Predatori e prede
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Predatori e prede

Daniele Picciuti - thriller/horror - 10093 car.

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  1. Daniele_QM
     
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    PREDATORI E PREDE

    Ore 8.30
    La ragazzina è in perfetto orario, come al solito.
    Autobus, strada, sosta al bar, scuola.
    Tutte le mattine, la sirenetta ripete le stesse azioni, come un meccanismo incapace di incepparsi, un fantasma dietro gli occhiali con la montatura scura, occhi sfuggenti che nessuno nota.
    Non ha amici, né amiche. Sola come un ragno che tesse la sua tela, sfila accanto agli altri saluntandoli appena con un cenno della testa e arrosisce se non ricambiano il saluto.
    Si chiama Clelia, un nome che imbruttirebbe anche una sirena, ma lei non ha questa fortuna, è solo una sirenetta, innocente come latte appena munto, che non sa di essere osservata. Ho sentito chiamarla per nome solo un paio di volte, dall’unica ragazzina che le rivolge la parola, una molto più carina di lei, anche troppo perché possa degnarla della sua considerazione ancora a lungo.
    E quando le parla, la mia sirenetta arrossisce.
    La chiamo così per via di quello zaino sotto cui è seppellita, dove spicca l’adesivo di Ariel, la sirena dai capelli rossi a firma Walt Disney, col suo fedele granchio accanto.
    La sirenetta.
    Ha i capelli sempre secchi, di un colore a metà tra il carota e il ruggine, legati in una coda di cavallo tenuta insieme da un elastico e quattro mollette gialle, e profumano di lavanda.
    Riesco a sentirne l’odore ogni volta che passa qui davanti. Lei mi nota appena, in fondo io sono solo un tizio che scarica le cassette di frutta al mercato rionale. Probabilmente crede che io sia un rumeno, un albanese o un qualsiasi altro straniero dell’est europeo. Non potrei darle torto, la carnagione e il taglio degli occhi non mi rendono giustizia e certo non tradiscono le mie origini, italiane al cento percento.
    Anche oggi la sirenetta mi sfila davanti senza vedermi.
    La osservo, come sempre, ma ho come l’impressione che sia più tesa del solito, come se un nascosto segreto la turbasse.
    Poi qualcosa distoglie la mia attenzione, un sommesso ringhiare di quelli che ti gelano il sangue. E' ancora quel tipo col suo cane, uno che esce tutte le mattine con l’aria di chi sia costretto a farlo da una moglie che non è mai stata una sirenetta. L’animale è un Alaskan Malamute, credo si chiami così, un bell’esemplare dal pelo bianco e grigio, non c’è che dire. Una volta ho visto un documentario in cui spiegavano che gli americani rischiarono di far estiguere la razza durante la seconda guerra mondiale, in quanto utilizzati in battaglia, non so bene a quale scopo, forse per l’avanscoperta o per trasportare armi e medicinali.
    Sarebbe una buona pellaccia da rivendere a quelli dei combattimenti clandestini tra cani, peccato che io non ne conosca nessuno.
    - Mi scusi - mormora l'uomo, puntuale nella sua meschinità, - è buono, non lo fa mai con nessuno.
