La sindrome di Capgras
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La sindrome di Capgras

di Marco Migliori, fantascienza, 20000 car.

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  1. sgerwk
     
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         — Lei sa cos'è la sindrome di Capgras, vero? — chiese lo psicologo.
         "È il nome della mia malattia, se fossi malata" pensò Marina, ma non disse niente. Meno parlava lei, meno parlavano i dottori.
         — Si tratta di un sintomo, in realtà — continuò lo psicologo — non di una sindrome. È l'effetto di un problema neurologico. Ma questo penso che lo lei lo sappia già.
         "Sì, lo so già. Ma tanto adesso mi rispiegherai tutto comunque".
         — La sindrome è stata osservata per la prima volta in Francia all'inizio del ventesimo secolo. Una donna diceva che i suoi familiari erano stati rimpiazzati da dei sosia. Questi duplicati erano identici al marito e ai figli, ma non erano loro.
         Un'altra volta la storia della vecchia francese. Poi sarebbe arrivato al caso di Marina.
         — La spiegazione è semplice. Il paziente riconosce le persone, ma non ha la sensazione di familiarità che normalmente avrebbe. Questo lo porta a creare una fantasiosa ipotesi che spieghi questa mancanza.
         "Ci siamo. Adesso mi dirà di nuovo cosa è successo nella mia testa, e poi finalmente mi rimanderà in corsia". Nessuno dei dottori le piaceva, ma questo nuovo meno degli altri. Giovane, magro, con gli occhiali e sempre un mezzo sorriso, come se trovasse tutto divertente. Marina si mise a guardare i tronchi dei pini fuori dalla finestra, se non altro per non vedere più né lui né quello squallido studio d'ospedale bianco e azzurro.
         — Non ricordo di preciso, ma mi pare che la donna avesse pensato a un complotto di qualche tipo ordito da familiari lontani. Forse una questione di eredità. Certo che un piano così complesso per pochi soldi sembra assurdo, non le pare?
         Era assurdo. Tutta quella situazione era assurda. Marina voleva solo andare a casa. Da Gianni e i bambini. Quelli veri, ovunque fossero finiti.
         — Non le pare? — ripeté il dottore.
         — Sì — disse Marina.
         — Bene. — Lo psicologo sembrò soddisfatto. — Ai giorni nostri una persona avrebbe inventato un'altra spiegazione per questa assenza della reazione di familiarità. Lei cosa ne pensa?
         "Lo sai benissimo cosa penso. Lo hai letto nella mia cartella un minuto fa. È ancora lì, sulla tua scrivania".
         — Come si potrebbe spiegare questa sensazione al giorno d'oggi?
         "Lo devo dire io, vero? Lo sai benissimo, ma me lo devi far dire per forza. Non mi potete lasciare in pace e basta, se proprio non mi volete dare retta?"
         — Allora? — insisté lo psicologo.
         — Una persona malata di mente direbbe che i familiari sono stati rimpiazzati da alieni — disse Marina. — Una pazza direbbe così. La rinchiuderebbero in un ospedale psichiatrico.
         Lo psicologo annuì.
         — Le farebbero un milione di visite — continuò Marina. — Le farebbero raccontare di nuovo tutta la storia un centinaio di volte. E naturalmente la costringerebbero ancora a vedere la sua falsa famiglia. Lei potrebbe fingere di essere guarita, potrebbe fare finta di riconoscerli, e i medici la dimetterebbero. Ma lei non vuole. Loro non sono la sua famiglia.
         Lo psicologo annuì ancora. Sembrava soddisfatto di essere riuscito a farla parlare. Marina decise di non dire altro. Tanto era inutile. Aveva già detto tutto, e non le credevano. Volevano soltanto che mentisse e facesse finta di essere guarita.
         — Come dicevo, si tratta di un sintomo, non di una malattia. In altre parole, è un effetto visibile di un problema a livello neurale. Qualcosa ha fatto corto circuito, e questo è il risultato. Una donna, moglie e madre, ricoverata in ospedale e considerata pazza da tutti.
         Era la prima volta che un medico usava la parola "pazza". Marina fu più stupita che offesa.
         — In ogni caso — continuò lo psicologo alzandosi dalla sedia — Capgras non trovò una cura. Aveva analizzato il sintomo, ma per una terapia avrebbe dovuto individuare la causa.
         Lo psicologo fece il giro della scrivania e si avvicinò alla sedia di Marina — Per fortuna, non è detto che questo succeda anche a lei. Venga con me. Dobbiamo fare un'analisi. Le prometto che sarà l'ultima.
