    Vide immediatamente Cordoro, riverso al suolo con un pugnale piantato nel petto.
    Di fronte a lui era inginocchiato il mezz’elfo. Stava scrivendo qualcosa sul pavimento col sangue dello sceriffo. Monco aguzzò la vista e quello che lesse gli mise i brividi:

    sono io il mostro


    Il mezz’elfo gli dava le spalle, non si era accorto di lui.
    Monco avanzò silenziosamente, sollevando l’ascia per colpire.
    Poi qualcosa gli tappò la bocca, tirandogli indietro la testa, e una lama gli penetrò in gola, sgozzandolo.
    Monco crollò al suolo in un lago di sangue, mentre Lacero si voltava di scatto, allarmato dal rumore.
    Vide il nano a terra, poi i suoi occhi incontrarono quelli di Violata.
    - Un piccolo imprevisto, – disse lei, gelida. – Continua pure.
    Lacero si alzò.
    - Ho finito – annunciò, soddisfatto. – Direi che il nano ci ha fatto un favore. Con lui morto qui dentro, il suicidio dello sceriffo sembrerà avere ancor più senso.
    Violata sorrise compiaciuta.
    Si avvicinò a Lacero e affondò con lui in un bacio appassionato.
    - Non sai quanto ho aspettato qualcuno come te, – bisbigliò lei con le lacrime agli occhi. – Mio marito era un idiota, non mi ha mai capito.
    - E’ stata dura, immagino – fece lui, stringendola a sé.
    - Non sai quanto ho sofferto. Scoprire che mi tradiva con quelle due verginelle... che neanche erano disposte a concedergli il loro bene più prezioso, mentre io...
    Soffocò un singhiozzo, avvinta a Lacero come un rampicante.
    - Far passare la morte di quel bastardo per un incidente è stato facile, ma stavolta ho avuto paura di non farcela.
    I loro occhi si incontrarono e le loro anime, nere fino al midollo, si trovarono.
    - Andrà bene – promise lui. – Qui è tutto sistemato, il cavaliere che hai ucciso ieri notte lo abbiamo affettato per bene e ora sta bruciando nel tuo camino, cosicché tutti crederanno che sei in casa. Nessuno penserà a te. Io mi farò vivo tra qualche giorno, quando le acque si saranno calmate, e inizieremo una nuova vita.
    - Sì. – Violata sorrise. – Andrà bene.

    Edited by Daniele_QM - 6/9/2009, 00:28
     
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