    Tutte le volte la solita solfa. Stronzo bastardo, tu e il tuo schifoso cane, che mi fissa con gli occhi di fuori, i denti scoperti e la bava alla bocca.
    Che cosa senti, lurida bestia, che ti dà fastidio? Cosa vuoi da me?
    Se potessi, tirerei fuori un coltello e lo sgozzerei adesso, come fanno i cinesi prima di servirli sui tavoli dei loro fottuti ristoranti.
    - Nessun problema, - ecco che recito il solito ritornello, - sarà l'acqua di colonia.
    Ci facciamo una risata, poi li osservo allontanarsi.
    Bene, dov'è la mia sirenetta?
    Eccola, ora sta facendo sosta al bar, come tutte le mattine. Mentre fingo di controllare le arance, continuo a osservarla.
    La vedo parlottare con un ragazzino più grande di lei, probabilmente uno di terza media.
    A un tratto si gira ed esce dal bar con la faccia tra le mani, ballonzolando assieme al suo zaino.
    Povera sirenetta, forse è la prima delusione d’amore della sua vita? O forse l’ennesima dopo tante?
    La osservo mentre fugge e viene dalla mia parte. Le scarpe da ginnastica scivolano sul pavimento umido di pioggia e lei frana a terra col sedere sul marciapiede.
    E’ il momento.
    Strano, come possa accadere. Qui, adesso.
    Adesso.
    Mi precipito da lei e mi chino per aiutarla.
    - Tutto bene? Ti sei fatta male?
    Lei alza gli occhi verso di me e nell’incontrare il suo sguardo al di là degli occhiali spessi come fondi di bottiglia, riconosco la creatura fragile che vi si cela.
    - No, grazie. – Risponde in fretta, cercando di tirarsi su da sola, ma trovando il peso dello zaino a inchiodarla dov’è.
    - Aspetta. – La aiuto, la tiro su a forza e finalmente è in piedi.
    Nel suo cappotto rosso e verde sembra un albero di Natale appena scongelato. E’ dicembre e il clima è rigido, ma non così tanto da trincerarsi dentro un’imbottitura del genere.
    La timidezza governa la sua vita sotto ogni aspetto, così come fa con la mia.
    - Grazie. – Ripete, incespicando mentre si allontana da me.
    - Aspetta, tu zoppichi! – Le tengo una mano, che è così liscia, come seta. – Vuoi che ti accompagni a casa?
    - No. – Risponde, voltandosi appena, un solo sguardo, un attimo per scoprire che anche io esisto, che anche io sono come lei.
    Solo.
    Poi se ne va, ma so che sarà per poco.
    Come a leggere nei miei pensieri, si ferma dopo pochi passi.
    Si massaggia la caviglia, inginocchiandosi, e piange.
    Vado verso di lei e mi rendo conto di avere un’arancia in mano.
    La raggiungo e mi chino per starle accanto.
    - Tieni.
    La sirenetta osserva l’arancia che le sto porgendo come se fosse un dono di nozze. Mi chiedo se qualcuno le abbia mai offerto niente, se abbia mai ricevuto un regalo. Forse solo un orsetto di peluche, con un bottone al posto dell’occhio destro e la schiena ricucita con del filo rosso, il giorno di Natale.
    Ma questa è la mia eredità.
    Mi sembra ancora di vedere la faccia di mio padre in quel cazzo di Natale, con il pupazzo in mano e il suo sorriso sdentato, come se mi stesse facendo il regalo più bello di tutta la sua vita. Un fallito di merda, che non mi ha mai dato niente, eccetto una madre puttana e una rabbia cieca.
    Starà dibattendosi sotto il metro di terra che lo ricopre, vendomi oggi?
