Camminando sul filo
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Camminando sul filo

di Andrea Bonvicini, 9383 char

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    - Dottoressa, Le passo il Dottor Middle della Sok’s Limited.
    Non rispose, solo si atteggiò in attesa sulla sua poltrona di pelle nera, e lasciò al segretario di intendere che era pronta a parlare.
    Lasciò passare un paio di ulteriori secondi dacché sentì la voce di Middle all’altro capo.
    - Middle, buongiorno. Lei sa perché la chiamo vero? Suvvia non faccia l’ingenuo con me... Ah sì, eh? E quindi ci ha pensato? No, non credo proprio. È proprio l’ultima offerta... Già... Ah no, io sono ragionevole, sa? Lei mi dia una buona ragione per non prenderla per fame, come dice Lei, e io lo farò... Infatti... Non si appelli al mio buon cuore, allora... No. No, per nulla... E quindi? Senta, lasci stare, non ci provi a blandirmi, non mi chiami Jelèna, no, lasci stare, mi chiami pure come fanno tutti, Jena. Come dice? non si permetterebbe mai? oh, lo fanno tutti, non si faccia scrupoli, sa?
    Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare nel vasto ufficio vetrato da cui poteva abbracciare tutto il piano, perfettamente circolare, in cui lavoravano i dirigenti della Plusskin Incorporated. Della sua Plusskin Incorporated, non riusciva a articolare quelle due parole neanche mentalmente senza premettere anche il possessivo. Tutto era suo là dentro: le idee, il tempo, la luce. E fra qualche minuto avrebbe raggiunto anche il prossimo obiettivo: non c’era da dubitarne, quella mezza calzetta di Middle e la sua Sok’s Limited non potevano resisterle ancora per molto, li teneva per il collo.
    - Sì, capisco, e con ciò?
    Dall’altra parte doveva esserci ormai una pozza di sudore e continuando a rispondergli a monosillabi aspettava solo che si allargasse ancora un po’. Fuori dal suo ufficio, lungo il corrimano della balconata interna, si muoveva come un equilibrista un gattino bianco. Camminava con tutta naturalezza nonostante sotto di sé avesse il vuoto: per un attimo Jeléna rabbrividì. Era stata una sua idea, quella di acquistare una famigliola di gatti. Pensava che avrebbe fatto bene a tutti la vista di quelle vite sinuose che si muovevano, riveriti e coccolati, liberi tra tutti gli uffici. Tutti adoravano soprattutto i gattini, che giocavano sempre insieme. Era sicura che questa immagine di armonia contribuisse al benessere del personale, e lei ci teneva molto a questo, pensò.
    Distrattamente si lisciò la gonna di tweed aderente sui fianchi. Entro sera doveva chiamare il sarto per ordinargli qualcosa di nuovo, aveva già quella certa idea...
    - No, nonsense, puro nonsense.
    Stirando le labbra se le pizzicò con le unghie lunghe badando a non intaccare il rossetto. Si guardò il viso da vicino nel vago riflesso sulla parete vetrata. Si trovò un poco più donna di quanto ricordasse. Non che non le facesse piacere: solo che non poteva permetterselo. Si tirò un passo indietro e si rimirò a figura intera, passandosi una mano sul ventre piatto e sui fianchi piacevoli. Sobbalzò ricordando che di là del vetro potevano vederla.
    - Via, via! - era ora di asciugare la pozzanghera. L’ultima proposta di Middle di là della cornetta l’aveva infastidita e riportata ai suoi doveri di manager.
    Picchiettò sul vetro che dava verso l’ufficio di O’Connor, il suo direttore di staff, e lo convocò con un gesto imperioso, mulinando in alto l’indice. In pochi secondi, come una fedele pattuglia di marines, ebbe schierati sulle sedie dell’ufficio i sette dirigenti di settore. Ognuno, a quel cenno, si precipitava “a far corpo con lei”, era così che usavano dire, e non poteva esserci espressione più adatta nella Plusskin Incorporated.
    Si accomodò di nuovo sulla poltrona dietro la scrivania di solo cristallo e accavallò le gambe sinuose. Cominciava l’ultimo atto del gioco con Middle e attaccò una sequenza incalzante di frasi secche come scudisciate. Ognuna era un fendente terribile su Middle e allo stesso tempo era un ordine a ognuno dei membri dello staff. Le piaceva non dover ordinare nulla, i suoi uomini (tutti solo uomini, e anche questo le piaceva molto) dovevano semplicemente capire ed eseguire, non occorreva che formulasse ordini. La sua persona stessa era già un ordine.
    - È finita Middle, finita, mi capisce, può capire?
    Alzò per un breve istante lo sguardo sulla pattuglia dei dirigenti. O’Connor era di fronte a lei in piedi, le piaceva contare su quelle spalle possenti e su quello sguardo duro e indagatore. Una certezza e un punto di appoggio e con un buon profumo: tutto l’opposto di quell’untuoso di Billings che cercava di fargli le scarpe. Per un attimo perse il filo, ma nessuno, men che meno Middle, ebbe il tempo di accorgersene. Menò le sue sciabolate.
