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SPERO DI AVERE FATTO SEGUITO LE ISTRUZIONI NEL MODO GIUSTO. ALTRIMENTI BEH...MANDATE I SICARI DEL MONOLITO A PUNIRMI....
NON ERA IL MIO TURNO
Non era proprio il mio turno, ma Valle mi aveva chiesto un favore. Le nuove reclute erano dei mezzi criminali e non dormiva decentemente da una settimana. E poi eravamo fra' dello stesso scaglione. Arrivai al posto di guardia, pensando di trovare Ferretti addormentato. "Chi va là!" L'urlò spaccò la quiete del primo mattino in mille pezzi. No. Non stava dormendo. "Alt! Chi va là!" si udì di nuovo, in tono molto più incazzato. "Sono io" gridai. “Ah!” esclamò Ferretti. L'istante dopo scendeva ondeggiando dalla scaletta di metallo. Con un ultimo balzo fu a terra, accanto a me. Qualcosa non andava. Era troppo nervoso. La faccia seria. Spaventata. “Sei in ritardo. Ehi..e Valle?” ma non mi lasciò il tempo di rispondere. “Ci sono cose, dei movimenti...” mi rivelò con un sospiro. “C'è qualcuno?” chiesi di getto, improvvisamente interessato. La vita del soldato di caserma, soprattutto quella del najone medio, come me e come Ferretti, trascorreva lenta, senza che ci venisse insegnato null'altro a parte dire Signorsì a idioti boriosi più annoiati di noi. Se c'era qualcuno che stava cercando di entrare nella polveriera, tutto il tempo passato su quella altane avrebbe, finalmente, avuto un senso. La bocca di Ferretti si allargò in un sorriso bonario, quello che nei film i veterani riservano alle giovani reclute. “Umhh, non so. Era buio e non ho visto bene. Ma qualcosa si è mosso di sicuro” si fermò un attimo per fare una lunga pausa ad effetto “Anzi di più. Erano più di uno. Erano un gruppo”. Cominciavo a perdere la pazienza. Cominciavo a pensare che fosse una delle solite mattane di Ferretti. Si dice che la naja renda tutti fratelli, che si facciano amicizie che restano tutta la vita. Io a quel tempo speravo proprio che non fosse vero. Va bene che i commilitoni come i fratelli non si scelgono, ma Ferretti era marchigiano di Acqua Santa, un paesino termale vicino Ascoli Piceno, mentre io vivevo ad Alfonsine, nel cuore della Romagna, fra piadine e mazurche. Ci separavano almeno trecento chilometri di A14 e, fino a quando la Repubblica italiana non aveva avuto bisogno di noi, eravamo vissuti benissimo inconsapevoli l'uno dell'esistenza dell'altro. Finito il servizio militare, avrei fatto di tutto perché le nostre vite continuassero l'una molto distante dall'altra. “Ma ne sei sicuro? Probabilmente si trattava di animali” cercai di smontarlo io con il tono di voce più tranquillo e ragionevole che riuscii a trovare. Ferretti mi squadrò con aria di superiorità. “Certo. Animali a due gambe. Ne conosci?” mi chiese con un ghigno. Avrei voluto rispondergli che ne avevo uno proprio di fronte a me, ma Ferretti era già un pericolo disarmato, figurarsi con un fucile in mano. Sembrava sicuro di quello che aveva detto, ma era anche vero che era sicuramente un deficiente. “Senti Marco, se sei veramente convinto di quello che hai visto dovremmo avvertire il sergente” gli dissi io utilizzando il buon senso. “Ma chi? Vannicelli? Quello è il Commissario Winchester, mica un soldato” esclamò Ferretti indignato. “Perché noi invece...” commentai ironico con un eloquente gesto della mano. “Ti dico cosa facciamo” propose Ferretti appoggiandomi una mano sulla spalla. “Andiamo a vedere” “Cosa? Ma sei scemo?! E chi ci rimane di guardia ? Gli ordini sono chiari. Noi...” “Noi stiamo buttando via un anno della nostra vita. Non ho fatto l'obiezione di coscienza solo perché volevo imparare a sparare, e perché mi mandassero in missione. Non per stare sull'attenti, di fronte a qualche cretino, troppo stupido per trovarsi un lavoro normale” sbottò Ferretti. Nonostante lo considerassi uno stupido che molto difficilmente avrebbe trovato un lavoro normale, dovetti ammettere che non aveva tutti i torti. Anzi. Aveva ragione da vendere. Da quando avevo indossato la divisa avevo sparato due volte. Due caricatori da dieci colpi l'uno di “plasticoni”. Al reggimento dove avevo fatto l'addestramento, non avevano un poligono a norma e così usavamo colpi depotenziati con proiettili in plastica. La carica era talmente bassa che molto spesso il meccanismo di riarmo non funzionava a dovere. A me il fucile si era inceppato tre volte. Riguardo poi al duro addestramento, al limite della sopportazione umana, che avrebbe dovuto trasformarci in duri guerrieri, era del tutto inesistente. L'unica cosa veramente inumana era la quantità di tempo e di soldi che consumavo allo spaccio truppa. Accendevo una sigaretta dietro l'altra, mangiavo compulsivamente tonnellate di patatine, panini e pizzette e detenevo tutti i record della playstation che tenevamo nascosta sotto al bancone del bar. In pochi mesi, avevo collezionato una brutta tosse catarrosa, quattro chili di grasso e avevo i calli alle mani a causa dell'uso sconsiderato del joypad. Così, sebbene la parte di cervello non ancora obnubliata dai depositi di