    Mi piace pensarlo.
    - No... – risponde incerta – grazie.
    - Ti fa male?
    Annuisce.
    - Aggrappati a me.
    Lei allunga il braccio e si avvinghia al mio, poi faccio leva sulle gambe e la tiro di nuovo in piedi.
    - Hai bisogno di ghiaccio. Ne ho un po’, se vuoi.
    Nei suoi occhi intravedo ancora l’ombra del dubbio.
    - Lavoro qui. – Le spiego. – Dovresti avermi già visto.
    - Sì. – Mormora. – Credo di sì.
    - Ho del ghiaccio sul camion.
    Le indico il Ducato blu parcheggiato in fondo al vicolo.
    Dà uno sguardo all’orologio, poi scuote leggermente la testa.
    - Sto facendo tardi. Devo entrare a scuola.
    Si muove ma la caviglia le lancia una fitta e la sirenetta si piega su se stessa, come ad abbracciarsi la coda.
    - Ti serve del ghiaccio. Vieni.
    Mi avvio verso il camion, senza voltarmi.
    Il portellone dietro è aperto, ci sono ancora alcune colonne di cassette di frutta da scaricare, ma in fondo non importa, posso farlo più tardi, dopo aver finito con lei. D’altronde non posso permettermi di farle marcire, al giorno d’oggi non è facile tirare avanti con una paga come la mia e con questi dannati rumeni che lavorano per due soldi, soffiandoti il posto alla prima occasione.
    Quando arrivo al furgone, salgo dietro e inizio a frugare tra le scatole per attrezzi alla frenetica ricerca di qualcosa.
    Neanche un minuto e odo i passetti fuori dal furgone.
    - L’ha trovato?
    Mi giro ed eccola lì, la sirenetta, che mi osserva con fare curioso, ma ancora diffidente.
    - La sacca del ghiaccio deve essere qui. Solo che...
    Sbatto una borsa contro il furgone, una, due, tre volte, sforzandomi per convincerla delle mie azioni.
    - Non viene via. E’ incastrata!
    Continuo a sbattere la borsa, aspettando fiducioso che sia lei a offrirmi il suo aiuto.
    Ma non lo fa.
    - Mi dispiace. – Mi arrendo infine. – E’ incastrata sotto una cassa, non riesco a tirarla fuori da solo.
    Un respiro sospeso che dura qualche secondo, poi...
    - Le serve aiuto?
    La guardo. Sorrido.
    - Ti spiace?
    - No, certo. – Risponde, iniziando a salire sulla rampa di metallo che porta all’interno del Ducato.
    Mentre si avvicina lancio uno sguardo al vicolo.
    C’è solo una persona, laggiù, ancora il tizio di prima a passeggio col suo maledetto cane. Qualche volta la sirenetta si ferma a giocare con quella bestiaccia e a volte immagino che il Malamute impazzisca e la morda; mi vedo correrle incontro per salvarla, sentire il suo abbraccio caloroso mentre la sottraggo al suo predatore e annusare il profumo dei suoi capelli. Avere la sua gratitudine. La sua fiducia. L'agnello tra le braccia del lupo.
    Il mio godimento.
    Il tizio scompare dietro l’angolo e torno in me. Ora posso dedicarmi alla sirenetta.
    La mia tenera preda.
    - Dove si è incastrata?
    Lei si avvicina e io mi scanso per farle vedere.
    - Ecco. – Indico la borsa di attrezzi sul pavimento. – Lì dietro.
    Lei si affaccia per guardare.
    Facilissimo.
    L’afferro per un braccio e le tappo la bocca con una mano.