    - Le vostre strutture di management sono azzerate: scelgo io se tenere qualcuno. La società di revisione per la due diligence la indico io. Il portafoglio clientela è valutato al netto dei prossimi sei mesi di ordini. Vuol dire un milione e trecentomila, Middle: punto. Capisce, ora?
    O’Connor non poteva trattenersi dall’ammirare quella precisione da cobra in un corpo da modella. Era l’unico che era rimasto in piedi: il suo compito era coordinare il lavoro del gruppo di dirigenti e quindi non prendeva appunti come gli altri, limitandosi con lievi cenni a sottolineare i passaggi a beneficio del dirigente coinvolto da ogni frase. Teneva lo sguardo dritto su di lei, non dimenticando di far scorrere gli occhi sul suo corpo, ogni tanto. Era un gioco pericoloso: a nessuno era permesso esplicitare uno sguardo di maschile ammirazione di fronte a lei, ma ciascuno era contemporaneamente tenuto a tributargliene non appena lei guardasse altrove. Un gioco pericoloso, ma in cui era maestro. E lei lo sapeva, eccome se lo sapeva, si beveva ognuno di quegli sguardi di ammirazione in incognito. Una questione di istanti, una danza rituale, culto della dea Calì circondata di serpenti.
    Lei accavallò di nuovo le gambe e per un attimo si intravide un bagliore bianco. Di più, gli parve di cogliere l’ansa morbida della sua femminilità. Per un istante ebbe l’idea di lei come madre, ne vide quasi l’utero e poté scoprirne il calore umido e profondo. Non l’aveva mai pensata così, mai così a lungo di sicuro. Un istante di troppo, infatti.
    - Signor O’Connor - disse, fulminando con lo sguardo e senza nemmeno allontanare il telefono - se Lei ha sufficiente tempo per ammirare la mia biancheria, credo che ne troverà anche per scrivere la Sua lettera di dimissioni. - Tutti gelarono. L’istante medesimo però lei era già tornata su Middle.
    - Le è tutto chiaro Signor Middle, immagino. Sì, bene. Complimenti, Signor Middle, benvenuto nella grande famiglia della Jelèna Plusskin Incorporated. Buona sera.
    Alzò lo sguardo in tempo per veder la schiena di O’Connor che chiudeva la porta dietro di sé. Lui sentì quello sguardo su di sé e ne ebbe un peso, un fardello nuovo. Si chiese se stava perdendo solo una carriera o più di quello.
    - Bene, Signor Billings, era da tempo che meditavo di nominarla Direttore di Staff. La prego di comunicare al suo vice che è il nuovo Direttore Amministrativo. Penso non abbiamo altro da dirci, vero?
    Ognuno tornò velocemente al proprio ufficio, o meglio, tutti tranne Billings, che andò in quello dove O’Connor stava preparando le sue scatole. L’acquisizione della Sok’s Limited passò all’atto pratico come pratica sostanzialmente risolta, era sufficiente dare attuazione alla volontà superiore, alla volontà del capo, o, per esser anche qui più precisi, alla volontà della Jena, come pensò ciascuno, ben dentro nella propria testa.
    Billings e O’Connor evitarono di guardarsi mentre questo raccoglieva poche cose in una scatola di cartone. Passando accanto al suo successore gli sussurrò: - Sotto un altro. Ma a te andrà meglio: tu non entri nel gioco, tu guardi solo i numeri.
    Lei intanto era affacciata alla balconata centrale che dava sul vasto cono di spazio vuoto al centro del lussuoso edificio. Per un istante ripensò allo sguardo di O’Connor e non seppe dire se l’aveva infastidita di più impudenza o una forma di pericolo a cui non sapeva dare nome. Bah, poco importava, tutto era a posto. Si sporse e guardò in basso verso la fontana zampillante che occupava l’atrio di ingresso. Scorse uno dei due gattini che camminava sul bordo della piscina. Aguzzò la vista per scoprire dove fosse il secondo gattino: eccolo lì che camminava sul parapetto al terzo cerchio. Ora qualcuno lo stava accarezzando affettuosamente, vedeva solo la mano: sì, aveva avuto proprio una grande idea con quei gatti.
    Poi la mano afferrò il gatto per la collottola, lo sporse nel vuoto e lo lasciò cadere: per un attimo pensò “I gatti cadono sempre bene”, ma subito si rese conto che l’altezza era troppa. Piombò dritto sul bordo della vasta piscina, a meno di un passo dal suo gemello, gli schizzi di sangue e materia cerebrale ne imbrattarono il pelo candido, lo vide distintamente. L’animale si irrigidì un attimo puntando sulle zampe anteriori, sembrava fissasse il fratellino spiaccicato davanti a sé: ma poi passò accanto alla massa inerme e disarticolata come se nulla fosse accaduto.
    Jelèna barcollò e si dovette aggrappare al corrimano in legno pregiato per non cedere all’assalto del nulla che le veniva contro, salendo violento dalla chiazza rossa tre piani più sotto. Una vertigine mai avvertita prima la prese con la violenza di un turbine: aggrappata con entrambe le mani sentì l’orrenda attrattiva dello spazio vuoto che aveva costruito davanti a sé. Chiuse gli occhi e si spinse indietro per far resistenza.
    Incongruentemente pensò che l’unica cosa che desiderasse davvero era un figlio.
    Sulla porta O’Connor non si girò indietro e uscì in uno sbuffo d’aria calda e morbida.