         Marina non credeva più ai medici, ma era la prima volta che le promettevano che non ci sarebbero state altre analisi. Si alzò e seguì il dottore fuori dallo studio, in corridoio. Quando aveva provato a rifiutare un'analisi, aveva scoperto che i medici avevano l'autorità per obbligarla.
         Attraversarono i corridoi dell'ospedale e scesero negli scantinati.
         — Mi hanno già fatto la risonanza magnetica.
         — Lo so. Non è la risonanza magnetica.
         Da uno dei corridoi debolmente illuminati dello scantinato il dottore la fece entrare in una stanza fredda, spoglia e senza finestre, grande quanto lo studio che avevano appena lasciato. Al centro c'era un sedile di legno con braccioli, sulla parete opposta un'altra porta. Un paio di vecchie sedie del tipo che si trova solo negli ospedali completavano l'arredamento. Un'infermiera stava mettendo in ordine dei fili collegati a un dispositivo su un carrello metallico.
         "Ma cosa crede, che non mi abbiano ancora fatto l'elettroencefalogramma?" Era stata la prima analisi. Era anche scritto sulla cartella.
         — Siediti — disse lo psicologo, indicando il sedile.
         Marina ubbidì. L'infermiera si accucciò davanti a lei. Un momento dopo, Marina sentì qualcosa di rigido intorno alle caviglie. Provò ad alzare i piedi, ma le caviglie erano bloccate. Lo psicologo le prese l'avambraccio destro con entrambe le mani e lo premette sul bracciolo del sedile.
         — Perché? — disse Marina, mentre l'infermiera le chiudeva il polso in un semicerchio di acciaio incardinato al bracciolo.
         — Per quest'analisi devi restare ferma — disse lo psicologo.
         — Va bene, starò ferma. Non c'è bisogno di legarmi.
         — Non ti farà male. — Il dottore aveva fatto il giro della poltrona e le aveva afferrato l'altro braccio con entrambe le mani. Marina provò a tenerlo sollevato, ma lo psicologo lo sbatté con forza sul bracciolo. L'infermiera le chiuse rapidamente il polso nel semicerchio di acciaio.
         — Mi hanno già fatto l'elettroencefalogramma. Era tutto a posto.
         — Lo so — Lo psicologo si mise di fronte a Marina. — Era nella cartella.
         — Non volete farmi un elettroencefalogramma? E allora che analisi è?
         — Ti assicuro che non ti farà male. — Lo psicologo si tirò una sedia vicino e ci si sedette.
         Marina sentì qualcosa di freddo e pesante sulla testa; doveva essere stata l'infermiera a mettercelo, da dietro il sedile. Marina non poteva vedere cosa fosse; sentiva solo che era metallico e che le copriva tutta la parte superiore della testa. Provò a scuotere la testa, ma la calotta non si mosse.
         Vide l'infermiera andare da dietro il sedile verso il dispositivo portando l'estremità di un filo elettrico. Lo collegò al dispositivo, su cui iniziò a trafficare.
         — Te l'ho raccontata di quella signora che non si ricordava che il marito era vivo? — chiese lo psicologo.
         Marina lo guardò, sorpresa dall'incongruenza della domanda, ma il dottore stava guardando l'infermiera. Era a lei che aveva parlato.
         — No — rispose distrattamente l'infermiera, impegnata con il dispositivo.
         — Questa signora aveva l'Alzheimer. Così ogni tanto si dimenticava le cose. Ora, molta gente si dimentica che un familiare è morto. Ma a lei successe il contrario.
         — Sì? — L'infermiera non sembrava interessata.
         — Il fatto è che il marito di questa signora era scappato di casa vent'anni prima. Aveva detto "esco a comprare le sigarette", o qualcosa del genere. Anzi, no, era un pescatore; era uscito con la barca e non era più tornato. C'era stata una tempesta, e così si pensava che fosse annegato.
         — Invece?
         — Invece era scappato! Con l'amante, mi pare... o forse no. Insomma, era scappato. Dopo un po', lo avevano dichiarato morto. Gli avevano fatto anche un funerale, credo. Oppure c'era solo una lapide da qualche parte. Mi sa che il funerale non lo fanno, in questi casi. Insomma, tutti pensavano che fosse morto.
         — Non lo era? — chiese l'infermiera, che chiaramente non lo stava seguendo.
         — No, era scappato con l'amante! Fin qui tutto normale. Solo che venti o trent'anni dopo decide di ritornare. Non lo so il perché, forse invecchiando l'amante era diventata ancora più brutta della moglie.
         Lo psicologo fu l'unico a ridere della sua battuta. Marina lo trovava odioso. Quella storia non era divertente affatto.