    Lei scalpita, cerca di urlare, tira calci da tutte le parti come un pesce nella rete. La tengo ferma e la spingo nell’angolo, dietro la colonna di cassette.
    Anni e anni di lavori nell’agricoltura e nell’edilizia hanno fatto delle mie mani due autentiche pale, grosse e dure come macigni.
    La mia stretta è una morsa, come quella di un leone che abbia agguantato la sua preda.
    Mentre la tengo ferma contro la sua volontà, sento crescere l’eccitazione, quella scarica d’adrenalina che ti dà il brivido della caccia, dominare la preda in pieno giorno, sotto gli sguardi di tutti, sfidare la legge, il destino, Dio stesso e sapere di averla fatta franca, di essere superiore a tutti.
    L’ebbrezza che ti rende vivo, che ti fa fremere di piacere...
    La ragazzina lotta sempre più disperata, mentre le strappo di dosso quel ridicolo cappotto e avvicino la mia faccia alla sua, a quegli occhiali da secchiona che la rendono così speciale, un autentico cimelio in un mondo di puttane.
    - Se urli ti ammazzo.
    Si pietrifica e resta tremante a fissarmi.
    - Brava. – Sussurro. – Se stai ferma, ti lascio andare.
    Non si muove, com’era prevedibile.
    Le slaccio gli ultimi bottoni del cappotto e le infilo una mano dentro i jeans, assaporando l’idea della sua innocenza, del tenero fiore che...
    - FERMO!
    La voce mi fa scattare.
    Balzo in piedi e mi giro mentre un righio spacca l’aria e mi assale con le fauci spalancate.
    Qualcosa mi spinge a terra e il male allo stato puro mi sradica il cuore, un dolore lacerante mi strappa le urla dall’anima mentre il cane sopra di me affonda le zanne nella mia gola.
    Avverto il calore dell’urina tra le gambe e la consapevolezza di essermi pisciato addosso mi attanaglia rivelandomi quello che sta accadendo.
    Sto per morire.
    Perdio, no, non per questa ragazzina! E’ una stupida sirenetta che nessuno vuole intorno, che nessuno può apprezzare come farei io... che c’entra il cane? I cani ammazzano i ragazzini, i telegiornali non fanno che parlarne, non se la prendono certo con quelli come me! Non può essere un maledetto cane eroe, non è la seconda guerra mondiale, sono solo un uomo! Non voglio morire, non posso morire!
    Sento il padrone urlare, come se cercasse di richiamare il cane, o forse per aizzarlo, non lo capisco, e la bambina urla, il Malamute ringhia, il muso lordo di sangue si contrae sopra i denti che dilaniano la mia carne e tutto si fa nero...
    Il dolore però non si attenua, invece mi spacca dentro, come a trivellarmi il cervello e dalla tenebra emerge il rosso dell’inferno, che si spalanca sotto di me per ighiottirmi dentro il suo dilaniante abisso.
    Dai suoi meandri, che non posso vedere se non con il terrore dell’immaginazione, riesco a vedere me stesso, a come sono dentro, e il lordume di cui è pregna la mia vita mi sommerge, invischiandomi in una melassa di dolore...
    Vedo e so.
    Quello che sono, veramente.
    E' a questo punto che odo le urla dei dannati levarsi a chiamare il mio nome, bramare il mio corpo e la mia anima perversa, nel fuoco che mi consuma.
    No!
    Mani ossute e scarnificate mi toccano, mi toccano...
    mi toccano...
    mi toccano...
    mi toccano...

