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- Dottoressa, Le passo il Dottor Middle della Sok’s Limited. Non rispose, solo si atteggiò in attesa sulla sua poltrona di pelle nera, e lasciò al segretario di intendere che era pronta a parlare. Lasciò passare un paio di ulteriori secondi dacché sentì la voce di Middle all’altro capo. - Middle, buongiorno. Lei sa perché la chiamo vero? Suvvia non faccia l’ingenuo con me... Ah sì, eh? E quindi ci ha pensato? No, non credo proprio. È proprio l’ultima offerta... Già... Ah no, io sono ragionevole, sa? Lei mi dia una buona ragione per non prenderla per fame, come dice Lei, e io lo farò... Infatti... Non si appelli al mio buon cuore, allora... No. No, per nulla... E quindi? Senta, lasci stare, non ci provi a blandirmi, non mi chiami Jelèna, no, lasci stare, mi chiami pure come fanno tutti, Jena. Come dice? non si permetterebbe mai? oh, lo fanno tutti, non si faccia scrupoli, sa? Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare nel vasto ufficio vetrato da cui poteva abbracciare tutto il piano, perfettamente circolare, in cui lavoravano i dirigenti della Plusskin Incorporated. Della sua Plusskin Incorporated, non riusciva a articolare quelle due parole neanche mentalmente senza premettere anche il possessivo. Tutto era suo là dentro: le idee, il tempo, la luce. E fra qualche minuto avrebbe raggiunto anche il prossimo obiettivo: non c’era da dubitarne, quella mezza calzetta di Middle e la sua Sok’s Limited non potevano resisterle ancora per molto, li teneva per il collo. - Sì, capisco, e con ciò? Dall’altra parte doveva esserci ormai una pozza di sudore e continuando a rispondergli a monosillabi aspettava solo che si allargasse ancora un po’. Fuori dal suo ufficio, lungo il corrimano della balconata interna, si muoveva come un equilibrista un gattino bianco. Camminava con tutta naturalezza nonostante sotto di sé avesse il vuoto: per un attimo Jeléna rabbrividì. Era stata una sua idea, quella di acquistare una famigliola di gatti. Pensava che avrebbe fatto bene a tutti la vista di quelle vite sinuose che si muovevano, riveriti e coccolati, liberi tra tutti gli uffici. Tutti adoravano soprattutto i gattini, che giocavano sempre insieme. Era sicura che questa immagine di armonia contribuisse al benessere del personale, e lei ci teneva molto a questo, pensò. Distrattamente si lisciò la gonna di tweed aderente sui fianchi. Entro sera doveva chiamare il sarto per ordinargli qualcosa di nuovo, aveva già quella certa idea... - No, nonsense, puro nonsense. Stirando le labbra se le pizzicò con le unghie lunghe badando a non intaccare il rossetto. Si guardò il viso da vicino nel vago riflesso sulla parete vetrata. Si trovò un poco più donna di quanto ricordasse. Non che non le facesse piacere: solo che non poteva permetterselo. Si tirò un passo indietro e si rimirò a figura intera, passandosi una mano sul ventre piatto e sui fianchi piacevoli. Sobbalzò ricordando che di là del vetro potevano vederla. - Via, via! - era ora di asciugare la pozzanghera. L’ultima proposta di Middle di là della cornetta l’aveva infastidita e riportata ai suoi doveri di manager. Picchiettò sul vetro che dava verso l’ufficio di O’Connor, il suo direttore di staff, e lo convocò con un gesto imperioso, mulinando in alto l’indice. In pochi secondi, come una fedele pattuglia di marines, ebbe schierati sulle sedie dell’ufficio i sette dirigenti di settore. Ognuno, a quel cenno, si precipitava “a far corpo con lei”, era così che usavano dire, e non poteva esserci espressione più adatta nella Plusskin Incorporated. Si accomodò di nuovo sulla poltrona dietro la scrivania di solo cristallo e accavallò le gambe sinuose. Cominciava l’ultimo atto del gioco con Middle e attaccò una sequenza incalzante di frasi secche come scudisciate. Ognuna era un fendente terribile su Middle e allo stesso tempo era un ordine a ognuno dei membri dello staff. Le piaceva non dover ordinare