tabacco, grassi saturi e adrenalina posticcia, mi urlasse di fare le cose secondo le regole, l'altra, quella obnubliata, chiedeva pietà. L'idea di aggirarsi di notte, in una foresta, con un fucile in mano, alla ricerca di possibili attentatori, mi ipnotizzava come un canto di sirene. Avevo diciannove anni. “Umhmm... e va bene. Ma facciamo un breve, brevissimo giro di perlustrazione e poi torniamo indietro. Se vediamo qualcosa gambe in spalla e ...” “Ah! Lo sapevo Guerrini che non mi avresti deluso!” disse Ferretti dandomi una entusiasta pacca sulle spalle. “D'altra parte sei romagnolo, come lo era Lui. Seguimi camerata” disse imbracciando il fucile e incamminandosi verso la foresta. Io sbuffai in preda alla frustrazione. Avevo già spiegato a Ferretti che io non mi interessavo di politica, e che tutti i romagnoli che conoscevo dormivano con falce e martello sotto al letto, ma purtroppo gli stavo simpatico e chiunque avesse avuto la mala sorte di entrare nelle sue grazie, diventava, ipso facto, una camicia nera. Allargai le braccia, alzai gli occhi al cielo e poi lo seguii. C'era la luna piena, ma una foresta, di notte, è uno dei luoghi più spaventosi che si possano immaginare. Scricchiolii, frusciare di foglie, stormire di fronde, i richiami degli uccelli notturni. Tutto intorno a noi si udivano rumori e suoni senza che fosse possibile stabilire cosa li avesse prodotti. Ferretti accese la propria torcia e, tirato fuori un rotolo di nastro adesivo, si mise ad avvolgerlo intorno alla canna del fucile. Stavo per dirgli qualcosa, ma poi rinunciai. In fondo siamo qui per giocare “ a fare gli operativi” lasciamo che si diverta, pensai. A mia volta estrassi la mia lampada portatile ma mi accontentai di tenerla in mano. “Dove hai visto quei movimenti?” chiesi con la voce arrochita e incerta. Il raggio delle torce era un piccolo spiraglio di luce nel pozzo nero nel quale eravamo immersi e tutta quella situazione stava cominciando a mettermi ansia. Ferretti invece appariva calmo e disteso come se fossimo a fare una scampagnata. Non capivo se era veramente così freddo o se era troppo stupido e con troppa poca immaginazione perché quell'atmosfera, con tutto il suo carico di ancestrale mistero, potesse metterlo a disagio. Optai per la seconda ipotesi e fra me e me pensai “La va par te che tan capes un caz”1. “Era da questa parte” disse Ferretti puntando verso sinistra e inoltrandosi lungo un sentiero poco battuto ormai quasi completamente inghiottito dal sottobosco e dai giovani alberi. Mentre camminavamo, mi accorsi che ci stavamo dirigendo verso la parte più antica del bosco e non potei fare a meno che gettare uno sguardo verso la polveriera e la rassicurante visione dell'altana. Solo fino a pochi minuti prima, stare lì dentro mi appariva come l'essere rinchiuso in un'assurda e inutile gabbia. Ora rimpiangevo con amarezza quel riparo sicuro. Quella solida costruzione dietro la quale era possibile aspettare, a fucile spianato, anche il Diavolo in persona. Come possono cambiare in fretta gli umori e le opinioni. Circondato e schiacciato dalla mole di alberi secolari e preda dell'atavica paura dell'oscurità, quella che mi era sembrata un'innocente bravata, tanto per rompere la noia, ora mi appariva come una delle peggiori cazzate della mia vita. Nello spazio selvaggio e magico di una foresta avvolta dal manto notturno sembra che tutto possa accadere. La nostra percezione della realtà subisce un tracollo. Ciò che nei luoghi nei quali siamo abituati a vivere, in cui, con la pressione di un pulsante possiamo avere tutta la luce che vogliamo, sappiamo essere solo fantasia, qui prende vita. La paura. La paura dell'ignoto, dell'essere sottoposti a forze sconosciute contro le quali nulla possiamo. Oramai camminavamo da circa mezz'ora. Potevo anche dire a Ferretti che era ora di tornare indietro senza fare la figura del cacasotto. Evidentemente si era sbagliato. Non c'era nessuno là fuori. “Marco senti...” cominciai io, ma non appena aprii bocca Ferretti mi zittì subito. “C'è qualcosa qua davanti” disse con voce grave “E che cos'è? Sono forse...” chiesi io troppo in fretta e troppo concitatamente mentre il mio dito correva al grilletto. “No. Sembra una casa” mi rispose con calma Marco. Fatti pochi passi la vidi anch'io. Una vecchia casa di pietre grezze, squadrate, ad un piano solo. Alcune parti erano crollate. Mattoni sbreccati giacevano alla rinfusa sul prato di erbacce che circondava la costruzione. La maggior parte delle finestre erano orbite vuote e quelle in cui ancora restava qualche frammento di vetro, questi, erano più un pericolo dai bordi taglienti, che un riparo contro il vento e il freddo. “Va bhè” dissi io “E' solo una vecchia casa abbandonata. Torniamo indietro” “Ma no” esclamò Marco “Voglio vedere l'antro della strega” “Strega? Che strega?” dissi io. “Non la sai la storia?” domandò incredulo Ferretti “Ce l'ha raccontata Pavan, che è di queste parti. Maledetto raccomandato. Quello la sera cena a casa sua, maledetto lui. Certo che