    E così mi consumo, nel fuoco, per sempre.

    Edited by Daniele_QM - 7/5/2009, 09:58
     
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  2. riccardocibi
     
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    Ciao, carina la narrazione, bello il dialogo relativo alla borsa, chi parla è proprio una bestia, ma simpatico; grintoso il ritmo, però fino a Fermo. Poi scende di tono, vertiginosamente, -maledizione!-, e il finale smorza tutto. Aaargghh! Voto 2.

    Edited by riccardocibi - 8/5/2009, 15:10
     
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  3. TrueKira
     
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    Allora, che dire.
    Nessun barlume di originalità, purtroppo. A dire il vero all'inizio pensavo che la bambina sarebbe diventata la predatrice e lui la preda. Il classico, insomma. Però prendi una svolta che non centra nulla con tutto il resto. Il cane. Perchè il cane? Non centra, è un "deus ex machina" che sembra buttato lì solo per scrivere un finale. Finale che, tra l'altro, è troppo frettoloso e sembra avere come unico scopo quello di dare un qualche senso al racconto. Mi sembra che tu sia partito da un'idea iniziale e l'abbia scritta senza pensare al finale. Non c'è nulla di male in questo (te lo dice uno che fa sempre così), ma non sei riuscito a completare a dovere quel barlume di input. E' un racconto a metà, nato feto. Dovevi lasciarlo covare ancora un po' in testa così da farlo maturare quel tanto che bastava per sputarlo fuori completo.
    Come scrivi sta in purgatorio. Con uno sforzo in più (e qualche rilettura: l'impressione è che tu non l'abbia rivisto molto) credo tu possa fare molto meglio. Fino alla svolta del cane mantieni un livello altanelante ma che si lascia leggere, poi cadi nel baratro. Lasciando stare il finale, mi sento di darti alcuni consigli che spero ti saranno utili: la punteggiatura. Ok voler dare un taglio veloce senza rinunciare alle descrizioni psicologiche (specialmente dell'uomo, essenziali per un racconto di questo tipo), ma evita di tenre le frasi troppo lunghe usando tutte quelle virgole. Metti qualche punto in più. Una volta che decidi di prendere questa strada come stile, spezza le frasi. Secche. Decise. . . . . . . :) Con tutte quelle virgole diventano monotone. E alcune sono proprio inutili.
    Poi, impara a rinunciare a qualche dettaglio, tipo: "Si chiama Clelia, un nome che imbruttirebbe anche una sirena, ma lei non ha questa fortuna, è solo una sirenetta, innocente come latte appena munto, che non sa di essere osservata." Ora, al di là delle virgole e della metafora poco azzeccata (il latte è innocente?), serve davvero dire che non sa di essere osservata e specificare che non è sirena ma sirenetta? Quest'ultimo si poteva introdurre con altre frasi, il primo si capiva continuando il racconto (e un po' si era già intuito). Oppure: "Una volta ho visto un documentario in cui spiegavano che gli americani rischiarono di far estiguere la razza durante la seconda guerra mondiale, in quanto utilizzati in battaglia, non so bene a quale scopo, forse per l’avanscoperta o per trasportare armi e medicinali." Troppi concetti in un solo periodo, ma soprattutto... inutili! Non dicono nulla sull'personaggio o sulla bambina e non servono nemmeno per il cane. Appesantisce e basta.
    "La chiamo così per via di quello zaino sotto cui è seppellita, dove spicca l’adesivo di Ariel, la sirena dai capelli rossi a firma Walt Disney, col suo fedele granchio accanto." Se decidi di fare una citazione, non spiegarla. Questa è una cosa assolutamente soggettiva, ma le citazioni o si capiscono o non si capiscono. Non spiegandole diverti chi le capisce e incurosisci chi non le capisce (così magari si informano a riguardo). Spiegandole fai pensare a chi le capisce "e c'era bisogno che venisse detto?" e la sminuisce a chi non l'avrebbe capita. Se poi è facile come quella che hai appena fatto (richiamata spesso dalla parola "sirenetta" nelle righe prima e dopo e dal colore dei capelli della bambina), evita con tutto te stesso la spiegazione. "La chiamo così per via di quello zaino sotto cui è seppellita, dove spicca l’adesivo di Ariel e il suo fedele granchio."
    Ok, ora la smetto XD
    Mi sono dilungato più che altro perchè l'inizio mi piaceva nonostante il fondato sospetto di leggere qualcosa di già sperimentato. Con un diverso finale (molto diverso) e qualche ritocco racconti come questi sono sempre piacevoli da leggere. Spero di esserti stato utile!

    Voto 2.

    EDIT: ops, penso di aver votato 4 per sbaglio :ph34r:
     
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  4. Daniele_QM
     
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    Ti ringrazio per il commento (no no hai votato bene! Riccardo deve essersi scordato invece).
    Quanto al finale, è semplice:
    anche quello che sembra essere un feroce predatore alla fine può essere una preda. Sarebbe stato sciocco e banale far diventare la bambina la predatrice e anche prevedibile. Ma l'imprevisto, qualcosa che non c'entra nulla e che invece recide di netto quello che sembra un predatore assoluto per poi spalancargli sotto le porte dell'inferno come a reclamare una giustizia superiore.
    Questo era l'intento. :)
     
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  5. riccardocibi
     
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    È vero! scusami, chissà dove avevo la testa. Provvedo, ciao.
     
