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Fara nella terra dei Grandi
Fara si aggirava fra i tavoli imbanditi. Mai in vita sua aveva visto tanto cibo tutto insieme. Era una bambina e non ne poteva essere certa, ma sarebbe stata pronta a scommettere che neanche il suo amico Ulele ne avesse mai visto così tanto, e neanche nonno Uribe, mamma Ekele, e neanche quel signore che parlava con aria tanto seria e professionale quel giorno che Nadra le aveva fatto sentire la sua nuova radio. E neanche il papà di Nadra, il capo del suo villaggio... Neanche lui aveva mai visto un solo tavolo come uno di quelli. Fara aveva fame, ma l’idea di prendere anche solo un pezzo di pane da uno di quei tavoli non la sfiorò neppure per un istante. Suo cugino le aveva detto che i Grandi avevano deciso di organizzare una delle loro periodiche riunioni vicino al loro villaggio anche perché volevano aiutarli. Sicuramente, tanto per iniziare, avevano portato quei doni per la sua gente. No, non ci pensava proprio a prenderne lei per prima. Avrebbe aspettato il suo turno all’atto della distribuzione. E avrebbe sperato che le toccasse un pezzo di quella bellissima torta color arancio con quei frutti rossi in punta. Fara guardò verso la grande tenda innalzata per l’occasione, a correrle tutto intorno le era venuto il fiatone. Lì dentro i Grandi stavano parlando di tutti i problemi e di come risolverli. I Grandi provenivano da tutto il mondo. Non che lei ne avesse visto molto più di quella porzione di prateria e montagna in cui era cresciuta, ma suo cugino diceva che il mondo era grandissimo, tanto che a percorrerlo a piedi non ci si riusciva. Al solo pensarci Fara si sentiva la testa girare. Fara non avrebbe dovuto trovarsi in quella piazzetta vicino alla grande tenda. Suo cugino, importante e rispettabile uomo che lavorava per i Grandi, le aveva permesso di avvicinarsi facendole promettere di rimanere nascosta dietro una pietra poco distante da cui avrebbe potuto vederli in una pausa della loro lunga riunione. Quando però il suo stesso cugino e tanti altri uomini vestiti di bianco erano usciti dalla tenda e avevano cominciato a portare tutto quel cibo si era incuriosita e, una volta rimasta sola, era uscita allo scoperto. Un rumore la prese alla sprovvista, il portone principale del tendone cominciò lentamente ad aprirsi. Fara si spaventò e non trovò niente di meglio da fare che nascondersi sotto il tavolo della torta color arancio. Subito sentì dei passi avvicinarsi e poi vide tante gambe vestite di pantaloni bianchi. Fra quelli doveva trovarsi anche suo cugino, ma rabbrividì al pensiero che la potesse trovare: aveva disubbidito a un ordine diretto e sarebbe stata punita. Si rannicchiò ancora di più sotto il tavolo della torta arancio e decise di aspettare. Gli uomini vestiti di bianco si erano disposti due per tavolo ed erano immobili. Il silenzio nella piazzetta era spezzato solamente da un lieve soffio di vento. Fara si chiese se stessero per trasportare il cibo al villaggio, non poteva che essere così. Uno squillo di trombe interruppe i suoi pensieri: un suono pomposo, lungo e talmente forte che Fara dovette coprirsi le orecchie con le mani e chiudere gli occhi per lo spavento. Stette così per un po’ e quando infine decise di riaprire gli occhi e scoprirsi le orecchie era tutto cambiato. Un vociare indistinto arrivava da ogni parte, lingue sconosciute di cui non capiva una parola. Tante altre gambe s’erano aggiunte a quelle bianche di suo cugino e dei suoi colleghi. Pantaloni di ogni foggia, scarpe che brillavano riflettendo la luce del sole. In particolare la colpivano un paio di scarpe che faceva capolino proprio a fianco del tavolo sotto cui si nascondeva. Si avvicinò per osservarle meglio e notò che sembravano intarsiate di tante piccole pietruzze scintillanti. Un altro