in Italia solo i figli di... vanno avanti. Quando c'era Lui...” “Si, si. Io volevo sapere delle strega” tagliai corto io “Beh, si dice che qui nel bosco, vivesse una vecchia strega. Aveva fatto un patto col demonio, che le aveva dato il potere di influenzare le persone. Si dice che avesse bellissimi occhi viola e che fosse in grado di ipnotizzare la gente con lo sguardo. Costringeva i giovani a seguirla nella sua casa, li faceva a pezzi e li mangiava. Pavan ha raccontato che un giorno, gli uomini del paese, prete in testa, vennero per ucciderla. La strega allora chiamò in suo aiuto un branco di lupi che sbucò dalla foresta, uccise il parroco e un paio di persone e mise in fuga tutto il resto della spedizione” Ferretti si interruppe. “E poi? Come finisce la storia?” chiesi io “Non finisce” spiegò Ferretti. “Dopo quell'episodio non si seppe più nulla della strega. I paesani tornarono, questa volta con il vescovo e i Carabinieri, ma la strega era sparita dalla casa. Si dice che alla fine se la sia presa il diavolo, ma in paese molti pensano che si aggiri ancora per questi boschi irretendo e divorando quelli che incontra sul suo cammino”. “E tu come sai che è proprio quella la casa della strega?” domandai io Ferretti si strinse nelle spalle “Non lo so. Ma penso che non dovrebbe essere molto diversa. E poi ormai siamo qui. Andiamo a vedere” Mentre Ferretti parlava non aveva smesso di avvicinarsi alla casa. Io lo seguivo e intanto non potevo fare a meno di immaginarmi la strega. Vecchia, bitorzoluta e scheletrica, radi e filiformi capelli grigio topo le ricadevano ai lati di un viso smunto e raggrinzito. Un volto emaciato, l'immagine stessa della morte, in cui l'unico segno di vita erano gli occhi. Due tizzoni ardenti che bruciavano la notte e consumavano con fame insaziabile la mente e l'anima delle proprie vittime. Mentre la mia fantasia evoca queste grottesche immagini, mi voltai gettando uno sguardo alle nostre spalle. D'improvviso ebbi la certezza di essere impazzito. Li vidi. Gli occhi rossi della strega. Due sfere rosso fuoco che si stagliavano con nitidezza nella notte. L'apparizione durò neanche un secondo. Poi, fra i cespugli e i bassi alberi, comparve un volto. Un volto su cui era impressa l'ombra della morte. Le guance erano scavate, gli zigomi in rilievo sulla pelle tesa delle guance, la bocca contratta in una smorfia di sofferenza. Stranamente i suoi occhi non brillavano più di luce rossa. A quella vista mille aghi sottili e acuminati mi punsero tutti insieme ed il mio cuore perse un battito. Un istante dopo, quel volto era scomparso, come inghiottito dal bosco. Avrei voluto dire qualcosa, ma mi si era seccata la lingua nella bocca. Una parte di me avrebbe voluto gridare e avvertire Ferretti, ma un'altra parte si vergognava. Una strega. Impossibile. Mi ero lasciato suggestionare. Mentre combattevo con le mie allucinazioni, mi accorsi che eravamo giunti alla casa. Scavalcammo i mattoni caduti e facendoci largo fra le erbacce ci trovammo davanti all'ingresso. Della porta non restavano che i cardini di ferro infissi nel muro. Da dentro sentimmo provenire dei rumori che ci fecero mettere mano ai fucili. Erano dei grugniti e degli ansiti misti a singhiozzi. Ferretti ed io ci guardammo negli occhi ed entrammo ad armi spianate. La torcia di Ferretti illuminò un culo nudo che andava freneticamente avanti e indietro. Il cerchio di luce della mia lampada invece, inquadrò il volto di una ragazza rigato di lacrime, che teneva qualcosa nella bocca. “Chi siete?” urlò Ferretti puntando il proprio AR nel buio e inquadrando con la torcia un giovane foruncoloso dai corti capelli neri. “Cazzo gli sbirri” disse quello. “Merda” disse un'altra voce maschile. Poi, prima che anch'io potessi dire qualcosa, una ragazza nuda e piangente mi si attaccò alle gambe. “Aiuto, vi prego. Vi prego. Basta. Basta. Vi prego.” e mentre piagnucolava nascondeva il volto contro le mie ginocchia. Io non sapevo cosa dire. Ma d'altra parte in una circostanza del genere c'è poco da dire. “E' tutto ok. E' tutto ok. Calmati” cercai di rassicurarla accarezzandole la testa. Ferretti continuava a tenere sotto tiro il ragazzo moro“Ehi tu. Vieni qui. Vieni vicino al tuo amico” intimò Marco all'altro occupante della casa, che era rimasto nell'ombra. Nessuno si mosse. “Presto perché altrimenti sparo” disse Ferretti in tono gelido e cattivo puntando il fucile contro la testa del ragazzo foruncoloso. Sentimmo dei passi. Un giovane dai capelli lunghi biondi, che gli arrivavano fin quasi a sotto il sedere, si avvicinò a noi. Io intanto avevo lasciato scorrere la torcia sull'interno della casa. Croci celtiche, rune vichinghe, lettere gotiche, frasi in latino che sembravano dare corpo a blasfeme formule magiche, erano scarabocchiate sui muri con il carbone. Sul pavimento invece, faceva mostra di sé un pentacolo, delle candele, avanzi di spinelli, bottiglie di vino vuote, sangue e macchie di altri liquidi che non fu difficile immaginare cosa fossero. “Non potete arrestarci” disse