|
|
Eccomi qua Dunque, il racconto presenta "alcune" parolacce, anche se non credo che sia necessario inserire il "parental control". Nel caso, fatemi sapere che lo aggiungo subito Faccio una piccola premessa per evitare fraintendimenti su questo brano. Questo racconto nasce come omaggio a "La risposta" di Frederic Brown, scrittore di fantascienza dello scorso secolo. Tuttavia "La domanda" non è una sorta di "remake" dell'originale. Sebbene infatti il tema di fondo sia il medesimo, i due brani sono completamente diversi per impianto, stile e struttura (e chi ha letto Brown potrà di certo confermare). Scrivo ciò per due ragioni: 1) In un mio precedente racconto ("Come madre e figlio") alcuni avevano trovato riferimenti ad altre opere assolutamente involontari da parte del sottoscritto (anche perché una delle opere citate nemmeno la conoscevo ). 2) Per evitare commenti di questo tipo: "Il racconto mi è piaciuto, ma visto che l'idea non è originale invece di X punti te ne do Y". Scusate la lunga premessa, ma in questo caso l'ho ritenuta necessaria.
EDIT: mi sono reso conto solo ora che le due operazione matematiche presenti nel brano sono uscite fuori con una grafica un po' barlocca. Vabbè, non sono fondamentali ai fini della trama. Limitatevi a immaginare due operazioni diverse XD
EDIT 2: è possibile leggere il racconto di Brown al seguente indirizzo: http://www.geocities.com/WallStreet/5385/Risposta.htm
La domanda Per la quarta volta in meno di un’ora, le immagini sullo schermo presero a screpolarsi sino a diventare una serie indistinta di puntini grigi e macchie schizofreniche che si rincorrevano. «Porca troia!» imprecò Lukash, dando una manata sul monitor. «Prima o poi dobbiamo cambiare quella dannatissima antenna. Non è possibile perdere il segnale a ogni passaggio di giunzione.» «In questo momento abbiamo altre priorità.» rispose distrattamente il professor Strelok, attivando la radio. «Qui stazione Mater; tutto bene laggiù, Vrostok?» Dopo alcuni secondi le casse gracchiarono una risposta. «Son…nzio…il segnale…asso…non rie…forse o…ite?...detto mi sentite? Rispondetemi.» «Ora ti sentiamo, Vrostok. Dove ti trovi?» «Ho appena superato il nodo trentadue. Sono a pochi...tri dal pannello danneggiato. Aspettate, vedo di regolare anche il segnale video.» Sullo schermo lo sfarfallio si attenuò, fino a che ogni pixel non ritrovò il posto che gli competeva. Il colore passò dall’iniziale anarchia a un’ordinata scala dei grigi. La telecamera, posta sul casco dell’esoscheletro mosso da Vrostok, mostrava uno stretto cunicolo, affiancato da un numero indefinito di cavi e tubi. Nuvole di vapore venivano sparate a cadenza regolare dai fori d’uscita dei condotti di raffreddamento, andando ad appannare il vetro della telecamera. «Ecco, ci siamo.» gracchiò Vrostok. «Pannello quattrocentododici, ultima fermata.» Le tozze braccia dell’esoscheletro afferrarono la lastra metallica e la staccarono dalla parete come se si trattasse di un foglio di carta. Da oltre il rivestimento si sprigionò una nube di fumo che per qualche secondo offuscò la visuale agli uomini in attesa nella sala di comando. «Fantastico! E anche la dodicesima serie di relè della giornata è andata a fottersi.» bofonchiò Lukash. «Spero tu abbia una buona scusa da presentare a quelli dei piani alti, altrimenti i prossimi pezzi di ricambio li pagheranno con i nostri stipendi.» «Li puoi riparare, Vrostok?» domandò Strelok, senza badare alle parole del collega. «Nessun problema. Ho con me tutto il necessario. Inoltre, a prima vista, i cavi di collegamento con il circuito di alimentazione sembrerebbero