nulla, i suoi uomini (tutti solo uomini, e anche questo le piaceva molto) dovevano semplicemente capire ed eseguire, non occorreva che formulasse ordini. La sua persona stessa era già un ordine. - È finita Middle, finita, mi capisce, può capire? Alzò per un breve istante lo sguardo sulla pattuglia dei dirigenti. O’Connor era di fronte a lei in piedi, le piaceva contare su quelle spalle possenti e su quello sguardo duro e indagatore. Una certezza e un punto di appoggio e con un buon profumo: tutto l’opposto di quell’untuoso di Billings che cercava di fargli le scarpe. Per un attimo perse il filo, ma nessuno, men che meno Middle, ebbe il tempo di accorgersene. Menò le sue sciabolate. - Le vostre strutture di management sono azzerate: scelgo io se tenere qualcuno. La società di revisione per la due diligence la indico io. Il portafoglio clientela è valutato al netto dei prossimi sei mesi di ordini. Vuol dire un milione e trecentomila, Middle: punto. Capisce, ora? O’Connor non poteva trattenersi dall’ammirare quella precisione da cobra in un corpo da modella. Era l’unico che era rimasto in piedi: il suo compito era coordinare il lavoro del gruppo di dirigenti e quindi non prendeva appunti come gli altri, limitandosi con lievi cenni a sottolineare i passaggi a beneficio del dirigente coinvolto da ogni frase. Teneva lo sguardo dritto su di lei, non dimenticando di far scorrere gli occhi sul suo corpo, ogni tanto. Era un gioco pericoloso: a nessuno era permesso esplicitare uno sguardo di maschile ammirazione di fronte a lei, ma ciascuno era contemporaneamente tenuto a tributargliene non appena lei guardasse altrove. Un gioco pericoloso, ma in cui era maestro. E lei lo sapeva, eccome se lo sapeva, si beveva ognuno di quegli sguardi di ammirazione in incognito. Una questione di istanti, una danza rituale, culto della dea Calì circondata di serpenti. Lei accavallò di nuovo le gambe e per un attimo si intravide un bagliore bianco. Di più, gli parve di cogliere l’ansa morbida della sua femminilità. Per un istante ebbe l’idea di lei come madre, ne vide quasi l’utero e poté scoprirne il calore umido e profondo. Non l’aveva mai pensata così, mai così a lungo di sicuro. Un istante di troppo, infatti. - Signor O’Connor - disse, fulminando con lo sguardo e senza nemmeno allontanare il telefono - se Lei ha sufficiente tempo per ammirare la mia biancheria, credo che ne troverà anche per scrivere la Sua lettera di dimissioni. - Tutti gelarono. L’istante medesimo però lei era già tornata su Middle. - Le è tutto chiaro Signor Middle, immagino. Sì, bene. Complimenti, Signor Middle, benvenuto nella grande famiglia della Jelèna Plusskin Incorporated. Buona sera. Alzò lo sguardo in tempo per veder la schiena di O’Connor che chiudeva la porta dietro di sé. Lui sentì quello sguardo su di sé e ne ebbe un peso, un fardello nuovo. Si chiese se stava perdendo solo una carriera o più di quello. - Bene, Signor Billings, era da tempo che meditavo di nominarla Direttore di Staff. La prego di comunicare al suo vice che è il nuovo Direttore Amministrativo. Penso non abbiamo altro da dirci, vero? Ognuno tornò velocemente al proprio ufficio, o meglio, tutti tranne Billings, che andò in quello dove O’Connor stava preparando le sue scatole. L’acquisizione della Sok’s Limited passò all’atto pratico come pratica sostanzialmente risolta, era sufficiente dare attuazione alla volontà superiore, alla volontà del capo, o, per esser anche qui più precisi, alla volontà della Jena, come pensò ciascuno, ben dentro nella propria testa. Billings e O’Connor evitarono di guardarsi mentre questo raccoglieva poche cose in una scatola di cartone. Passando accanto al suo successore gli sussurrò: - Sotto un altro. Ma a te andrà meglio: tu non entri nel gioco, tu guardi solo i numeri. Lei intanto era affacciata alla balconata centrale che dava sul vasto cono di spazio vuoto al centro del lussuoso edificio. Per un istante ripensò allo sguardo