    CITAZIONE
    Nel ringraziare tutti coloro che hanno speso un po' del loro tempo per darmi i loro consigli, riposto il racconto brevemente corretto secondo le indicazioni che mi avete dato. Non ho lavorato sulla struttura del racconto (di cui ribadisco la scelta di indeterminatezza: anche se molti mi hanno invitato a "chiarire" il finale, è una scelta condurre così la storia).
    Trovo davvero interessante la modalità di lavoro di USAM e in futuro mi riprometto di partecipare ancora. Grazie a tutti! PS: per completezza e correttezza allego qui sotto nello spoiler la versione iniziale.

    SPOILER (click to view)
    - Dottoressa, Le passo il Dottor Middle della Sok’s Limited. -
    Non rispose, solo si atteggiò in attesa sulla sua poltrona di pelle nera, e lasciò al segretario di intendere che era pronta a parlare.
    Lasciò passare un paio di ulteriori secondi dacché sentì la voce di Middle all’altro capo.
    - Middle, buongiorno. Lei sa perché la chiamo vero?
    Suvvia non faccia l’ingenuo con me.
    Ah sì, eh?
    E quindi ci ha pensato?
    No, non credo proprio. È proprio l’ultima offerta.
    Già.
    Ah no, io sono ragionevole, sa? Lei mi dia una buona ragione per non prenderla per fame, come dice Lei, e io lo farò.
    Infatti. Non si appelli al mio buon cuore, allora.
    No.
    No, per nulla.
    E quindi?
    Senta, lasci stare, non ci provi a blandirmi, non mi chiami Jelèna, no, lasci stare, mi chiami pure come fanno tutti, Jena, Jena Plissken se vuole e Le piacciono i film. Come dice? non si permetterebbe mai? oh, lo fanno tutti, non si faccia scrupoli, sa? -
    Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare nel vasto ufficio vetrato da cui poteva abbracciare tutto il piano, perfettamente circolare, in cui lavoravano i dirigenti della Plusskin Incorporated. Della sua Plusskin Incorporated, non riusciva a articolare quelle due parole neanche mentalmente senza premettere anche il possessivo. Tutto era suo là dentro: le idee, il tempo, la luce. E fra qualche minuto avrebbe raggiunto anche il prossimo obiettivo: non c’era da dubitarne, quella mezza calzetta di Middle e la sua Sok’s Limited non potevano resistergli ancora per molto, li teneva per il collo.
    - Sì, capisco, e con ciò? -
    Dall’altra parte doveva esserci ormai una pozza di sudore e continuando a rispondergli a monosillabi aspettava solo che si allargasse ancora un po’.
    - Umpf. -
    Distrattamente si lisciava la corta gonna di tweed aderente sui fianchi. Entro sera doveva chiamare il sarto per ordinargli qualcosa di nuovo, aveva già quella certa idea...
    - No, nonsense, puro nonsense. -
    Stirando le labbra se le pizzicò con le unghie lunghe badando a non intaccare il rossetto. Si guardò il viso da vicino nel vago riflesso sulla parete vetrata. Si trovò un poco più donna di quanto ricordasse. Non che non le facesse piacere: solo che non poteva permetterselo. Si tirò un passo indietro e si rimirò a figura intera, passandosi una mano sul ventre piatto e sui fianchi piacevoli. Sobbalzò ricordando che di là del vetro potevano vederla.
    - Via, via! - era ora di asciugare la pozzanghera. L’ultima proposta di Middle di là della cornetta l’aveva infastidita e riportata ai suoi doveri di manager.