intatti.» «Molto bene. Sostituisci i relè il più in fretta che puoi. Voglio partire con un nuovo test entro sessanta minuti. Mater chiude.» Il professor Strelok interruppe la comunicazione e si lasciò sprofondare sullo schienale della vecchia poltrona su cui era seduto. «Intendi eseguire di nuovo quel test?» domandò Lukash, porgendo una tazza di caffè fumante al collega. «Non dovrei?» ribatté Strelok dopo un rapido sorso. Lukash sbuffò. «Non spetta a me decidere. Sei tu a capo del progetto. Tuttavia, se posso esprimere il mio modesto parere, direi che forse è il caso di fermarci qui. Dopotutto abbiamo già raggiunto risultati eccezionali, se non addirittura superiori alle aspettative iniziali.» «Ero convinto che il nostro obbiettivo fosse azzerare del tutto il margine di errore.» «Sai, comincio quasi a sospettare che dietro questa mania di perfezionismo tu stia nascondendo il desiderio inconscio di non abbandonare il comando del progetto.» «Non sparare stronzate.» «Stronzate? Dio mio, Andrej, siamo fermi da quasi quindici anni per via di un errore infinitesimale all’interno del programma di calcolo!» «È bello vedere come tu sia in grado di definire “infinitesimale” un errore capace di mandare a puttane l’intero sistema di Omnia.» «Devo forse ricordarti che tale “errore” nasce da un tuo gioco perverso con il programma? Sai chi mi ricordi? Mi ricordi gli ingegneri che causarono l’incidente di Chernobyl. “Chissà cosa succede se portiamo il reattore al massimo?” “Ah, non lo so. Dai proviamo.” “Ops, si è fuso il nocciolo. Scusate, non volevamo.” Tu sei uguale! Da quindici anni continui a giocare con Omnia per vedere chi di voi due ce l’ha più grosso. Solo che ogni volta che perdi i contribuenti sono costretti a pagare di tasca loro non so quanti miliardi di Uron. E quelli dei piani alti sono stanchi di tutti questi fallimenti. Dovevamo impiegare soltanto trentatre anni a costruire Omnia; e invece ne sono passati quarantotto e non siamo ancora giunti alla fine. Sidorovich è sempre più incazzato, e sinceramente non so più che scuse inventargli, visto che tu non ti fai mai trovare al cellulare, lasciando a me il lavoro sporco. Però a te cosa te ne frega. L’importante è divertirsi, dico bene?» «Credi davvero che sia un gioco per me?» ribatté Strelok, spazientito. «Rispondi te, ora: cosa accadrebbe se un giorno qualcuno ponesse quella determinata domanda a Omnia?» «Ma a chi cazzo vuoi che passi per la testa di chiedere una simile cosa a una macchina?» sbraitò Lukash, alzando le mani al cielo. I tecnici alle sue spalle alzarono gli occhi dai monitor, curiosi di godersi l’ennesima sfuriata tra i due scienziati. «A me è venuto in mente,» fece notare Strelok con un mezzo sorriso stampato sulla faccia «e nulla vieta di pensare che la stessa cosa non venga in mente anche a qualcun altro. E allora sì che i nostri cari contribuenti si dovrebbero preoccupare.» Lukash guardò l’amico con l’aria di chi ha già sentito la stessa storia mille volte. «Ti scordi un particolare: un modo per aggirare l’ostacolo c’è. Basterebbe sfruttarlo.» «Mi rifiuto.» disse Strelok, scuotendo la testa. «Probabilmente darebbe vita agli stessi identici danni, se non addirittura peggiori.» Lukash aprì la bocca per ribattere, ma una serie di bip interruppe la loro conversazione. «Qui Mater. Siamo in ascolto, Vrostok.» disse Strelok dopo aver attivato il microfono. «Volevo solo informarvi che ho ultimato la sostituzione dei relè. Faccio ritorno all’elevatore.» «Molto bene. Attendiamo il tuo ritorno nella stazione insieme alle altre squadre e partiamo con il nuovo test. Mater chiude.»