         — Insomma, torna dalla moglie, e questa se lo riprende in casa. Fin qui, niente di strano. Solo che lei aveva già iniziato a contrarre l'Alzheimer. E indovina cosa? Un giorno si sveglia e si dimentica che il marito era tornato. Si ricordava che era morto. Si ricordava anche la lapide, e se c'era la lapide lui doveva essere morto. Ma si era dimenticata che nella tomba non c'era nessuno. Perciò, quando lo vede le prende un colpo!
         — Davvero? — chiese l'infermiera. Il dispositivo su cui stava armeggiando fece un breve fischio.
         — E non è finita. Da allora, ogni tanto si scorda di nuovo che il marito è vivo. Adesso è ricoverata, e ogni volta che lui la va a trovare, ci deve andare con i figli, così prima che lui si faccia vedere quelli le ripetono la storia. Se non lo facessero le verrebbe un infarto!
         Il dispositivo fece due fischi di tono diverso.
         — Te l'avevano già raccontata? — chiese lo psicologo.
         — No. — L'infermiera si girò verso di lui. — La macchina è pronta.
         — Ho sentito.
         La seconda porta della stanza si aprì. Marina si aspettava un medico o un'infermiera, ma quello che entrò nella stanza non era né l'uno né l'altra.
         Non era umano.
         Non poteva essere umano. Il colorito grigio poteva essere un trucco, ma la faccia era troppo piccola rispetto alla testa, il torso troppo stretto, gli avambracci, le mani e gli stinchi troppo lunghi e sottili.
         L'essere si diresse tranquillamente verso il dispositivo. L'infermiera e il dottore non mostrarono nessun segno di sorpresa nel vederlo. L'infermiera si spostò per lasciargli il posto davanti al dispositivo.
         — Dottore, lui... — disse Marina.
         — Sì?
         — Lo vede anche lei?
         — Certo. — Lo psicologo rise. — Lo vedo anch'io.
         Marina deglutì. L'alieno stava guardando il dispositivo, senza prestarle nessuna attenzione.
         — Non può essere — disse Marina — Dottore, io vedo un alieno. È qui, adesso.
         — E allora?
         — Non può essere. Gli alieni non esistono. Lo vedo perché sono malata. Sono pazza.
         — Allora sono pazzo anch'io, dato che anch'io lo vedo.
         — Non può essere un alieno. È una persona normale, vero? Sono io che lo vedo come se fosse un alieno.
         Lo psicologo guardò l'alieno, che inclinò la grossa testa calva, e poi disse: — Molto bene. A questo punto penso che vi possiamo lasciare soli. — Si alzò e aprì la porta da cui erano entrati, facendo uscire prima l'infermiera.
         — Dottore! — strillò Marina.
         — Non avere paura — disse lo psicologo dal vano della porta. — Non ti farà male.
         Marina si divincolò, ma polsi e caviglie erano strettamente legati al sedile.
         Lo psicologo chiuse la porta dietro di sé, lasciando Marina sola con l'alieno.
         Quell'essere ora la stava fissando. Emise una successione di fischi di tonalità diverse, poi rimase a guardarla.
         Dopo un paio di secondi, si voltò verso il dispositivo, su cui schiacciò un pulsante. Una voce maschile, umana, chiese: — Mi sente? — Il suono sembrava uscire dalla bocca dell'alieno, che però non aveva mosso le labbra.
         Marina non riusciva a dire niente.
         — Penso che adesso abbia capito quello che ho detto, vero?
         — Non...
         — Bene — disse l'alieno. — Dobbiamo parlare. Non è strettamente necessario, ma andrà tutto meglio se le anticipo quello che le sta per succedere.
         — Cosa? Cosa mi vuole fare?
         — Un piccolo trattamento. Come le ha già detto il suo psicologo, non le farà male. Non sentirà dolore.
         — Cosa...
         — Sarà meglio che le racconti tutto dall'inizio. Non ci vorrà molto.
         Marina prese fiato e urlò, chiamando aiuto. Continuò a urlare fino a svuotare i polmoni, poi ispirò di nuovo e ricominciò.
         L'alieno non si era mosso. — Non la sentono. Avrebbe dovuto urlare prima.
         — C'è sempre gente negli scantinati. Qualcuno avrà sentito.
         — Non verrà nessuno. Sta solo perdendo tempo.
         Marina urlò ancora.
         L'alieno schiacciò un altro pulsante, e Marina sentì che il suo urlo si trasformava in un sospiro.
         — Adesso parlo solo io — disse l'alieno. — Lei ascolta e basta.
         Marina riprese fiato e cercò di urlare di nuovo. L'aria uscì dai polmoni senza rumore.
         — Finito? — disse l'alieno.
         "Cosa mi ha fatto?" provò a chiedere Marina, ma anche questa volta dalla sua bocca non uscì nessun suono.
         L'alieno attese un momento, poi disse: — Iniziamo dal principio. Io vengo da un pianeta che si trova a ottanta anni luce da qui. Circa duecento anni fa, una nostra astronave da esplorazione scoprì la Terra. La cosa fece un certo scalpore, dato che non avevamo mai incontrato altre razze intelligenti.