paio di scarpe si avvicinò a quelle scintillanti, ne seguì uno scoppio di risate. Fara non poteva credere ai suoi occhi, queste nuove scarpe sembravano fatte con pelle di coccodrillo. Possibile che l’uomo che le indossava potesse avere cacciato un coccodrillo e poi essersele fatte con la sua pelle? Strana gente, pensò. E poi accadde il fattaccio: un pezzo di torta arancio cadde proprio fra le scarpe scintillanti e quelle di coccodrillo. Fara si sentì invadere dalla rabbia: quella gente stava mangiando il cibo che i Grandi avevano portato per il suo villaggio? E suo cugino, che era lì presente, non diceva niente? Doveva fare qualcosa e in fretta, evidentemente erano dei ladri e suo cugino era tenuto sotto la minaccia di un fucile. Doveva avvertire i Grandi, doveva interrompere la loro riunione, avrebbero capito e sistemato tutto. Ma come poteva raggiungere la tenda prima che i ladri la riuscissero a fermare? Era alta e veloce per la sua età, ma non poteva certo sperare di farcela. Guardò di nuovo le scarpe vicino a lei e le venne l’idea. Avevano tutte dei lacci, bastavano dei nodi ben fatti, ma doveva agire in fretta e non farsi scoprire. Cominciò con le scarpe luccicanti e continuò con quelle di coccodrillo. Non ne vide altre vicino al suo tavolo e così si decise a rischiare. I tavoli non erano molto distanti gli uni dagli altri, avrebbe potuto farcela. Controllando l’orientamento delle scarpe disseminate per la piazza calcolò i momenti più opportuni per sgattaiolare da un tavolo all’altro senza essere vista e dopo non molto aveva concluso il lavoro: aveva legato fra loro le scarpe di tutti i ladri, troppo intenti a mangiare quel cibo che spettava al suo villaggio per accorgersi di lei ed evidentemente troppo pigri per muoversi dalle loro posizioni e scoprire la trappola che Fara aveva preparato per loro. Infine si preparò a scattare verso il tendone, sapeva esattamente cosa fare. Si riportò sotto il tavolo con la torta arancione, respirò a fondo un paio di volte e si lanciò nell’azione. Come prima cosa afferrò le gambe del ladro con le scarpe di coccodrillo e gli diede uno strattone tale da farlo cadere. Gli altri ladri fecero per venire in soccorso del loro compagno e tutti inciamparono ritrovandosi a loro volta faccia a terra. Era il momento, Fara uscì da sotto il tavolo e si diresse a tutta velocità verso il tendone, la strada era sgombra. Dietro di lei i ladri urlavano nelle loro lingue incomprensibili. - Fara! Fermati! – suo cugino la stava chiamando. Perché le stava urlando di fermarsi? C’era una sola spiegazione: non gli stavano affatto puntando contro il fucile, doveva essere complice di quei ladri. Ma ormai era arrivata all’ingresso del tendone, fra un attimo sarebbe piombata nel mezzo di un’importantissima riunione. S’immaginava tutti i Grandi riuniti intorno ad un immenso tavolo con la testa china sui loro fogli intenti a cercare soluzioni per i problemi della sua gente. Le dispiaceva disturbarli, ma la situazione era grave, tutto quel cibo mangiato da pochi ladri era un furto infame. L’unico problema era come sarebbe riuscita a farsi capire, i Grandi non parlavano la sua lingua e probabilmente l’avrebbero presa per una disturbatrice o, peggio, per una pazza. Fara era nel mezzo di queste riflessioni quando, a tutta velocità piombò, in un’immensa sala con un immenso tavolo vuoto. Rimase immobile, pietrificata, dov’erano finiti tutti? Dov’erano i Grandi? Si senti afferrare da due possenti mani, un energumeno con gli occhiali neri e la divisa da soldato NATO l’aveva bloccata dalle spalle e la stava trascinando fuori dalla tenda, verso i tavoli imbanditi. Fara non trovò nulla di meglio che mettersi a urlare con tutta la voce che aveva. – Lasciami! Ci sono i ladri! Devo avvertire i Grandi! Lasciami! Lasciami! Lasciami! – continuava a ripetere