Occorse una mezz’ora abbondante prima che tutti gli ingegneri facessero ritorno al livello zero. All’interno della sala di comando i tecnici informatici fecero ripartire le sequenze di calcolo preliminari. Uno a uno, gli schermi si riaccesero, mostrando ognuno file e file di dati alfanumerici apparentemente privi di senso. I computer ronzavano rumorosi. «Operatività al cento per cento.» affermò il tecnico supervisore quando Omnia fu riavviato del tutto. «Ottimo.» disse Strelok, mentre si puliva le lenti degli occhiali con un lembo del camice. «Cominciamo subito con le domande di test.» Il professore schiacciò uno dei tanti pulsanti sulla sua console, attivando il controllo vocale. «Omnia, quanto fa otto per due.» Sullo schermo principale comparve un grosso sedici, confermato da una voce computerizzata. «E ora dimmi quanto fa sette virgola cinque periodico diviso quattordici alla dodicesima sotto radice terza.» «Specificazione necessaria. Opzione A: 7,5 ̅ ∶∛(〖14〗^12 ). Opzione B: √(7,5 ̅ ∶ 〖14〗^12 ).» «E anche i sistemi di logica lessicale funzionano.» notò Lukash, spuntando la seconda casella del questionario standard sull’operatività del sistema. «Opzione A.» scelse Strelok, per poi chiedere conferma a uno dei suoi uomini quando il risultato comparve sullo schermo. «Passiamo alla gestione di ricerca. Omnia, di quante persone è composta la popolazione della Repubblica in questo momento?» «Ottocentonovantaseimiliardi duecentododicimilioni cinquantaseimila settecentoquarantatre unità alle ore 16.36 del 12 Maggio 11896, con un’approssimazione dello zero virgola quattro percento dovuto alla registrazione dei nuovi nati e dei recenti defunti.» «Omnia, crea una lista di tutti i testi cartacei mai scritti inerenti l’argomento “semiotica”.» Sullo schermo fu visualizzata una lunga serie di titoli, più di duecentomila, a giudicare dal numero in alto sulla destra. «E ora ordinali per categorie generiche.» In meno di un istante la precedente lista fu sostituita da un numero più ridotto di macrocategorie: ordine cronologico, per autore, attinenza, editore, dimensione o colore delle copertine... «Sostituisci “testi cartacei” con “pagine sulla rete”.» Di nuovo, la ricerca fu completata nel momento stesso in cui Strelok finì di porre la domanda. «A quanto sembra la gestione di ricerca non presenta problemi di sorta.» disse Lukash, lanciando un’occhiata su uno degli schermi di servizio. «Nessun picco o calo nella frequenza; valori nella norma.» confermò il tecnico supervisore. Strelok si girò verso Lukash. «Che dici? Passiamo direttamente al pezzo forte?» «Fa’ come credi.» rispose lo scienziato senza nemmeno degnare l’amico di uno sguardo. Il professor Strelok si massaggiò il mento ispido e si stropicciò gli occhi arrossati dalle lunghe notti passate davanti al computer a cercare di risolvere l’unico difetto riscontrato in Omnia. «E va bene.» sussurrò, prima di avvicinarsi di nuovo al microfono. «Omnia, chi sei?» L’immagine sullo schermo fu sostituita per la prima volta in quella sessione da una barra che indicava la progressione della ricerca. Ma, giunta poco oltre al 99,9 percento, il sistema si bloccò. Uno a uno, i monitor della sala di comando si spensero, mentre i tubi di raffreddamento smisero di far circolare l’azoto liquido al loro interno. Sconfortati da quell’ennesimo insuccesso, i tecnici si alzarono dalle loro postazioni e si misero a discutere fra loro. Anche Lukash si alzò in piedi, ma solo per poter colpire la parete con un pugno. «Cosa stai facendo?» domandò nel vedere Strelok tirar fuori il cellulare, mentre si massaggiava la mano dolorante. «Chiamo Sidorovich.» «Oh, merda. Addio pensione.»