         L'alieno si mosse, allontanandosi dal dispositivo.
         — Naturalmente, la vostra tecnologia era molto arretrata. Niente viaggi interstellari e cose simili. Ci fu una accesa discussione fra i nostri scienziati. Una fazione sosteneva lo studio dall'esterno. Un'altra l'infiltrazione.
         L'alieno aveva cominciato a camminare su è giù per la stanza. La cosa lo faceva sembrare quasi umano. A parte il fatto che era grigio e aveva occhi piccoli come teste di chiodi.
         — Se avessimo voluto invadere la Terra o eliminare la razza umana, ci sarebbero bastati dieci minuti. Un virus con autodistruzione programmata, per esempio. Nanosonde. Soldati robot. Abbiamo un milione di armi che farebbero la felicità di qualsiasi generale pazzo. Semplicemente, la Terra non aveva niente di interessante per noi. Niente che non si trovasse anche in pianeti più vicini al nostro.
         "E allora perché siete qui?" cercò di chiedere Marina, dimenticandosi che non poteva parlare.
         — Quello che ci interessava era l'unica altra specie intelligente della galassia. Una specie molto diversa dalla nostra, ma paragonabile per molti aspetti. Erano soprattutto le differenze che ci attiravano. Molte cose che avevamo date per scontate qui sono diverse. Per esempio, non avremmo mai pensato che razze intelligenti potessero vivere in ambienti chiusi come questo. Da noi solo alcuni animali...
         L'alieno si fermò e guardò Marina.
         — Sto divagando. Dicevo, l'unica cosa interessante di questo pianeta è la sua specie intelligente. Troppo indietro tecnologicamente per essere un pericolo, ma abbastanza avanti per incuriosire i nostri scienziati.
         L'alieno si voltò verso il dispositivo, poi continuò.
         — Per farla breve, ci fu un periodo di studi dall'esterno, con microsonde. Ma c'era un problema. Per quanto i nostri scienziati analizzassero i filmati, c'era sempre qualcosa del vostro comportamento che non riuscivano a capire. Fu questo a far decidere per l'infiltrazione. Alcuni nostri scienziati rimpiazzarono degli umani che stavano per morire o erano appena morti.
         Per quanto assurdo, Marina non poteva che crederci. L'alieno era lì, davanti a lei. "Ma perché la mia famiglia? Perché proprio loro?" tentò di chiedere.
         — Vuole dire qualcosa, vero? Se promette di non mettersi di nuovo a strillare, la lascio parlare.
         Marina fece cenno di sì con la testa.
         L'alieno toccò il dispositivo e disse: — Adesso può parlare di nuovo.
         — Perché proprio la mia famiglia? Perché avete scelto loro?
         — Mi faccia finire. Come le ho detto, la maggiore difficoltà era il comportamento. Così come non eravamo riusciti a capirvi da fuori, come avrebbe fatto uno scienziato infiltrato a sembrare normale? Con la nostra tecnologia non è difficile modificare il corpo in modo che sembri umano. Il problema era imitare il comportamento.
         — Sì, ma perché proprio loro...
         — La soluzione fu l'ibridazione mentale — continuò l'alieno, ignorandola. — Si sceglieva un umano morto da poco e si modificava il corpo di uno dei nostri scienziati in modo che sembrasse lui. Poi si copiavano gli schemi mentali dell'umano nel cervello. Il risultato era un corpo che sembrava umano con dentro un cervello alieno ma con tutti i ricordi della persona sostituita. La parte aliena della mente rimaneva latente. È difficile da spiegare, ma era come se lo scienziato alieno dormisse, ma intanto vedesse tutto quello che succedeva e tutto quello che la parte umana del cervello pensava.
         — Mio marito e i miei figli non sono mai stati sul punto di morire.
         — È normale che non capisca. Nel cervello dello scienziato ci sono tutti i ricordi dell'umano. Quando si sveglia, è convinto di essere la persona sostituita.
         — I miei bambini...
         — Ma qualche volta qualcosa va storto. La parte aliena del cervello riaffiora. È un problema. Perdite di memoria. Ricordi della vita precedente che ritornano. Oppure, non si riconoscono più i familiari stretti.
         Marina fissò l'alieno. Stava cominciando a capire, ma non ci voleva credere.
         — Ricorda l'incidente d'auto, due anni fa? La portarono in ospedale. A suo marito avevano detto che probabilmente non ce l'avrebbe fatta.
         — L'incidente... Sono stata ricoverata due mesi, ma adesso sto bene.