dimenandosi. Tutto intorno a lei voci sconosciute con lingue sconosciute continuavano a sovrapporsi e il mondo le parve girare sempre più veloce con lei tutta concentrata nel tentativo di divincolarsi dalla presa per tornare nel tendone a cercare i Grandi, la sua salvezza. Nella confusione generale una sola voce le pareva comprensibile, una voce che alternava parole in varie lingue. - E’ mia cugina! Non è pericolosa! È solo una bambina! Solo una bambina! – Fara riconobbe la voce del cugino. La confusione intorno a lei parve calmarsi, ora non parlavano più tutti insieme. Sentì l’uomo che la teneva fare domande con tono imperioso e suo cugino rispondere nella sua lingua. Infine il soldato la lascio andare e due mani più delicate la sorressero evitandole di cadere - Fara, cugina, cos’hai combinato? Fara ora era più calma, la testa non le girava più e riuscì a concentrarsi sul volto del cugino. - Sei un traditore! Servivi quei ladri. Volevo avvertire i Grandi, ma non li ho trovati! - Ma Fara... I grandi sono proprio quei signori, quelli che tu hai chiamato ladri... E non stavano rubando cibo a nessuno: quello era il loro spuntino. - Il loro spuntino? - Sì, il loro spuntino. Fara si voltò a guardare le facce di coloro che pensava fossero ladri, era confusa. - Il loro spuntino... - ripetè. I Grandi le stavano rivolgendo sorrisi ebeti. - Ma.. – cercò ancora di dire Fara. - Niente ma... Ora segui il soldato e ti allontani di qui – disse imperioso suo cugino che subito tornò a rivolgersi all’uomo che l’aveva catturata dentro la tenda. - Ok – fu l’unica parola che riuscì a comprendere Fara della risposta del soldato. Questi le porse la mano e lei l’afferrò, cominciarono ad allontanarsi. Da quel momento per Fara fu tutto confuso. Prima sentì un gran vociare e poi la voce di suo cugino che urlava qualcosa al soldato che la stava accompagnando lontano da quella piazza. - I Grandi vogliono che ti fermi per farsi scattare qualche fotografia con te, devi farlo – le disse il cugino. Fara non sapeva cosa volesse dire fotografia, ma si fermò, non sembrava avere scelta. Uno ad uno i Grandi le strinsero la mano mentre suo cugino le diceva di sorridere e qualcuno con degli strani aggeggi emetteva dei lampi di luce verso di loro. Ad un certo punto ci fu anche un gran ridere. Suo cugino le disse che avevano chiesto quanti anni avesse. Fara aveva dieci anni, ma era molto alta per la sua età e arrivava quasi all'altezza di molti di quei Grandi. Uno di loro intonò una canzone e tutti risero. Fara non capì e suo cugino provò a tradurle il testo. - Noi siamo i Watussi, noi siamo i Watussi, i mitici negri. Ed ogni due passi, ogni due passi facciamo sei metri, ma non so cosa voglia dire – le disse. Alla fine la lasciarono andare. Fara diede un ultimo malinconico sguardo ai tavoli ormai vuoti. Rimaneva un pezzo della torta arancione. Uno dei Grandi si accorse del suo sguardo e gliela porse, non prima di averla spezzata e aver addentato la parte che aveva riservato per se. Fara lo guardò mentre continuava a tenderle il pezzo di torta. - Accettalo, è un dono dei Grandi – le consigliò il cugino. Fara lo accettò e, nuovamente mano nella mano con il soldato, cominciò ad allontanarsi, ancora inebetita. Si voltò ancora una volta, in tempo per vedere suo cugino che sorreggeva una bacinella d’acqua in cui i Grandi che l’avevano toccata si lavavano le mani. Guardò la torta arancione che teneva in mano. Decise di non mangiarla, l’avrebbe divisa con i suoi fratelli. Quel giorno e i successivi Fara udì le trombe diverse altre volte suonare dalla terra dei Grandi. Tutte le volte i suoi fratelli le chiedevano cosa stesse succedendo e la sua risposta era sempre la stessa. - I Grandi stanno facendo uno spuntino.
Fine.
Edited by Peter7413 - 9/8/2009, 02:43
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