quello biondo dei due “Siamo minorenni” “Io mica ti arresto. Sono un soldato. Io sparo” disse Ferretti con naturalezza. “E' vero. Le divise” disse quello moro illuminandosi “Ma cosa ci fate qui?” “E voi?” dissi io all'improvviso “Che cos'è questo? Una specie di rituale satanico? Pervertiti del cazzo”. “Ehi fascista di merda, ci stavamo solo divertendo. Lei era d'accordo. Quella è solo la Strega. Lo sanno tutti che è una troia”si lamentò quello biondo. Ferretti lo caricò e lo colpì alla mascella con il calcio del fucile. “Tu non sei degno di pronunciare quella parola. I fascisti sono uomini d'onore. Mica stupratori. Vestitevi adesso che venite con noi” ordinò Ferretti “Bastardo” lo insultò il ragazzo bruno. “Basta parlare” intimò Marco puntandogli addosso il fucile. Senza ulteriori proteste, il ragazzo raccolse le proprie cose e cominciò a vestirsi. “Dai una mano anche a quell'altro verme” ordinò Ferretti. Il biondo stava ancora riprendendosi dal colpo ricevuto e non fu facile per il suo compare farlo rivestire. Io feci alzare la ragazza. Cercai i suoi occhi e quando lei finalmente, alzò lo sguardo su di me, vidi che erano viola. L'espressione di sgomento dipinta sul mio volto dovette essere molto eloquente, perché storse la bocca in un sorriso amaro. “E' come ha detto lui” mi spiegò lei come per giustificarsi. “Io sono la Strega. Ho almeno... la mia bisnonna era la Strega, ma per tutti è come se lo fossi anch'io”. “Dove sono i tuoi vestiti? Dai che ti riportiamo a casa” le dissi io cercando di cambiare discorso Lei mi prese la mano e mi condusse davanti al camino dove c'era un fagotto di indumenti ammonticchiati. Mentre la ragazza si rivestiva le chiesi “Io sono Demetrio. E tu?” “Lisa. Sono Lisa” rispose lei finendo di abbottonarsi la camicetta bianca, reprimendo un singhiozzo e tirando su con il naso. “Pronta Lisa?” le domandai Lei fece di si con la testa. Mi voltai verso Ferretti e vidi che spingeva davanti a sé i due giovani satanisti tenendo il fucile puntato alle loro schiene. Stavamo per incamminarci verso l'uscita quando una figura si stagliò nel vano della porta. Ferretti si bloccò di colpo mentre io istintivamente feci scivolare Lisa dietro di me. Il nuovo arrivato sembrava essere stato una donna, molto tempo fa. Aveva capelli fini e sottili, scomposti e arruffati. La pelle del viso era tirata sulle ossa come un lenzuolo. I vestiti che indossava non erano che stracci e coprivano a malapena il torace e parte delle cosce. Non che quella povera creatura potesse suscitare appetiti sessuali. La sua magrezza era tale da avere una somiglianza inquietante con gli scheletri delle danze macabre. L'essere mi squadrò. I suoi occhi erano grigi. Il grigio dell'acciaio piegato e poi spezzato. Si soffermarono sul mio fucile e poi sulla bandiera italiana attaccata alla spalla sinistra della mia divisa. Sorrise. Un sorriso sdentato e folle, quindi si mosse con velocità sorprendente verso di me. Io ero troppo spaventato e sorpreso per fare qualsiasi mossa. L'essere cadde carponi e si avvinghiò alle mie gambe. “Italia... italiano, amico, amico” prese a dire sbavandomi sui pantaloni. Cercai di scostarla da me. “Cazzo, lasciami. Si, amico, ma lasciami andare” dissi cercando di allontanarla. “Hahahaha. Hai fatto conquiste” mi sfotté il ragazzo foruncoloso. Vidi Ferretti sbarrare gli occhi e alzare il calcio del fucile, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, un occhio rosso comparve all'improvviso sulla fronte del ragazzo e un altro fece capolino sul suo petto. Io trasalii. Erano quelli che avevo creduto essere gli occhi della strega. Ma ora li vedevo bene, e decine di film d'azione mi avevano insegnato cos'erano. Mirini laser. “Ferretti giù!” gridai folgorato dalla comprensione della mia imbecille suggestionabilità. Non vidi quello che accadde subito dopo. Afferrai Lisa e lo scheletro di donna che era davanti a me trascinandole sul pavimento della casa. Poi sentii un rumore morbido come se qualcuno avesse dato un calcio a della carne fresca e il rumore secco degli spari delle armi automatiche. Lisa gridò nel mio orecchio destro, mentre con quello sinistro udii la donna snocciolare con fervore litanie in un idioma che non conoscevo e che sembrava tanto una lingua slava dell'est. Lasciai la presa sulle mie due compagne. Strisciando mi avvicinai ad una delle finestre che davano sull'esterno, dal lato dell'ingresso principale. Facendo un grosso respiro, mi costrinsi a mettere fuori la testa quel tanto che bastava per dare uno sguardo all'intorno. Per qualche secondo non successe nulla. Il sole, che stava nascendo dietro le montagne, illuminava la spianata di fronte alla casa e la foresta circostante. I suoi raggi stavano pian piano scacciando le ombre della notte, creando una fioca penombra. Cercai di aguzzare la vista il più possibile, ma non riuscii a scorgere chi fossero i nostri attaccanti. In compenso loro dovettero vedere bene me. Mi inviarono una scarica di piombo che si schiantò contro il muro di pietre grezze