         — Marina è morta in ospedale. Un nostro infiltrato che lavorava al pronto soccorso ci avvertì, e al suo posto mettemmo lei.
         Marina rimase senza parole. Quello che l'alieno le stava dicendo non era possibile. Lei era Marina, non un alieno — Non ci credo.
         — Naturalmente, ebbe un'ottima ripresa. Niente di miracoloso; i medici rimasero solo un po' sorpresi. Quando si svegliò era convinta di essere la stessa Marina di prima. Ma non lo era. Era uno dei nostri, ma convinto di essere Marina.
         — Si sta inventando tutto.
         — Purtroppo la copiatura della memoria non è riuscita perfettamente. Dopo qualche mese ha cominciato a non riconoscere più suo marito e i suoi figli. E poi ha anche ricordato qualcosa a proposito di una razza extraterrestre, e ha collegato le due cose. Ed eccoci qui.
         — Non ci credo. Non ci credo per niente. Voglio andare via.
         — Secondo lei, perché riusciamo a capirci?
         — Cosa?
         — Io sono un alieno, per cui dovrei parlare l'alienese. — Sembrò quasi ridere della battuta. — Perché invece lei riesce a capirmi?
         — Ma perché stai parlando in italiano!
         — No. Anche se volessi non potrei. Non sono in grado di emettere i suoni della voce umana. Io sto parlando nella mia lingua. Quando sono entrato, ho detto qualcosa che lei non ha capito. Le sono sembrati due fischi, credo, ma stavo parlando. Ho premuto un pulsante di questa scatola magica, ed ecco che lei ha iniziato a capire. Ho fatto riaffiorare il ricordo della nostra lingua.
         — Non è vero. Stai parlando in italiano.
         — Va bene. Allora provi a ripetere questa parola. — L'alieno disse il nome di un fiore, poi aggiunse: — Ripeta.
         Non sembrava difficile. Era solo il nome di un fiore. Marina aprì la bocca e cercò di ripeterlo, ma non ci riuscì. Aveva chiara la parola, ma non era in grado di dirla, e questo nonostante l'alieno l'avesse fatto un secondo prima. Era come se non ricordasse più le lettere.
         — Non ci riesce — disse l'alieno. — Però sa cos'è, vero?
         — Certo. È un fiore — Un fiore con dei lunghi filamenti neri al posto dei petali.
         — Esatto. È un fiore del nostro pianeta. Lei ha capito la parola perché l'ho detta io. Ma non è riuscita a ripeterla perché i suoni del nome non sono pronunciabili dagli umani. E non esiste una parola corrispondente in nessuna lingua umana, dato che quel fiore sulla Terra non c'è.
         Marina restò in silenzio. Sembrava tutto logico, ma non poteva essere vero. E comunque, cosa voleva l'alieno? Perché l'avevano portata lì sotto?
         — Cosa volete farmi? Copierete di nuovo la memoria?
         — Sarebbe un disastro. Se non ha funzionato la prima volta, figuriamoci ora. E poi, quale memoria dovremmo copiare? Quella di due anni fa? O quella di adesso, con i ricordi di lei che è convinta che suo marito e i suoi figli sono stati sostituiti da alieni? Sarebbe un problema in entrambi i casi.
         — E allora cosa volete?
         — Conosce il detto "mezza conoscenza è peggio che niente"? Aver dimenticato di essere alieni, ed essere invece convinti di essere umani va bene. Aver ricordato di essere alieni infiltrati, come il dottore e l'infermiera, va bene lo stesso: dopo un certo numero di anni, si capiscono gli umani abbastanza da poter fingere di esserlo. Ma lei non può rimanere a metà. Le farò ricordare tutto, come il dottore e l'infermiera. Chi è veramente e perché è qui.
         L'alieno si avvicinò di nuovo alla macchina. — Il procedimento funziona meglio se al soggetto è stato anticipato cosa sta per succedere. Non c'è bisogno che creda a quello che ho detto. Fra un minuto avrà di nuovo i suoi ricordi, e saprà che ho detto la verità.
         Marina lo vide allungare una mano verso il dispositivo.
         La stanza sparì.
         Il cielo del suo pianeta era nero, anche di giorno. Niente montagne, solo una pianura senza fine. Ricordò di quando era piccola, della sua allevatrice, del suo gruppo di fratelli-di-branco. Ricordò la scuola. Ricordò l'università, gli studi di umanistica. I corsi sulla biologia e il comportamento umano. Il sogno di poter studiare gli umani da vicino, di venire infiltrata. E poi la realizzazione del sogno. Il viaggio fino alla Terra, l'entusiasmo e la paura alla notizia di una donna umana a cui sostituirsi. Gli scienziati intorno al suo lettino, con strumenti di ogni tipo, che le dicevano che sarebbe andato tutto bene, che quando si sarebbe svegliata avrebbe creduto di essere umana. E poi gli occhi che si annebbiavano, e tutto diventava nero.
         