    Picchiettò sul vetro che dava verso l’ufficio di O’Connor, il suo direttore di staff, e lo convocò con un gesto imperioso, mulinando in alto l’indice. In pochi secondi, come una fedele pattuglia di marines, ebbe schierati sulle sedie dell’ufficio i sette dirigenti di settore. Ognuno, a quel cenno, si precipitava “a far corpo con lei”, era così che usavano dire, e non poteva esserci espressione più adatta nella Plusskin Incorporated.
    Si accomodò di nuovo sulla poltrona dietro la scrivania di solo cristallo e accavallò le gambe sinuose. Cominciava l’ultimo atto del gioco con Middle e attaccò una sequenza incalzante di frasi secche come scudisciate. Ognuna era un fendente terribile su Middle e allo stesso tempo era un ordine a ognuno dei membri dello staff. Le piaceva non dover ordinare nulla, i suoi uomini (tutti solo uomini, e anche questo le piaceva molto) dovevano semplicemente capire ed eseguire, non occorreva che formulasse ordini. La sua persona stessa era già un ordine.
    - È finita Middle, finita, mi capisce, può capire? -
    Alzò per un breve istante lo sguardo sulla pattuglia dei dirigenti. O’Connor era di fronte a lei in piedi, gli piaceva contare su quelle spalle possenti e su quello sguardo duro e indagatore. Una certezza e un punto di appoggio e con un buon profumo: tutto l’opposto di quell’untuoso di Billings che cercava di fargli le scarpe. Per un attimo perse il filo, ma nessuno, men che meno Middle, ebbe il tempo di accorgersene. Menò le sue sciabolate.
    - Le vostre strutture di management sono azzerate: scelgo io se tenere qualcuno.
    La società di revisione per la due diligence la indico io.
    Il portafoglio clientela è valutato al netto dei prossimi sei mesi di ordini.
    Vuol dire un milione e trecentomila, Middle: punto.
    Capisce, ora?-
    O’Connor non poteva trattenersi dall’ammirare quella precisione da cobra in un corpo da modella. Era l’unico che era rimasto in piedi: il suo compito era coordinare il lavoro del gruppo di dirigenti e quindi non prendeva appunti come gli altri, limitandosi con lievi cenni a sottolineare i passaggi a beneficio del dirigente coinvolto da ogni frase. Teneva lo sguardo dritto su di lei, non dimenticando di far scorrere gli occhi sul suo corpo, ogni tanto. Era un gioco pericoloso: a nessuno era permesso esplicitare uno sguardo di maschile ammirazione di fronte a lei, ma ciascuno era contemporaneamente tenuto a tributargliene non appena lei guardasse altrove. Un gioco pericoloso, ma in cui era maestro. E lei lo sapeva, eccome se lo sapeva, si beveva ognuno di quegli sguardi di ammirazione in incognito. Una questione di istanti, una danza rituale, culto della dea Calì circondata di serpenti.
    Lei accavallò di nuovo le gambe e per un attimo si intravide un bagliore bianco. Di più, gli parve di cogliere l’ansa morbida della sua femminilità. Per un istante ebbe l’idea di lei come madre, ne vide quasi l’utero e poté scoprirne il calore umido e profondo. Non l’aveva mai pensata così, mai così a lungo di sicuro. Un istante di troppo, infatti.
    - Signor O’Connor - disse, fulminando con lo sguardo e senza nemmeno allontanare il telefono - se Lei ha sufficiente tempo per ammirare la mia biancheria, credo che ne troverà anche per scrivere la Sua lettera di dimissioni. - Tutti gelarono. L’istante medesimo però lei era già tornata su Middle.
    - Le è tutto chiaro Signor Middle, immagino.
    Sì, bene.
    Complimenti, Signor Middle, benvenuto nella grande famiglia della Jelèna Plusskin Incorporated. Buona sera. -