di O’Connor e non seppe dire se l’aveva infastidita di più impudenza o una forma di pericolo a cui non sapeva dare nome. Bah, poco importava, tutto era a posto. Si sporse e guardò in basso verso la fontana zampillante che occupava l’atrio di ingresso. Scorse uno dei due gattini che camminava sul bordo della piscina. Aguzzò la vista per scoprire dove fosse il secondo gattino: eccolo lì che camminava sul parapetto al terzo cerchio. Ora qualcuno lo stava accarezzando affettuosamente, vedeva solo la mano: sì, aveva avuto proprio una grande idea con quei gatti. Poi la mano afferrò il gatto per la collottola, lo sporse nel vuoto e lo lasciò cadere: per un attimo pensò “I gatti cadono sempre bene”, ma subito si rese conto che l’altezza era troppa. Piombò dritto sul bordo della vasta piscina, a meno di un passo dal suo gemello, gli schizzi di sangue e materia cerebrale ne imbrattarono il pelo candido, lo vide distintamente. L’animale si irrigidì un attimo puntando sulle zampe anteriori, sembrava fissasse il fratellino spiaccicato davanti a sé: ma poi passò accanto alla massa inerme e disarticolata come se nulla fosse accaduto. Jelèna barcollò e si dovette aggrappare al corrimano in legno pregiato per non cedere all’assalto del nulla che le veniva contro, salendo violento dalla chiazza rossa tre piani più sotto. Una vertigine mai avvertita prima la prese con la violenza di un turbine: aggrappata con entrambe le mani sentì l’orrenda attrattiva dello spazio vuoto che aveva costruito davanti a sé. Chiuse gli occhi e si spinse indietro per far resistenza. Incongruentemente pensò che l’unica cosa che desiderasse davvero era un figlio. Sulla porta O’Connor non si girò indietro e uscì in uno sbuffo d’aria calda e morbida.
CITAZIONE Nel ringraziare tutti coloro che hanno speso un po' del loro tempo per darmi i loro consigli, riposto il racconto brevemente corretto secondo le indicazioni che mi avete dato. Non ho lavorato sulla struttura del racconto (di cui ribadisco la scelta di indeterminatezza: anche se molti mi hanno invitato a "chiarire" il finale, è una scelta condurre così la storia). Trovo davvero interessante la modalità di lavoro di USAM e in futuro mi riprometto di partecipare ancora. Grazie a tutti! PS: per completezza e correttezza allego qui sotto nello spoiler la versione iniziale.
- Dottoressa, Le passo il Dottor Middle della Sok’s Limited. - Non rispose, solo si atteggiò in attesa sulla sua poltrona di pelle nera, e lasciò al segretario di intendere che era pronta a parlare. Lasciò passare un paio di ulteriori secondi dacché sentì la voce di Middle all’altro capo. - Middle, buongiorno. Lei sa perché la chiamo vero? Suvvia non faccia l’ingenuo con me. Ah sì, eh? E quindi ci ha pensato? No, non credo proprio. È proprio l’ultima offerta. Già. Ah no, io sono ragionevole, sa? Lei mi dia una buona ragione per non prenderla per fame, come dice Lei, e io lo farò. Infatti. Non si appelli al mio buon cuore, allora. No. No, per nulla. E quindi? Senta, lasci stare, non ci provi a blandirmi, non mi chiami Jelèna, no, lasci stare, mi chiami pure come fanno tutti, Jena, Jena Plissken se vuole e Le piacciono i film. Come dice? non si permetterebbe mai? oh, lo fanno tutti, non si faccia scrupoli, sa? - Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare nel vasto ufficio vetrato da cui poteva abbracciare tutto il piano, perfettamente circolare, in cui lavoravano i dirigenti della Plusskin Incorporated. Della sua Plusskin Incorporated, non riusciva a articolare quelle due parole neanche mentalmente senza premettere anche il possessivo. Tutto era suo là dentro: le idee, il tempo, la luce. E fra qualche minuto avrebbe raggiunto anche il prossimo obiettivo: non c’era da dubitarne, quella mezza calzetta di Middle e la sua Sok’s Limited non potevano resistergli ancora per molto, li teneva per il collo. - Sì, capisco, e con ciò? - Dall’altra parte doveva esserci ormai una pozza di sudore e