         

    *   *   *


         — I dottori non ci avevano dato molte speranze — disse Gianni.
         Marina stava guardando fuori dal finestrino. Guardava gli alberi al lato della strada passarle davanti. Si voltò verso Gianni, seduto al posto di guida — A me non hanno mai detto niente. Non mi dicevano mai niente.
         — Quando mi hanno parlato di questa medicina, quasi non ci credevo.
         Marina non rispose.
         — Mi hanno dato abbastanza pasticche per dieci anni — disse Gianni. — E io avevo già la prescrizione del medico per comprarne due scatole. Se anche ne dovessi prendere sei al giorno, basterebbero per un bel po'. Oggi l'hai già presa, vero?
         — Sì. Questa mattina.
         Ci fu un minuto di silenzio. Marina continuava a guardare fuori dal finestrino. Il cielo era azzurro.
         — È proprio finita, vero? — disse Gianni — Sei guarita. Adesso mi riconosci? I bambini non vedono l'ora di rivederti.
         — Sì — disse Marina.


    Edited by sgerwk - 10/8/2009, 15:39
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Devo dire che il racconto mi è piaciuto abbastanza, molto buona la svolta finale. La mancanza forse più evidente è nell'incipit a mio avviso. Va bene partire coi dialoghi, ma per un buon tratto ci sono solo quelli. La descrizione ambientale e quella dei personaggi arriva tardi. Anzi, a dirla tutta, la descrizione dei personaggi è piuttosto scarsa. Mentre il dottore alla fine si riesce a immaginarlo, Marina risulta piuttosto vacua come figura. Anche interiormente: soltanto in seguito, quando viene portata a fare l'analisi, emergono tratti della sua personalità.
    Punterei su un tratteggio più chiaro dei personaggi.
    La storia funziona, e da metà in poi scorre che è un piacere.
    Ti do 3, anche se forse, per i motivi sopra scritti, va strettino.
     
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  3. sgerwk
     
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    User deleted


    Grazie per il commento. In effetti, avevo anche pensato di dare almeno una descrizione sommaria del dottore nella parte in cui si trovano nello studio, ma poi avevo pensato che il racconto ne sarebbe risultato appesantito. Probabilmente ho fatto la scelta sbagliata.

    Per quello che riguarda Marina, dato che tutto e' visto dal suo punto di vista e' un po' difficile descriverla fisicamente (una volta si usava il sistema del personaggio davanti allo specchio, ma a parte che in questo racconto non si puo', ora viene considerato un trucco da quattro soldi). Pero' forse potrei dare almeno un'idea della sua eta'.

    Dal punto di vista caratteriale, mi sembrava che il dialogo iniziale invece rendesse abbastanza la sua personalita' (il dottore che parla, lei che pensa invece di rispondere...)

    Penso che modifichero' un po' il racconto in accordo con i tuoi commenti, spero questo fine settimana. Grazie ancora!