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  6. federica68
     
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    CITAZIONE
    Ha i capelli sempre gretti,

    gretto ha un significato di tirchio con accezione di meschinità sia in senso materiale che spirituale. Ti direi di trovare un altro aggettivo...
    CITAZIONE
    che è così lisica, come seta.

    errore di battitura


    CITAZIONE
    Mi volto e vado verso il camion, senza voltarmi.

    ripetiz





    CITAZIONE
    per ighiottirmi dentro il suo spregevole abisso.(...)
    bramare il mio corpo e la mia anima perversa

    secondo me qui la presenza del narratore si avverte troppo. Mi spiego: difficilmente lui potrebbe dare un giudizio di perversità sulla propria anima, visto che fino a poco prima diceva di essere il solo che avrebbe potuto apprezzare la sirenetta ecc ecc, quindi lui vede se stesso in positivo...
    che l'abisso sia spregevole, in un momento simile, lo potrebbe dire uno da fuori, la parola mi pare troppo debole... lui potrebbe vederlo come spaventoso, terrificante, orrendo, ecc ecc ma non spregevole, mi pare.


    inoltre mi lascia perplessa lareazione del cane, così dal nulla. Non so molto di cani, non so se potrebbero fare una cosa del genere per chiunque. Voglio dire, magari avrebbe potuto farlo se la ragazzina fosse stata sua amica, magari ogni mattina passando gli faceva qualche coccola ed erano diventati amici, che ne so, poi il cane ha sentito che lei era in pericolo ed è intervenuto... non so mi sembrerebbe più logico come comportamento canino. Ma ripeto, non so molto di cani, per cui potrei anche sbagliare.

    per il resto, mi pare che manchi qualcosa, ma non so cosa. Forse appunto qualche flash del cane con la ragazzina, visto che il personaggio a 4 zampe piomba praticamente dal nulla, anche se poi diventa decisivo e proprio per questo meriterebbe qualche battuta in più, credo... fra l'altro appunto il cane mi sembra un elemento di originalità in una storia purtroppo sentita troppo spesso anche al telegiornale, per cui ci lavorerei un po' su...
    per ora sarebbe un 2,5, ma non 3. Aspetto a votare, nel caso decidessi di fare qualche aggiunta o medifica
    baciotto


     
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  7. Daniele_QM
     
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    CITAZIONE
    secondo me qui la presenza del narratore si avverte troppo. Mi spiego: difficilmente lui potrebbe dare un giudizio di perversità sulla propria anima, visto che fino a poco prima diceva di essere il solo che avrebbe potuto apprezzare la sirenetta ecc ecc, quindi lui vede se stesso in positivo...
    che l'abisso sia spregevole, in un momento simile, lo potrebbe dire uno da fuori, la parola mi pare troppo debole... lui potrebbe vederlo come spaventoso, terrificante, orrendo, ecc ecc ma non spregevole, mi pare.

    Il fatto è che nel momento in cui precipita all'inferno SI RENDE CONTO DI CIO' CHE E'. Quindi ci sta che lui veda se stesso in un modo nuovo, nel modo giusto.

    CITAZIONE
    inoltre mi lascia perplessa lareazione del cane, così dal nulla. Non so molto di cani, non so se potrebbero fare una cosa del genere per chiunque. Voglio dire, magari avrebbe potuto farlo se la ragazzina fosse stata sua amica, magari ogni mattina passando gli faceva qualche coccola ed erano diventati amici, che ne so, poi il cane ha sentito che lei era in pericolo ed è intervenuto... non so mi sembrerebbe più logico come comportamento canino. Ma ripeto, non so molto di cani, per cui potrei anche sbagliare.

    Non sbagli in realtà, anche se ci sono stati casi in cui è accaduto, ma è molto più facile che succeda se si conoscono. Ci penso, questa è una giusta obiezione.

    Stasera vedo, l'idea del fb è buona.
     