della casa risparmiando il mio cranio. Ritirai dentro la testa come una tartaruga nel suo guscio. Mi guardai intorno. Il brunetto tutto brufoli non avrebbe più avuto modo di cercare un rimedio per il suo problema giovanile. Un proiettile gli aveva spappolato la faccia, spargendone ossa, sangue e pezzi di cervella tutt'intorno. Ferretti era disteso sulla schiena e stava ansimando pesantemente. Potevo capirlo. Non doveva essere simpatico avere il materiale organico del fu faccia butterata sparso per tutta l'estensione del proprio corpo. “Pezzi di merda. Vi inculo. Bastardi figli di putttana” stava piagnucolando Ferretti. Ma le lacrime non erano di paura. O almeno, non solo. Marco si stava mordendo le labbra a sangue. Piangeva di rabbia. Era incazzato nero. “Tutto bene? Sei ferito?” gli chiesi io, per la prima volta seriamente interessato alla sua sorte. Lui mi guardò e per un attimo il suo viso si rilassò. Alzò il pollice vero l'alto e subito dopo ricominciò a imprecare. Il biondo vichingo, compagno di messe nere e stupri notturni del “povero” faccia di pizza, era appoggiato contro il muro opposto all'ingresso. Seduto sul proprio culo si teneva le ginocchia cullandosi avanti e indietro. Eccolo lì l'araldo del demonio. L'angelo nero della distruzione. Una rabbia prepotente e incontrollata mi salì dalle viscere e non potei fare a meno di puntare il mio AR contro quell'essere patetico. Era talmente preso dai propri piagnistei da non accorgersi nemmeno del pericolo che stava correndo. Proprio in quel momento vidi una testa e la canna di un fucile spuntare dalla finestra alle spalle del mio iniziale bersaglio. Il mio istinto di sopravvivenza prese il sopravvento. Senza pensare alzai la mia arma e feci fuoco. Senza accorgermene dovevo aver urtato la piccola leva che regolava il selettore di tiro. Invece che un colpo singolo, il fucile vomitò una vera pioggia di piombo. L'inaspettato volume di fuoco mi colse del tutto di sorpresa e persi il controllo dell'arma. Molti dei colpi finirono contro il muro, per rimbalzare dentro la casa. Sentii Lisa urlare. Quando finalmente riuscii a staccare il dito dal grilletto, il ragazzo biondo si tastava il petto e si guardava le braccia e le gambe. Accorgendosi di essere illeso tirò un sospiro di sollievo e si fece il segno della croce. Mi voltai nella direzione di Lisa e vidi che si teneva il braccio destro dal quale uscivano fiumi di sangue. “Tutto a posto?” le chiesi mentre il cuore sembrava volesse uscirmi dal petto. Lisa aveva gli occhi chiusi e stringeva i denti cercando di sopportare il dolore. La signora slava accanto a lei le stava fasciando il braccio con strisce di tessuto strappate dai propri stracci. Guardandomi mi disse “Tu stare attenzione a sparare. A soldati Italia no impara a sparare?” Fanculo! “Bhè Dem, non era proprio un bel tiro. Comunque va bene così” mi rincuorò Ferretti che era strisciato a sua volta fino alla finestra che stava sull'altro lato dell'ingresso. Dopo avermi lanciato una strizzata d'occhio alzò di scatto la testa per guardare fuori. Una gragnuola di colpi salutò prontamente il suo gesto. “Li ho visti” mi gridò entusiasta. “Sono fra quei cespugli sulla sinistra” Come invasato si mise in piedi e lasciò partire una lunga scarica. Non so se fu San Maurizio, protettore dei militari o un vero e proprio caso di “bus de cul aiutam2”, fatto sta che qualcuno fra i cespugli gridò e Ferretti tornò ad appollaiarsi contro il muro con un sorriso di esaltazione e di trionfo. “Mò ce senti cerqua!3” esclamò Marco. Io nel frattempo mi ero allungato fino al satanista biondo e alla finestra che dava sul retro. Con circospezione mi alzai. Per terra, in un lago di sangue, giaceva un uomo con indosso ciò che restava di una maglietta con la linguaccia dei Rolling Stones e i pantaloni di un'uniforme mimetica. Nella mano destra stringeva ancora un kalashnikov. I proiettili gli avevano squarciato il petto e i suoi occhi verdi fissavano il cielo senza vederlo. In quel momento non provai niente. Solo il sollievo che lui era morto ed io invece respiravo ancora. Gli presi l'AK 47. Avrei voluto frugare anche nelle sue tasche, ma non mi fidavo di dare le spalle per troppo tempo al satanista biondo. Mentre esaminavo la mia nuova arma il ragazzo biondo mi fissò con occhi enormi e lucidi, da cerbiatto impaurito, come chiedendo che lo strappassi a quell'incubo. Gli detti un calcio facendolo uggiolare come un cane e tornai alla mia postazione di prima. “Secondo te quanti sono?” chiesi a Ferretti “Molti nemici, molto onore” mi rispose quello “Ma vaffanculo! Cerca di pensare. Quelli sono miliziani di una qualche banda di irregolari. La guerra non è troppo distante da qui. Potrebbero essere decine” gli risposi io più incazzato e impaurito che mai. “Ma mica sono in guerra con noi. Non è una guerra civile? Qui siamo in Italia” rispose Ferretti con tono contrariato. “Dobbiamo aver sconfinato. Oppure lo hanno fatto loro. Che ne so? Mica ho una cartina e una bussola in testa. Più che altro non credo che ce