     
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  4. melantropo
     
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    Il dialogo centrale con l'alieno (del quale si glissa la descrizione se non per minimi accenni che non aiutano a identificare bene di cosa si tratti) stona in un racconto che ha buone premesse e ottimo finale. Più di un debito con la fantascienza classica per una forma comunque ben gestita.
    Davvero improbabile che Marina chieda all'alieno se si stia inventando tutto...
    Voto 3 d'incoraggiamento, perché inizio e finale sono lo stile su cui puntare.
     
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  5. Gordon Pym
     
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    SPOILER (click to view)
    Mi è piaciuto.
    Il finale, d'effetto, non me lo aspettavo, ma trovo che racchiuda in sè una lacuna grave e cioè che Marina (ex morta) non aveva più un cervello umano da usare, quindi il fatto che torni completamente terrestre risulta più un colpo di scena ricercato - forzatamente - che qualcosa di plausibile.
    Ho letto con interesse e coinvolgimento, dunque se dovessi votare per lo stile mi avvicinerei al 4 (e a proposito ti faccio i mie complimenti), ma per piccole cose e soprattutto per quanto sopra, mi fermo a 2.
    A rileggerti.


    Qualche opinione:

    CITAZIONE
    un semicerchio di acciaio i cui bracci

    Non credo che il semicerchio abbia "bracci", forse è meglio scrivere estremità, anche perchè stiamo parlando di avambraccio, bracciolo, polso... inizialmente ho fatto confusione.
    A essere pignoli, si potrebbe discutere anche sulla forma a semicerchio che io invece vedrei meglio a "c", perchè se deve avere estremità di lunghezza tale da entrare in un alloggio, la forma non è più di semicerchio.

    CITAZIONE
    Poi si prendeva il cervello di uno dei nostri scienziati e ci si immettevano gli schemi mentali dell'umano.

    Mhmm... qui ci vedo un punto di domanda: se possono maneggiare/immettere gli schemi mentali, perchè non farne più copie, modificarli, in modo da non dover sempre sostituire persone vere? La tecnologia mi sembra non manchi...

    CITAZIONE
    Nel cervello dello scienziato ci tutti i ricordi dell'umano.

    Manca un "sono".

    CITAZIONE
    — Io sono un alieno, per cui dovrei parlare l'alienese. — Sembrò quasi ridere della battuta. — Perché invece lei riesce a capirmi?

    Se tu vai su... chessò, Inculoallospazio (noto pianeta della via lattea), dici io sono un alieno? Diresti di essere un terrestre. Penso ci sarebbe stata meglio una provenienza specifica con relativo nome della lingua prorpia alla razza. Secondo me, naturalmente.

    CITAZIONE
    — Esatto. È un fiore del nostro pianeta. Lei ha capito la parola perché l'ho detta io. Ma non è riuscita a ripeterla perché i suoni del nome non sono pronunciabili dagli umani.

    Avevo inizialmente inteso che dopo la pressione dei tasti sulla "scatola magica" la donna avesse iniziato a comprendere e a parlare la lingua aliena grazie al risveglio della memoria, invece poi leggo che la comprende solo, e lei continua a parlare italiano. Non è una complicazione "superflua"?

    CITAZIONE
    Le farò ricordare tutto.

    Quel "tutto" lo vedo male, visto che andrà incontro a un mezzo ricordo, una mezza coscienza.

    CITAZIONE
    Gli scienziati intorno al suo lettino, con strumenti di ogni tipo, che le dicevano che sarebbe andato tutto bene, che quando si sarebbe svegliata avrebbe creduto di essere umana. E poi gli occhi che si annebbiavano, e tutto diventava nero.

    Il corpo alieno che fine ha fatto? Considerato il desiderio della giovane aliena di diventare infiltrata, non ha qualche pensiero o preoccupazione per la sorte del suo corpo?

    CITAZIONE
    — Si. Questa mattina.

    Accento sul Sì.

    Edited by Gordon Pym - 7/8/2009, 21:13
     
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  6. sgerwk
     
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    Grazie per i commenti. :D Rispondo collettivamente in ordine sparso.

    Quando l'alieno dice a Marina "la farò ricordare" si intende "le farò ricordare di essere aliena". Pensavo che questo fosse chiaro dalle frasi precedenti. In ogni caso, ho un po' modificato questo pezzo per evitare che si creassero queste ambiguità. Marina ricorderà di essere un alieno (come il dottore e l'infermiera) e fingerà di essere umana (come il dottore e l'infermiera). E naturalmente fingerà di essere guarita.