continuando a rispondergli a monosillabi aspettava solo che si allargasse ancora un po’. - Umpf. - Distrattamente si lisciava la corta gonna di tweed aderente sui fianchi. Entro sera doveva chiamare il sarto per ordinargli qualcosa di nuovo, aveva già quella certa idea... - No, nonsense, puro nonsense. - Stirando le labbra se le pizzicò con le unghie lunghe badando a non intaccare il rossetto. Si guardò il viso da vicino nel vago riflesso sulla parete vetrata. Si trovò un poco più donna di quanto ricordasse. Non che non le facesse piacere: solo che non poteva permetterselo. Si tirò un passo indietro e si rimirò a figura intera, passandosi una mano sul ventre piatto e sui fianchi piacevoli. Sobbalzò ricordando che di là del vetro potevano vederla. - Via, via! - era ora di asciugare la pozzanghera. L’ultima proposta di Middle di là della cornetta l’aveva infastidita e riportata ai suoi doveri di manager. Picchiettò sul vetro che dava verso l’ufficio di O’Connor, il suo direttore di staff, e lo convocò con un gesto imperioso, mulinando in alto l’indice. In pochi secondi, come una fedele pattuglia di marines, ebbe schierati sulle sedie dell’ufficio i sette dirigenti di settore. Ognuno, a quel cenno, si precipitava “a far corpo con lei”, era così che usavano dire, e non poteva esserci espressione più adatta nella Plusskin Incorporated. Si accomodò di nuovo sulla poltrona dietro la scrivania di solo cristallo e accavallò le gambe sinuose. Cominciava l’ultimo atto del gioco con Middle e attaccò una sequenza incalzante di frasi secche come scudisciate. Ognuna era un fendente terribile su Middle e allo stesso tempo era un ordine a ognuno dei membri dello staff. Le piaceva non dover ordinare nulla, i suoi uomini (tutti solo uomini, e anche questo le piaceva molto) dovevano semplicemente capire ed eseguire, non occorreva che formulasse ordini. La sua persona stessa era già un ordine. - È finita Middle, finita, mi capisce, può capire? - Alzò per un breve istante lo sguardo sulla pattuglia dei dirigenti. O’Connor era di fronte a lei in piedi, gli piaceva contare su quelle spalle possenti e su quello sguardo duro e indagatore. Una certezza e un punto di appoggio e con un buon profumo: tutto l’opposto di quell’untuoso di Billings che cercava di fargli le scarpe. Per un attimo perse il filo, ma nessuno, men che meno Middle, ebbe il tempo di accorgersene. Menò le sue sciabolate. - Le vostre strutture di management sono azzerate: scelgo io se tenere qualcuno. La società di revisione per la due diligence la indico io. Il portafoglio clientela è valutato al netto dei prossimi sei mesi di ordini. Vuol dire un milione e trecentomila, Middle: punto. Capisce, ora?- O’Connor non poteva trattenersi dall’ammirare quella precisione da cobra in un corpo da modella. Era l’unico che era rimasto in piedi: il suo compito era coordinare il lavoro del gruppo di dirigenti e quindi non prendeva appunti come gli altri, limitandosi con lievi cenni a sottolineare i passaggi a beneficio del dirigente coinvolto da ogni frase. Teneva lo sguardo dritto su di lei, non dimenticando di far scorrere gli occhi sul suo corpo, ogni tanto. Era un gioco pericoloso: a nessuno era permesso esplicitare uno sguardo di maschile ammirazione di fronte a lei, ma ciascuno era contemporaneamente tenuto a tributargliene non appena lei guardasse altrove. Un gioco pericoloso, ma in cui era maestro. E lei lo sapeva, eccome se lo sapeva, si beveva ognuno di quegli sguardi di ammirazione in incognito. Una questione di istanti, una danza rituale, culto della dea Calì circondata di serpenti. Lei accavallò di nuovo le gambe e per un attimo si intravide un bagliore bianco. Di più, gli parve di cogliere l’ansa morbida della sua femminilità. Per un istante ebbe l’idea di lei come madre, ne vide quasi l’utero e poté scoprirne il calore umido e profondo. Non l’aveva mai pensata così, mai così a lungo di sicuro. Un istante di troppo, infatti. - Signor O’Connor - disse, fulminando con lo sguardo e senza nemmeno allontanare il telefono - se Lei ha sufficiente tempo per ammirare la mia biancheria, credo che ne troverà anche per scrivere la Sua lettera di dimissioni. - Tutti gelarono. L’istante medesimo però lei era già tornata su Middle. - Le è tutto chiaro Signor Middle, immagino. Sì, bene. Complimenti, Signor Middle, benvenuto nella grande famiglia della Jelèna Plusskin Incorporated. Buona sera. - Alzò lo sguardo in tempo per veder la schiena di O’Connor che chiudeva la porta dietro di sé. Lui sentì quello sguardo su di sé e ne ebbe un peso, un fardello nuovo. Si chiese se stava perdendo solo una carriera o più di quello. - Bene, Signor Billings, era da tempo che meditavo di nominarla Direttore di Staff. La prego di comunicare al suo vice che è il nuovo Direttore Amministrativo. Penso non abbiamo altro da dirci, vero? - Ognuno tornò velocemente al proprio ufficio, o meglio, tutti tranne Billings, che andò in quello dove O’Connor stava preparando le sue scatole. L’acquisizione della Sok’s Limited passò all’atto pratico come pratica sostanzialmente risolta, era sufficiente dare attuazione alla volontà superiore, alla volontà del capo, o, per esser anche qui più precisi, alla volontà della Jena, come pensò ciascuno, ben dentro nella propria testa. Billings e O’Connor evitarono di guardarsi mentre questo raccoglieva poche cose in una scatola di cartone. Passando accanto al suo successore gli sussurrò: “Sotto un altro. Ma a te andrà meglio: tu non entri nel gioco, tu guardi solo i numeri.” Lei intanto era affacciata alla balconata centrale che dava sul vasto cono di spazio vuoto al centro del lussuoso edificio. Per un breve istante ripensò allo sguardo di O’Connor e non seppe dire se l’aveva infastidito di più impudenza o una forma di pericolo a cui non sapeva dare nome. Bah, poco importava, tutto era a posto. Si sporse e guardò in basso verso la fontana zampillante che occupava l’atrio di ingresso. Scorse uno dei due gattini che camminava sul bordo della piscina. Era stata una sua idea, quella di acquistare una famigliola di gatti. Pensava che avrebbe fatto bene a tutti la vista di quelle vite sinuose che si muovevano, riveriti e coccolati, liberi tra tutti gli uffici. Tutti adoravano soprattutto i gattini, che giocavano sempre insieme. Era sicura che questa immagine di armonia contribuisse al benessere del personale, e lei ci teneva molto a questo, pensò. Aguzzò la vista per scoprire dove fosse il secondo gattino: eccolo lì che camminava sul parapetto al terzo cerchio. Ora qualcuno lo stava accarezzando affettuosamente, vedeva solo la mano: sì, aveva avuto proprio una grande idea con quei gatti. Poi la mano afferrò il gatto per la collottola, lo sporse nel vuoto e lo lasciò cadere: per un attimo pensò “I gatti cadono sempre bene”, ma subito si rese conto che l’altezza era troppa. Piombò dritto sul bordo della vasta piscina, a meno di un passo dal suo gemello, gli schizzi di sangue e materia cerebrale ne imbrattarono il pelo candido, lo vide distintamente. L’animale si irrigidì un attimo puntando sulle zampe anteriori, sembrava fissasse il fratellino spiaccicato davanti a sé: ma poi passò accanto alla massa inerme e disarticolata come se nulla fosse accaduto. Jelèna barcollò e si dovette aggrappare al corrimano in legno pregiato per non cedere all’assalto del nulla che le veniva contro, salendo violento dalla chiazza rossa tre piani più sotto. Una vertigine mai avvertita prima la prese con la violenza di un turbine: aggrappata con entrambe le mani sentì l’orrenda attrattiva dello spazio vuoto che aveva costruito davanti a sé. Chiuse gli occhi e si spinse indietro per far resistenza. Incongruentemente pensò che l’unica cosa che desiderasse davvero era un figlio. Sulla porta O’Connor non si girò indietro e uscì in uno sbuffo d’aria calda e morbida.
Edited by abonvi - 12/4/2009, 11:48
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