l'abbiano con noi” gli risposi io Ferretti guardò verso Lisa e la donna che era entrata per ultima dentro la casa. “Vogliono lei” disse Marco con voce grave. “Già. Ma perchè? L'hai vista?” chiesi io e l'occhiata che mi lanciò Ferretti fu più eloquente di mille parole. I telegiornali parlavano in continuazione della guerra nei Balcani, di pulizia etnica e di genocidi. Più di una volta, ascoltando quelle notizie dalla televisione della sala comune, avevo sentito Ferretti pontificare sulla necessità di liberare il mondo dalle razze inferiori. Che gli slavi si ammazzassero pure fra di loro, sarebbe stato un bene per tutta l'umanità. Questo gli avevo sentito dire. “Ehi, italiani!” gridò qualcuno dall'esterno con un forte accento dell'est. “Italiani! Basta sparare. Non ce l'abbiamo con voi. Dateci la donna” Ferretti mi guardò stringendo gli occhi come se stesse riflettendo molto intensamente. “Senti chi parla. Umpf. Ma se sono stati loro i primi a sparare” fu il suo commento. “Vai a farti fottere” urlò rivolto alla voce del bosco. Passò qualche istante di silenzio poi la voce si fece risentire di nuovo “Perché volete morire? Voi non sapete chi è quella ... E' un'assassina. Di bambini. Lei ha ucciso tutti i nostri bambini” disse la voce del bosco. Quando udii quelle parole, d'improvviso, nella mia mente, si focalizzò una cartina d'Europa. Il fronte era relativamente vicino ai nostri confini, ma distava pur sempre almeno un centinaio di chilometri. Non era possibile che quegli irregolari avessero semplicemente sconfinato. Loro erano lì per un motivo. La donna scheletrica era fuggita e loro le erano corsi dietro. Guardai la donna e sul viso avevo una domanda che non era necessario esprimere ad alta voce. “Loro. Loro ucciso bambini. Miei figli. Miei bambini” ” mi disse lei con gli occhi febbricitanti colpendosi il petto. D'improvviso mi sentivo impotente. Forse avevo appena ucciso un uomo per difendere un'assassina di bambini. Ma forse anche quelli là fuori erano infanticidi. Forse lo erano entrambi. Forse aveva sempre avuto ragione Ferretti. Ma se io ero assalito dai dubbi, Marco non ne aveva. “Non ci interessa. Noi siamo soldati dell'esercito italiano e lei viene con noi” Quando l'eco della sua voce si spense tornò il silenzio. Eravamo tutti con le orecchie tese. Nella penombra dell'aurora vidi la sagoma ovale di una bomba a mano volare e atterrare fra l'erba, vicino alla casa. “Nooooo!!!” urlai buttandomi a terra. La granata esplose con fragore assordante. Quando riuscii a rialzarmi non sentivo niente. Il muro dietro il quale mi riparavo era in buona parte crollato a causa dell'esplosione. Guardavo Ferretti sparare e muovere la bocca, ma non udivo il rumore degli spari e non capivo nulla di quello che diceva. All'improvviso mi trovai di fronte uno dei nostri assalitori. Probabilmente si era avvicinato approfittando della confusione creata dalla granata. Contrariamente al miliziano che avevo ucciso prima, questo era un ragazzo con occhiali dalla montatura sottile e la faccia da secchione. Stava per spararmi. Ma la morte stessa venne in mio aiuto. Afferrata una pietra, la donna scheletro la calò con la forza della disperazione sulla testa del ragazzo. Il poveretto stramazzò a terra. La donna continuò a colpirlo ripetutamente, spappolando completamente il suo cranio e lordandosi di sangue e materia grigia. Mentre osservavo quella scena qualcosa mi urtò a velocità folle facendomi finire a terra. Anche da sdraiato mi volsi in fretta, giusto in tempo per vedere il ragazzo biondo cercare di darsela gambe. Non fece molta strada. Appena arrivato alla porta venne falciato da una raffica. Cadde a faccia in giù, colpito alla schiena. Guardai Ferretti. Il suo sguardo era freddo, senza la minima traccia di emozione. La faccia di uno che aveva schiacciato un insetto fastidioso. Io non provai nemmeno a rialzarmi. Mi appiattii a terra su quello che era stato il muro della casa, ora un cumulo di macerie, e comincia a sparare a tutto spiano. Non so se colpii ancora qualcuno. Probabilmente no. Dopo poco finii le munizioni del mio AR e arrancai fino all'AK47 che l'esplosione aveva sbalzato poco lontano dalla mia posizione. “Ehi Marco. Stiamo per morire lo sai?” Ferretti mi fece un sorriso a trentaquattro denti “Meglio un giorno da leone che cento anni da pecora” E' proprio un demente, pensai. Era tutto così assurdo che scoppiai a ridere. Avevo le lacrime agli occhi. Stavo per ricominciare a sparare, quando vidi Ferretti sussultare e tendersi come in ascolto. “Li senti?” mi chiese Io drizzai le orecchie e li sentii. Ululati. Lunghi prolungati ululati. Ed erano vicini. Erano molto vicini. “Ci mancavano pure loro” dissi io battendomi la mano sulla coscia. “Adesso si che manca solo la strega” Vidi che Ferretti aveva la bocca spalancata, gli occhi sbarrati e fissava qualcosa alle mie spalle. “La strega è già qui” sussurrò. Mi voltai. Gli occhi di Lisa erano rivoltati all'indietro e si vedeva solo il bianco. Il suo corpo si contorceva a terra squassato da