    Alzò lo sguardo in tempo per veder la schiena di O’Connor che chiudeva la porta dietro di sé. Lui sentì quello sguardo su di sé e ne ebbe un peso, un fardello nuovo. Si chiese se stava perdendo solo una carriera o più di quello.
    - Bene, Signor Billings, era da tempo che meditavo di nominarla Direttore di Staff. La prego di comunicare al suo vice che è il nuovo Direttore Amministrativo. Penso non abbiamo altro da dirci, vero? -
    Ognuno tornò velocemente al proprio ufficio, o meglio, tutti tranne Billings, che andò in quello dove O’Connor stava preparando le sue scatole. L’acquisizione della Sok’s Limited passò all’atto pratico come pratica sostanzialmente risolta, era sufficiente dare attuazione alla volontà superiore, alla volontà del capo, o, per esser anche qui più precisi, alla volontà della Jena, come pensò ciascuno, ben dentro nella propria testa.
    Billings e O’Connor evitarono di guardarsi mentre questo raccoglieva poche cose in una scatola di cartone. Passando accanto al suo successore gli sussurrò: “Sotto un altro. Ma a te andrà meglio: tu non entri nel gioco, tu guardi solo i numeri.”
    Lei intanto era affacciata alla balconata centrale che dava sul vasto cono di spazio vuoto al centro del lussuoso edificio. Per un breve istante ripensò allo sguardo di O’Connor e non seppe dire se l’aveva infastidito di più impudenza o una forma di pericolo a cui non sapeva dare nome. Bah, poco importava, tutto era a posto. Si sporse e guardò in basso verso la fontana zampillante che occupava l’atrio di ingresso. Scorse uno dei due gattini che camminava sul bordo della piscina. Era stata una sua idea, quella di acquistare una famigliola di gatti. Pensava che avrebbe fatto bene a tutti la vista di quelle vite sinuose che si muovevano, riveriti e coccolati, liberi tra tutti gli uffici. Tutti adoravano soprattutto i gattini, che giocavano sempre insieme. Era sicura che questa immagine di armonia contribuisse al benessere del personale, e lei ci teneva molto a questo, pensò. Aguzzò la vista per scoprire dove fosse il secondo gattino: eccolo lì che camminava sul parapetto al terzo cerchio. Ora qualcuno lo stava accarezzando affettuosamente, vedeva solo la mano: sì, aveva avuto proprio una grande idea con quei gatti.
    Poi la mano afferrò il gatto per la collottola, lo sporse nel vuoto e lo lasciò cadere: per un attimo pensò “I gatti cadono sempre bene”, ma subito si rese conto che l’altezza era troppa. Piombò dritto sul bordo della vasta piscina, a meno di un passo dal suo gemello, gli schizzi di sangue e materia cerebrale ne imbrattarono il pelo candido, lo vide distintamente. L’animale si irrigidì un attimo puntando sulle zampe anteriori, sembrava fissasse il fratellino spiaccicato davanti a sé: ma poi passò accanto alla massa inerme e disarticolata come se nulla fosse accaduto.
    Jelèna barcollò e si dovette aggrappare al corrimano in legno pregiato per non cedere all’assalto del nulla che le veniva contro, salendo violento dalla chiazza rossa tre piani più sotto. Una vertigine mai avvertita prima la prese con la violenza di un turbine: aggrappata con entrambe le mani sentì l’orrenda attrattiva dello spazio vuoto che aveva costruito davanti a sé. Chiuse gli occhi e si spinse indietro per far resistenza.
    Incongruentemente pensò che l’unica cosa che desiderasse davvero era un figlio.
    Sulla porta O’Connor non si girò indietro e uscì in uno sbuffo d’aria calda e morbida.