«Il consiglio non è per nulla soddisfatto dei risultati raggiunti sino a questo momento.» esordì Sidorovich quando il cameriere si ricordò di servire i due caffè ordinati da più di un quarto d’ora. «I ritardi sui tempi di consegna previsti vanno di gran lunga oltre quanto preventivato in fase iniziale, per non parlare dei sempre più elevati costi di gestione e manutenzione. Hai una vaga idea di quanto costi ai contribuenti ogni tuo esperimento fallito?» Seduto di fronte, il professor Strelok finì di versare il latte nel caffè prima di rispondere. «Vlad, comprendo il tuo punto di vista, ma cerca di capire anche il mio. Ormai siamo a un passo dal risultato finale. Da quando abbiamo cominciato a porre quella domanda a Omnia siamo sempre riusciti a ottenere una progressione nel processo di calcolo, segno che siamo sulla buona strada.» «Progressione sviluppatasi con risultati inversamente proporzionali di test in test.» Sidorovich aprì la cartelletta appoggiata sul tavolo e n’estrasse alcuni fogli. «Il primo test a portare esito negativo risale a quasi quindici anni fa, a poche settimane da quella che sarebbe dovuta essere l’inaugurazione ufficiale di Omnia. Ero presente anch’io quel giorno e ricordo perfettamente che il contatore si fermò poco oltre il quattro percento prima che il sistema collassasse. Da lì in poi sono seguiti dai tre ai quattro test giornalieri – almeno quando i danni provocati da continui arresti permettevano riparazioni rapide – il che fa più di ventimila esperimenti sino ad oggi; esperimenti che hanno portato a risultati sempre più esigui. Già dopo le prime due settimane la progressione era scesa sotto l’un percento per tentativo. E oggi a quanto siamo? Sotto lo zero virgola zero zero zero uno, giusto?» Strelok non rispose. «Ribadisco quanto già detto prima: il consiglio – così come i cittadini – non può più aspettare. Pretende di vedere risultati concreti.» «E tutti i progressi nel campo della salvaguardia dei dati? Non sono forse dei risultati concreti quelli?» fece notare Strelok, alzando leggermente la voce. «Per il governo, forse, ma non agli occhi dei contribuenti che da quasi cinquant’anni pagano a testa dodicimila Uron all’anno per sovvenzionare Omnia. Senza contare che tutte le nuove tecnologie derivate da applicazioni di Omnia non hanno portato alcun guadagno, ma soltanto nuovi costi per gli aggiornamenti dei sistemi già esistenti, il tutto solo per uniformare i computer della Repubblica al nuovo standard da te ideato, ma che ancora non può essere applicato a pieno regime.» Sidorovich fece una pausa per riprendere fiato e dare un sorso al suo caffè. «Tutto ciò appare ancora più assurdo se pensiamo che il modo per arginare questo baco esiste già da anni.» «Il blocco di domanda non è affatto una soluzione.» si affrettò a ribattere Strelok. «Omnia non è un normale computer nel quale l’utente inserisce dei dati e il sistema esegue i calcoli necessari per giungere al risultato. Lo potremmo definire il primo vero apparato induttivo artificiale. Una volta attivo, Omnia non solo regolerà tutte le più basilari operazioni della nostra società come la gestione degli orari dei mezzi di trasporto o il calcolo delle aliquote per cittadino; rilevati tutti i fattori presenti nella sua area d’azione, Omnia sarà in grado anche d’intuirne l’evoluzione. Saremo in grado di conoscere la progressione degli eventi ancora prima che questi accadano: crimini di varia natura, fenomeni naturali, sviluppi sociali... Saremo addirittura in grado di realizzare vaccini contro malattie che ancora non si sono diffuse. Ma per fare tutto ciò, Omnia ha bisogno di avere accesso a qualsiasi informazione, altrimenti i processi di calcolo rischieranno di bloccarsi.» «Ah, perché invece un sistema che collassa dopo aver ricevuto una domanda tanto banale come “chi sei?” sarebbe una soluzione migliore?» La fronte di Sidorovich si corrugò e l’uomo rimase in attesa per qualche secondo. «Avevi trentadue anni quando presentasti la prima versione del progetto Omnia. Oggi quanti ne hai? Settantanove? Sai, non credo che la Repubblica possa contare molti scienziati con una carriera tanto lunga e continuativa su un unico progetto. Anzi, sono quasi sicuro che tu sia l’unico. E forse ti stai chiedendo quale futuro ti potrebbe aspettare una volta ultimato Omnia. L’assegnazione di un nuovo progetto è pressoché impensabile, per quanto grande possa diventare la tua fama al termine dell’attuale incarico. L’insegnamento, poi... Non ti ci vedo proprio dietro una cattedra a inculcare nozioni teoriche. No, tu sei sempre stato per l’applicazione; sei nato per stare in prima fila. E adesso hai paura di vederti la tua creatura sottratta dalle mani.» «Ti prego, Vlad, non fare lo strizzacervelli dei poveri. Non ti riesce. Qui io non c’entro. Qui abbiamo a che fare con la stabilità dell’intero sistema, abbiamo a che fare con il concetto stesso di conoscenza...» Sidorovich alzò una mano, facendo segno allo scienziato di stare zitto. «Andrej, sai bene quanto stimi il tuo lavoro e il tuo genio. Quando cinquant’anni fa proponesti il progetto Omnia alla Commissione Governativa per le Nuove Tecnologie, io fui tra i pochi ad appoggiarti; e lo faccio tutt’ora. Tuttavia la mia influenza non è più quella di una volta, e questo lo sai anche tu. Io ti sto offrendo una via d’uscita, altrimenti rischierai che colui che prenderà il mio posto tagli i fondi, annullando di fatto tutti gli sforzi di questi anni. Ecco dunque la mia unica e ultima proposta: ti do una settimana di tempo a partire da domani per riparare i circuiti di Omnia e dare una ripulita ai laboratori. Poi, domenica prossima inaugureremo il sistema alla presenza della stampa e delle massime cariche della Repubblica. Non posso più coprirti, mi spiace.» Il professor Strelok buttò giù quel che rimaneva del suo caffè con un’ultima sorsata e rimase in silenzio per più di un minuto. A malincuore, fece segno di sì con la testa.