violente convulsioni. La donna scheletrica aveva smesso di infierire sul miliziano e stava in piedi accanto a lei inorridita. Da fuori sentivo provenire rumore di spari, ma non erano diretti verso la casa. Sembrava che i nostri assalitori fossero assaliti a loro volta. Ci fu un fruscio e un forte rumore di rami spezzati. Un uomo, in jeans e maglietta dell'Uomo Ragno, emerse dai cespugli che circondavano la casa con un Kalashnikov in mano. Era girato di spalle e stava sparando a qualcosa nel fitto del bosco. Un'ombra grigia balzò fuori dal sottobosco e atterrò sul suo petto. L'uomo cercò di difendersi, ma i suoi colpi andarono a vuoto. La cosa che lo aveva attaccato gli morse il collo e continuò a stringere fino a che il miliziano non smise di divincolarsi. Quando la bestia alzò il muso dalle carni della propria vittima, vidi distintamente che si trattava di un lupo. Un grosso e anziano lupo grigio. Dagli occhi viola. Il lupo intercettò il mio sguardo e sembrò come leggermi dentro. Poi aprì la bocca, ed ebbi la sensazione assurda che stesse sorridendo. Quindi gettò la testa all'indietro, mandò un lungo ululato al quale subito si unirono decine di altri latrati e scomparve nel bosco. Lisa era ancora incosciente e gli occhi le tremolavano sotto le palpebre abbassate, ma le convulsioni sembravano cessate. “Andiamocene” dissi “Vado avanti io” si propose Ferretti e non aveva ancora finito la frase che già stava correndo verso il sentiero. Nessuno gli sparò. Arrivato sano e salvo si appostò dietro il tronco di un albero per coprire la nostra uscita dalla casa. Aiutato dalla donna scheletro mi caricai Lisa sulle spalle e quando mi sentii abbastanza certo di mantenerla in equilibrio, corremmo verso Ferretti. Nessuno ci sparò. Il nostro viaggio di ritorno proseguì così. Con Marco che andava in avanscoperta e noi che lo seguivamo. Finalmente tornammo a rivedere il profilo della polveriera e quello delle altane di guardia. Ma prima che potessimo giungere sul suolo della fortificazione venimmo intercettati sul sentiero dal sergente Vannicelli. Quando ci vide, ci venne incontro a grandi falcate, con l'aria incazzata di uno a cui è cominciata malissimo la giornata. “Guerrrrriiiiiiniiiiiii! Dove caaaaaaaaazzo eri! Dove cazzo siete andati? A farvi una passeggiata...” si interruppe per riprendere fiato “E queste chi sono? Ehi, ma quella perde sangue come una fontana...e tu, Guerrini, perché hai un kalashnikov? Dovè il tuo AR? Che cazzo avete fatto?” urlò Vannicelli al culmine della frustrazione per quella situazione assurda. Per mesi, avevo sempre temuto le sfuriate ingiustificate dei miei superiori. Non mi piaceva essere punito, ma quella volta mi misi a ridere. Risi a Vannicelli direttamente sul suo grugno di marmittone sedentario, incazzato che qualcuno avesse osato turbare la sua comoda, seppur noiosa, routine. Anche Ferretti si mise a ridere. Vannicelli era esterefatto. “I soldati” gli risposi io fra le risa “Abbiamo fatto i soldati” Contrariamente a quanto mi aspettavo non ci furono clamori. Non ci furono processi e articoli sui giornali. O almeno. Non articoli che dicessero la verità. Il ragazzo foruncoloso era figlio di un politico molto importante a livello regionale con forti agganci a Roma. La versione ufficiale, uscita su tutti i giornali locali e nazionali, era che la sparatoria nel bosco era stata niente di più che un'esercitazione notturna e che erano stati proprio dei soldati a trovare i cadaveri dei due amici. I vari articoli concordavano sul fatto che i due erano usciti per fare una scampagnata nel bosco, forse una stupida prova di coraggio, e che, mentre esploravano la famosa casa della Strega, questa era crollata loro addosso schiacciandoli e uccidendoli. Molti dei giornalisti si dilungarono sulla storia della Strega e insinuarono una nota gotica nella falsa ricostruzione degli avvenimenti, introducendo il sospetto di una maligna mano soprannaturale dietro la loro prematura scomparsa. La storia aveva abbastanza elementi per far discutere e per qualche giorno i reporter spremettero ed esplorarono fino in fondo ogni possibile aggancio metafisico e non, compresi la Massoneria e i Templari. Poi, esaurito il proprio potenziale, la vicenda smise di fare notizia e i nostri due satanisti divennero solo due lapidi al cimitero come tante altre. Dei cadaveri degli inseguitori nessuno parlò. Semplicemente furono fatti sparire. Non potendo svolgere indagini ufficiali anche il passato della donna scheletrica venne lasciato nel mistero. Lei fornì un nome e generalità dettagliate, che però fu impossibile verificare. C'era la guerra. E poi nessuno era interessato a portare avanti le indagini. Avrebbero potuto affiorare verità scomode sugli eventi di quella notte. Eventi che un padre molto potente era invece interessato a tenere nascosti. Io e Ferretti andammo a trovarla in ospedale qualche giorno dopo, quando finalmente ci lasciarono uscire dal nostro alloggio. Mentre ci ringraziava, rimirando il bel mazzo di fiori che le avevamo portato, le