    Edited by abonvi - 12/4/2009, 11:48
     
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  2. VickyA
     
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    Here I am!

    ciao Andrea e benvenuto in USAM. mi lancio nel commento al tuo scritto, nell'ormai mio modo consueto.

    pros
    il racconto descrive bene delle situazioni aziendali reali, sembri essere esperto del campo. il tuo stile si mantiene fluido e il racconto, breve e incisivo, si lascia leggere fino in fondo con un discreto interesse. i personaggi risultano ben caratterizzati e descritti.

    cons
    noto, non me ne volere, una certa rigidezza di stile, direi forse da persona con un background culturale tecnico. non so, manca forse un po' di slancio creativo al tuo lavoro, in questo senso la storia si dipana in modo abbastanza prevedibile, con un finale che solo parzialmente riscatta lo stereotipo narrativo.

    in sintesi penso che tu abbia i mezzi per fare molto meglio. forse non scrivi da troppo tempo, puoi dunque rendere maggiormente creativa la tua opera. un discreto debutto ma non tale da convincermi a darti un 3. voto 2.

    Kisses,
    Vicky

    P.S. da regolamento devi autoassegnarti un 4.
     
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  3. abonvi
     
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    Grazie Vicky! che bello avere degli editor (gratis) che ti aiutano a aggiustare il tiro! ho conosciuto solo ieri USAM (da "undiciparole" su forumfree, letta la mia autopresentazione eh?) e mi pare che sia una gran bella iniziativa per lavorare insieme sulla scrittura.
    Sì, il racconto è rigidino (è l'unico racconto di ambito aziendale che ho scritto a dire il vero, e si sente) e in realtà è un'esercizio di scrittura. Il fascino (per me) è appunto il tema (latente magari) appunto del contrasto rigidezza-morbidità. Un contrasto in cui Jelèna e O'Connor sono entrambi coinvolti e da cui (probabilmente entrambi) non sembrano capaci di disincastrarsi. I effetti lo sviluppo sulla rigidità ha preso un poco troppo il sopravvento.
    Era il mio primo approccio a USAM, nei mesi prox proverò con altre cose che amo di più.
    Un forte ringaziamento intanto, here we are!
    PS: mi era sfuggito il particolare di autoassegnarsi 4... eseguo
     
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  4. federica68
     
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    ciao andrea
    vedo che è il tuo esordio in usam, parto subito con i commenti

    il racconto mi sembra abbastanza ben gestito a livello tecnico, si vede che hai dimestichezza con le dinamiche aziendali, ma non vedo il senso di ambientarlo in ambiente anglosassone. Voglio dire la scena si svolge interamente dentro un ufficio, potrebbe essere tranquillamente a Milano o a Roma. L'ambientazione non ne risentirebbe e neppure i personaggi.
    A questo proposito leggi qui:
    http://xii.forumfree.net/?t=34356076

    poi un'altra cosa che salta all'occhio sono i numerosi errori grammaticali sul pronome che usi: usi spesso "gli" riferito alla protagonista.
    Te ne segnalo alcuni.
    CITAZIONE
    quella mezza calzetta di Middle e la sua Sok’s Limited non potevano resistergli ancora per molto

    CITAZIONE
    O’Connor era di fronte a lei in piedi, gli piaceva contare su quelle spalle possenti

    CITAZIONE
    Per un breve istante ripensò allo sguardo di O’Connor e non seppe dire se l’aveva infastidito di più impudenza

    qui manca anche l'articolo prima di impudenza, e il verbo è al maschile

    Non scendo nei particolari riguardo alla trama, ma il finale lo trovo gratuito, voglio dire, potevi sviluppare di più la cosa. I gatti compaiono solo pochi passaggi prima del finale, e subito credevo che fosse stato O'connor a sfrancicare il gatto, per una specie di vendetta psicologica su di lei, ma la cosa non è chiara... forse dovresti rendere più chiaro il tutto.

    ho trovato anche poco empatici i personaggi. Voglio dire, sono un po' raccontati da fuori, non sono riuscita a entrare dentro, nè nei "buoni" nè nei "cattivi"...
    l'unico con cui ho empatizzato è stato il gatto, azz!! non so se era nelle tue intenzioni, ma è l'effetto che mi ha fatto

    ma tutto questo è marginale perchè gli errori grammaticali pesano molto, non devono essercene in un racconto. Il fatto che siano ripetuti indica che non si tratta di sviste, e influiscono molto sul giudizio finale... non volermene, ma questa cosa non mi fa andare oltre un 1, indipendentemente dalla trama





     
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  5. abonvi
     
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    Federica: innanzitutto grazie di avermi dedicato del tempo.
    Provo a dirti la mia:
    - ambientazione americana: ci ho pensato molto anch'io, questo modo di condurre l'azienda è (per fortuna) molto più americano che italiano, quindi ho optato per nomi americani che mi hanno consentito qualche gioco di parole sui nomi (Jelèna/jena, Plusskin/Plissken, Billings, Middle+Soks....): puro divertissement che va benissimo che sia rimasto nascosto almeno alla prima lettura
    -nessuna empatia con i personaggi: MOLTO tipico di un ambiente aziendal/anglosassone, un po' voluto un po' pecca mia (a cui cerco di rimediare prorio cercando confronto in ambienti come questo)
    -è O'Connor che ammazza il gatto? non è chiaro... certo che no! voluto, volutissimo!
    -e adesso veniamo al carico da novanta, gli errori grammaticali: imperdonabili! vado a correggerli circonfuso di rossore e vergogna..., l'uno è meritato
     
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  6. stefko01
     
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    Ciao Andrea.

    Hai visto USAM com'e' utile?
    Vedrai che i tuoi scritti diventeranno subito migliori.
    Poi ti sei subito imbattuto in Federica, da me chiamata arcierina, per la precisione dei suoi colpi! :D

    Abituati dunque a essere trafitto, oppure proteggiti con lo scudo della rilettura attenta, magari su carta.

    Sul tuo racconto, sì l'ambientazione e i nomi americani era un tema che avevo sollevato proprio io a Grazia Gironella (tar-alima), trionfatrice del primo anno di USAM e straordinaria narratrice (almeno per me) in occasione di un suo racconto ambientato a Boston.