    Per quello che riguarda le descrizioni, devo dire che in effetti il racconto in questo era un po' carente. Ho descritto l'alieno, il dottore e lo studio in cui inizialmente si trovano. Sono descrizioni molto sommarie perché volevo evitare di appesantire la narrazione. Personalmente, credo che lo scopo delle descrizioni sia più quello di "immergere" il lettore nella situazione che quello di far capire come siano fatte esattamente cose e persone (a parte alcuni casi in cui questo è necessario ai fini della storia).

    Per quello che riguarda Marina, come dicevo già prima, è un po' difficile dare una sua descrizione. Ho però introdotto subito "i bambini e Gianni"; questo dovrebbe far presumere che sia sposata e che abbia l'età per avere due figli piccoli.

    Ho lasciato la cosa del semicerchio ma ho cambiato un po' la sua struttura (è un semicerchio incardinato al bracciolo).

    La questione del corpo originario non mi sembrava molto importante, ma in può in effetti far venire delle domande (lo buttano via? lo tengono da parte?). Ho cambiato leggermente la cosa in modo da evitare il problema (ho fatto al contrario una modifica che avevo fatto poco prima di postare il racconto, che però alla fine ha solo complicato le cose): ho messo che il corpo alieno viene modificato, invece di costruire da zero un corpo umano. Questo dovrebbe risolvere anche un po' il problema successivo, cioè quello della copiatura.

    Sulla domanda "non si può fare una copia della mente aliena?", non entrerei troppo nei dettagli all'interno del racconto, però penso che una spiegazione la posso trovare. Per esempio, non si fa una copia della mente aliena perché, come nel caso di Marina, la copiatura può non funzionare perfettamente. Il rischio potrebbe essere quello di ritrovarsi con un umano che ha dei ricordi alieni (mentre gli alieni stanno cercando di non farsi scoprire). Questo umano andrebbe quindi eliminato (dato che la seconda copiatura non funzionerebbe), mentre è chiaro (dal fatto che gli alieni usano solo gente morta o che sta per morire) che gli alieni tendono a non uccidere.

    Sulla questione del dialogo centrale vorrei chiedere delucidazioni: per quale motivo ti sembra che non funzioni? non è credibile? il dialogo non è naturale? è Marina che dice cose che non sembrano naturali oppure l'alieno?

    A questo proposito, aggiungo:

    - Marina non chiede all'alieno se sta mentendo, lo afferma; credo che il problema fosse la frase "sei un bugiardo", che ho tolto

    - sull'alienese: qui l'alieno sta facendo una battuta basata proprio su un uso incongruo dei termini: si immagina nei panni di Marina che pensa a lui come a "un alieno", portando la cosa a una conseguenza assurda e quindi presumibilmente comica (l'alienese); chiaro che in normalmente non si riferirebbe mai a se stesso come a "un alieno"

    - Marina non potrebbe comunque parlare l'alienese perché non più in grado di emettere i suoni; qui potrei cambiare che lei ricorda anche come parlare, ma poi quando pronuncia il nome le viene fuori solo un grugnito (la sua approssimazione della parola, che però non è più nemmeno comprensibile a lei stessa), però mi sembra una complicazione maggiore

     
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  7. marramee
     
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    Il racconto è piacevole e scorre bene, per niente pesante. Però la parte centrale, il cuore della storia, mi ricorda troppo la fantascienza anni '50, e oggi è davvero fuori tempo. Anche qui sono indeciso tra il due e il tre, abbondiamo: 3.
     
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  8. sgerwk
     
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    QUOTE (marramee @ 14/8/2009, 00:35)
    Il racconto è piacevole e scorre bene, per niente pesante. Però la parte centrale, il cuore della storia, mi ricorda troppo la fantascienza anni '50, e oggi è davvero fuori tempo. Anche qui sono indeciso tra il due e il tre, abbondiamo: 3.

    Grazie per il commento. :D

    Ho un po' cercato di evitare il tema classico dell'invasione aliena mettendo dentro due elementi meno (ab)usati: una razza aliena che vuole solo studiare (e non invadere) la Terra e il fatto che la Terra sia il primo pianeta abitato da una razza intelligente che hanno incontrato (il che giustifica lo sforzo fatto per lo studio). Chiaro che però l'impianto è quello...

    Poi, visto che siamo al 20, volevo anche fare un pronostico sui finalisti. Ma per scaramanzia non lo faccio: aspetto prima che escano i risultati e poi pubblico il pronostico :D (che sarà casualmente azzeccatissimo).

     
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7 replies since 4/8/2009, 15:44   1171 views
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