feci una domanda a bruciapelo. “Lo hai fatto veramente? Hai ucciso dei bambini? Quelle persone...erano i genitori e i parenti dei bambini che avevi ucciso?” Lei ci rimase male. Fece un lungo sospiro e poi mi rivolse uno sguardo deluso. “Pensavo noi amici” mi disse “Noi siamo amici, ma dobbiamo sapere. Ce lo devi” le spiegò Ferretti con un tono che non ammetteva repliche. La donna volse il capo verso la finestra, verso una giornata piena di sole “Guerra non decisa io. Guerra arrivata da un giorno all'altro. Io mi sono trovata in guerra. E in guerra tutti muoiono. Anche bambini. Io mai voluto uccidere nessuno, però in guerra...Io soldato, io fatto mio dovere. Forse bambini morti. Non so. In guerra tutti morire. Anche miei bambini”. Detto questo si zittì e ci regalò uno smagliante sorriso sdentato. Io stentavo a credere che potesse essere quello di un'assassina. Restammo con lei per circa un'ora e per tutto quel tempo cercai di chiaccherare amichevolmente, anche se in realtà cercavo di capire che tipo di persona fosse. A me sembrava una donna mediocre, senza particolari pregi e senza particolari difetti. Ancora oggi non saprei dire se fosse colpevole oppure no. Ancora oggi non so dire se sia stato giusto salvarla. La cosa che mi consola è che, come ci disse lei, la guerra arriva e tu ti ci trovi in mezzo. Per come si erano messe le cose, molto difficilmente, io e Marco, avremmo potuto agire diversamente. So che poi, dimessa dall'ospedale, si è trasferita al sud. Si è messa a fare la parrucchiera, si è sposata, ed ha due figli, un maschio e una femmina. D'altra parte quando la trovammo sembrava una vecchia, ma i dottori ci dissero che doveva avere meno di 30 anni. Per ovvie ragioni di convenienza, io venni trasferito al gruppo artiglieria contraerea Vega, a Ravenna, vicino casa. Ferretti lo mandarono al centro di addestramento del 235° Reggimento Piceno, di Ascoli Piceno, da dove ha iniziato una brillante carriera militare che lo ha portato a diventare ufficiale. Da allora, ci siamo sempre tenuti in contatto e lo considero uno dei miei migliori amici, sebbene lui continui ad essere un nostalgico del ventennio ed io continui a non interessarmi di politica. Lisa invece perse il braccio. Il proiettile che, per sbaglio, le avevo sparato nell'arto, lo aveva danneggiato in modo irreparabile e dovettero amputarglielo. Quando, insieme con Marco, entrai nella sua stanza d'ospedale, la madre l'aiutava nel cercare di leggere il giornale. Appena mi vide Lisa mi fece ciao con la sola mano rimastale. “Ciao Demetrio” mi disse con un sorriso caloroso. “E' lui? Sono loro?” le chiese la signora. Poi, senza attendere risposta, mi venne incontro e, con il volto rigato di lacrime, mi abbracciò e mi baciò. Fece lo stesso con Ferretti. Mi avvicinai a Lisa, ma non riuscivo a guardarla negli occhi. Lei mi fece segno di sedermi. Lo feci. Quando le fui vicino, lei prese la mia mano nella sua e mi sorrise ancora. Un caldo sorriso di incoraggiamento. A quel punto mi sciolsi e cominciai a piangere. Le strinsi forte la mano e vi appoggiai sopra la fronte, piangendo come un bambino. Ferretti e la madre uscirono, lasciandoci soli. Lisa mi parlò a lungo. Non ricordo cosa mi disse. So soltanto che, quando infine tacque, io avevo esaurito le lacrime e mi sentivo meglio. Quando mi trasferirono a Ravenna feci di tutto per lasciarmi quella vicenda alle spalle. Ma continuavo a sognare Lisa. Non incubi. Sogni. Un sogno. Lei, col volto radioso ammantato di luce, che mi parlava e dalle sue labbra usciva una musica ipnotica, che mi infondeva una gioia e un piacere infiniti. Al risveglio mi sentivo un leone, o forse, sarebbe meglio dire un lupo. La chiamai e le raccontai dei miei sogni. “So che stai cercando di dimenticarmi, ma non puoi. Non l'hai ancora capito che io sono una strega?” mi disse lei a metà fra il giocoso e il serio. Sono passati anni. Lisa è diventata psicologa. Quando, raramente, mi capita di incrociare uno dei pazienti che esce dal suo studio, hanno tutti un'aria sognante e beata. La stessa che vedevo riflessa nello specchio ogni mattina, dopo che l'avevo sognata. Così, se mi chiedono se credo nel soprannaturale, rispondo che non ci credo, ma che penso di aver sposato una strega. La gente crede che sia una battuta e a me va bene così. Io, una volta congedato, smisi una divisa per poi decidere di indossarne un'altra. Mi feci trasferire nei Carabinieri. E la sapete una cosa? Ho imparato a sparare. Perché proprio nei Carabinieri? Perché, dopo quella notte, penso che ci debba essere qualcuno che sia disposto ad aiutare gli altri, anche se questo, a volte, può voler dire convivere con la responsabilità di fare involontariamente del male, come soccorrere un uccisore di bambini o amputare un braccio ad un innocente. D'altra parte il mio coinvolgimento in questa storia è cominciato proprio a causa di un sentimento di altruismo. Quando andai per sostituire Ferretti non era il mio turno. Era quello di Valle.
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