    La discussione che Federica ti ha segnalato e' molto utile, leggila con attenzione e poi traine pure le tue conclusioni.

    Guarda mi sembra strana che questa cosa non te l'abbia già fatta notare Vicky, che è anglosassone (scozzese per la precisione) e lavora a Torino per una multinazionale. Una (delicata) tiratina di orecchie a lei.

    Del tuo racconto mi è piaciuta l'idea, ma come dire, lo sviluppo mi e' sembrato un po' piatto. Manca un sussulto, i personaggi sono troppo prevedibili nei comportamenti.

    Una mia fissazione poi, non condivisa da tutti su USAM, e' che la ricchezza di aggettivi indebolisce i sostantivi e la storia ne risente.

    E' una questione di gusti, questa, ma cosi' radicata che non riesco a censurarmi. Poi quando l'aggettivo precede il nome, tipo "corta gonna" mi vengono le bolle sulla retina... :D

    Alcune volte l'aggettivo e' proprio inutile, tipo "breve istante", non ti pare?

    Per me il top della disgrazia un racconto ce l'ha con i tripli aggettivi, ma anche i doppi non scherzano.

    Quindi si' agli aggettivi ma con moderazione, questo e' il mio umile e spesso inascoltato pensiero.
    Usare troppi aggettivi per me equivale a non saper trovare il sostantivo giusto.
    Moderazione dunque con gli aggettivi, come con gli avverbi in "mente", quest'ultima cosa l'ho impartata da Federica, e ancora la ringrazio.

    Il voto e' 2, per me.

    Saluti e a rileggerci, qui e altrove.

    Stefano



     
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  7. abonvi
     
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    Grazie Stefano. Sì, mi pare proprio che USAM sia una gran cosa, e stavo cercando prorio questo. Che ci siano persone che dedicano del tempo agli altri per correggerli e (ove necessario) trafiggerli mi stupisce molto. Non mi sento in grado di farlo con altri per il momento, non so se questo negli usi e costumi di USAM sia una violazione di etichetta. Grazie bella compagnia!
    Interessante il tuo punto di vista sugli aggettivi: non mi trova del tutto d'accordo ma mi indica una strada di attenzione da avere. E, a proposito, "breve istante" è proprio una boiata!
    Sai, di carattere sono uno che "se la prende" facilmente e non ho mai preso di buon grado le correzioni. Mai ... fino a adesso, si vede che ci tengo proprio a che la mia scrittura cresca!
     
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  8. Daniele_QM
     
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    Il racconto fila abbastanza, molto cinico e a tratti fastidioso, incluso il finale - ma è un'annotazione personale che non inficia sul mio giudizio.
    Non mi è piaciuto come hai gestito la telefonata, l'andare a capo a ogni strofa in quel modo senza dare continuità al dialogo.
    A livello di storia non si capisce bene l'intento finale, non mi ha trasmesso molto, al di là che sia scritta bene e il personaggio della jena sia ben delineato, motivo per cui il mio voto è 2.
     
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  9. abonvi
     
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    Grazie intanto, Daniele.
    Il racconto l'ho affrontato per me come un esercizio proprio sui dialoghi. Mi interessava vedere se riuscivo a dare un senso alla telefonata sentendone un capo solo. Mi rendo conto che è molto rigida, forse hai ragione che la soluzione "grafica" degli a-capo frequenti è un po' fastidiosa. Ci lavoro su. L'intento era quello di dare il senso dello spezzettamento, della frammentazione: mi capita spesso in azienda di stare a sentire uno mentre parla al telefono ed è abbastanza affascinante questa "uniliteralità" della comunicazione. Non rimane nulla di definitorio e in fin dei conti puoi abbastenza fraintedere quello che c'è e accade dall'altro lato del filo... A questo ho tentato di rimediare con un po' di "narratore onnisciente" che riferiva per il tramite dei pensieri di Jelèna quel che accadava a Middle.
    Per questo stesso senso di indeterminatezza ho volutamente non troppo scavato sul finale e sul senso totale e quindi "l'intento finale" non è chiarissimo (ma leggendo al livello giusto, badando alle simmetrie e ai richiami secondo me viene fuori abbastanza). D'altronde, non è così forse che ci succede ogni giorno? Quel che ci accade ci indica un senso ma non è mai "definitorio"...
    Comunque su queste riflessioni che mi avete suscitatao (assai preziose), stasera butto giù qualcosa ancora.
    Lascio per ultima la questione "cinismo" e "fastidio": ho fatto centro se ho suscitato queste idee. Ma non è tutto lì. Il mondo è cinico e descriverlo così pare accentuare il cinismo, ma nascosto qua e là c'è l'imprevisto. Non è detto che Jelèna e O'Connor insomma (e i lettori dunque) non ne traggano una "deriva" diversa, la grazia agisce così. Tieni conto che in questo i miei due riferimenti sono Flannery O'Connor e Raymond Carver (non il primissimo, quella da "Cattedrale" in poi per intenderci...) [spero tu li conosca, sennò sono un consiglio].
    Grazie di nuovo
     