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  8. Daniele_QM
     
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    Credo che così funzioni meglio. :D
     
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  9. federica68
     
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    sì, meglio, confermo
    :lol:

    metto 3 pieno :-)

     
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  10. rehel
     
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    Purtroppo devo quotare i miei predecessori nel commento.
    Il finale tradisce un po' troppo le aspettative. Capisco la voglia di non cadere nel risaputo, nello scontato (il titolo lo faceva presumere), con la preda che diventa predatore. Ma così non è molto chiaro.
    Faccio solo un esempio: il comportamento del cane, come già detto, è feroce. Un cane del genere andrebbe in giro con la museruola. Oppure il padrone lo dovrebbe avere aizzato, ma perché? Non era sufficiente immobilizzare il pervertito?
    Peccato perché l'inizio era buono e anche lo stile (secondo me). :shifty:
    Purtroppo, ripeto, solo un due. Ma se gli trovi un finale diverso può levitare parecchio in quota.
     
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  11. Daniele_QM
     
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    Giuseppe ti ringrazio, mi hai fatto venire in mente un modo per introdurre meglio il cane. Ho modificato di nuovo. :D
     
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  12. shivan01
     
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    ciao
    secondo me la storia si perde un po' nel finale, nel senso che l'ultimissima parte forse non serve. Non è funzionale al resto, intendo.
    il cane, poi, interviene a salvare la ragazzina. Immagino il padrone, una persona normale, che lascia libero il cane per interrompere la violenza. Da lì, a lasciarlo sbranare completamente, mi sembra un passo un po' lunghetto. In effetti il padrone del cane non è un assassino.
    Il racconto è in qualche punto un po' troppo "narrato". E' la classica intrusione del narratore. Il rischio della prima persona è spesso proprio questo.
    Ci sono troppe occorrenze di "sirenetta".

    Voto 2, sorry
     
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  13. Daniele_QM
     
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    CITAZIONE (shivan01 @ 8/5/2009, 11:07)
    il cane, poi, interviene a salvare la ragazzina. Immagino il padrone, una persona normale, che lascia libero il cane per interrompere la violenza. Da lì, a lasciarlo sbranare completamente, mi sembra un passo un po' lunghetto. In effetti il padrone del cane non è un assassino.

    In realtà il cane gli è scappato, cosa purtroppo fin troppo frequente nella realtà...
     
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  14. troppo_distante
     
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    Ciao!
    Ottimo lo stile, apprezzabile la forma.
    Sinceramente, fino a tre quarti, il racconto m'ha davvero entusiasmato.
    Le personalità e le descrizioni dei personaggi sono minuziose e sorprendenti nella loro efficacia.
    Davvero in poche righe sei riuscito a "creare" non solo gli attori del racconto, ma persino "la storia" di questi attori.
    Alcune scene, tipo quella dell'arancia, mi sono apparse addirittura poetiche.
    Ecco, m'ha spiazzato e un po' deluso il finale. M'aspettavo una soluzione diversa, meno banale se vogliamo.
    Addirittura nelle ultime righe sei scivolato nel fantastico.
    Hai mescolato tre generi, il drammatico, il nero e il fantastico. Questo fatto ha impoverito invece di aumentare le potenzialità del racconto.
    Mi sento però di darti lo stesso un quattro perchè la scena dell'arancia vale da sola la lettura del racconto.
    Saluti!
     
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  15. Tunaboy
     
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    Ciao

    Bene lo stile. Bene l'idea del predatore che diventa preda del terzo elemento del racconto e che fino a poco prima sembrava una semplice comparsa. Però secondo me era meglio fare maggiori riferimenti al cane. Mi spiego. Così come descrivi nel maniaco l'eccitazione della caccia, così avresti dovuto fare anche per il cane. Questo avrebbe chiuso in maniera perfetta il cerchio e dato maggior senso. Inoltre io avrei messo anche riferimenti alla bestialità del protagonista. Chi è il vero animale fra lui e il cane?
    Questo ti consentirebbe di eliminare la parte soprannaturale relativa all'Inferno e farci capire che il protagonista intuisce, nell'attimo della morte, di non essere meglio della bestia che lui tanto odiava.
    Mi dispiace, ma così com'è il finale proprio non mi è piaciuto. 2
    Ciao
     
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38 replies since 6/5/2009, 10:18   291 views
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