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  10. Okamis
     
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    Condivido in toto quanto scritto da Federica e Stefk, pertanto mi limito ad aggiungere solo qualche brevissima considerazione.
    Innanzitutto, nella prima frase il periodo è chiuso da un secondo tratto sospeso, cosa che è sbagliata a livello di uniformazione (solo le virgolette uncinate necessitano sempre della chiusura). Discorso analogo vale per tutto il dialogo successivo (a una prima lettura avevo pensato che fossero due personaggi a parlare, senza capirci nulla). Avrei trovato molto più semplice, per il lettore, tutto il discorso sulla stessa riga, con i singoli passaggi divisi da dei punti di sospensione. Così com'è, il testo crea solo una grandissima confusione iniziale.
    Detto ciò, ho trovato l'atteggiamento di O'Connor un po' irrealistico. Se ne va come se nulla fosse, quasi che abbia ricevuto una notizia come tante altre?
    Mi spiace, ma allo stato attuale, è 1 anche per me.
     
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  11. rehel
     
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    Mi sono piantato dopo poche righe.
    Mancano i trattini dei dialoghi e tutto è difficilmente comprensibile.
    Ci sono errori e frasi girate a rovescio...
    Mi spiace... senza voto.
     
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    Ciao,
    come sempre i commenti già presenti li leggo dopo... quindi potrei ripetere qualcosa...
    SPOILER (click to view)
    allora... intanto ho trovato un certo "disordine" nel racconto...
    in primo luogo devi ordinare meglio i discorsi diretti: anche se si tratta di una conversazione unilaterale al telefono, e quindi il lettore non "sente" l'altra parte, non puoi andare a capo, perché non permetti al lettore di capire. Usa il corsivo e metti di seguito, metti delle pause descrittive, o vai di seguito. Inoltre se usi i trattini, il trattino non va messo a chiusura del dialogo se vai a capo. Quindi "- Sì, capisco, e con ciò?" e non "- Sì, capisco, e con ciò? -"
    In un altro punto usi le virgolette.
    Al contrario potresti beneficiare di andare a capo (e quindi di creare pause a effetto) nei momenti descrittivi, soprattutto visto il ritmo incalzante che prendi nella seconda parte.

    Ambientazione: questa è un'osservazione più che un giudizio, ma non vedo perché la stessa cosa non poteva essere ambientata in Italia (tra l'altro sei incappato in una piccola incongruenza involontaria. Sei negli USA, ma usi il riferimento a Jena Plissken, che però era il nome dato a Kurt Russell nella versione italiana, dato che in quella americana il personaggio è chiamato Snake Plissken). Questo non per voglia di italianità tutti i costi, ma perché questa americanità forzata quando non necessaria sa sempre di posticcio.

    Trama. Più che un racconto è una vignetta, con spietati personaggi che fanno il loro gioco, però lascia poco. Mentre il voler mostrare la freddezza della protagonista tramite le sue azioni piuttosto che definirla e basta è più che positivo, mi è rimasto in bocca un'atmosfera stereotipata, forse forzata, di certo patinata. Di certo la narrazione ha un discreto ritmo, ma non solo non mi ha coinvolto per nulla, ma tende a essere poco chiara nella parte finale su chi fa cosa e soprattutto perché.

    Metto un 2
     
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  13. cattanu88
     
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    Per me è un 1 e ti spiego presto perché: non c'è trama (è una telefonata con una visione del gattino che muore), i discorsi sono difficili da cogliere e comprendere, ci sono alternanze di pensieri fra Jelena e O'Connor troppo repentini, non si capisce chi o perché viene ammazzato il gattino.

    Non mi è piaciuto, scusami.
     
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  14. Okamis
     
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    Ti conviene andare a sostituire la versione che si trova in cima alla pagina, altrimenti chi non ha ancora letto il tuo racconto potrebbe non accorgersi della versione riveduta e corretta che si trova in fondo ;)
     
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  15. abonvi
     
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    @Okamis: grazie del consiglio, non avevo visto il tasto [Modif]. Eseguito!
     
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21 replies since 4/4/2009, 17:24   281 views
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