La sala conferenze del Centro era così colma di persone da sembrare grande il doppio. Centinaia di telecamere erano fisse sul palco ancora vuoto, pronte a trasmettere su onde subeteriche le immagini di quello che prometteva di essere il più importante annuncio della storia dell’umanità. Dietro il telone che ancora per pochi minuti avrebbe nascosto il palco, Andrej Strelok fumava. «Agitato?» domandò Lukash, vedendo l’amico spegnere con nervosismo la sigaretta sotto la suola della scarpa. «Non dovrei?» «In fondo è la tua serata, questa. Anzi, “la serata dell’umanità intera”. O almeno così dicono gli spot sulla Rete.» Strelok sorrise. Quando voleva, Lukash sapeva come farlo rilassare. Da dietro una serie di pannelli mobili comparve Sidorovich. Sarebbe stato lui a presentare la cerimonia. «Allora, compagno. Pronto a dare inizio allo spettacolo?» Strelok si limitò ad alzare le spalle. Non si ricordava di avere voce in capitolo. Uno dei responsabili per la diretta si avvicinò. «Trenta secondi.» Sidorovich annuì, diede una pacca sulle spalle a Strelok e si avvicinò al bordo della bocca del palco. Lo scienziato fece per seguirlo, ma Lukash lo fermò. «Hai fatto la cosa giusta.» Il professor Strelok piegò le labbra in un mezzo sorriso. «Me lo auguro.» Le luci si abbassarono.
Negli studi televisivi i giornalisti si affrettarono ad informare i rispettivi telespettatori dell’inizio della presentazione, cedendo la linea alla presa diretta. Dai due lati opposti del palco comparvero il professor Strelok e Sidorovich. Fu quest’ultimo a parlare per primo. «Onorevoli membri del Governo ed egregi cittadini della Repubblica, quest’oggi mi trovo qui per annunciare il completamento del più ambizioso progetto che la mente umana sia mai stata in grado di concepire: Omnia!» L’ampio drappo divisorio sul palco si aprì e oltre di esso prese forma un gigantesco schermo che mostrava uno sfondo bianco. «Tale congegno, ideato e progettato dal qui presente professor Andrej Strelok, è in grado, in maniera completamente autonoma e autosufficiente, di gestire qualsiasi operazione all’interno della nostra comunità. Ma tutto ciò in buona parte già lo sapete, essendo Omnia stato annunciato parecchi anni orsono. Mi limito pertanto a dire che già da quarantotto ore, Omnia sta gestendo tutti i singoli aspetti organizzativi e logistici della Repubblica, in maniera perfettamente sincronizzata tra tutti i suoi cinquantamila pianeti, garantendo da oggi in poi una perfetta assistenza a qualsiasi attività.» Le parole di Sidorovich furono interrotte da un lungo applauso. «Sono però certo che una dimostrazione pratica delle potenzialità di Omnia valga più di mille parole.» Sidorovich si allontanò dal centro del palco e si avvicinò alla poltrona del Presidente. «Presidente, a lei l’onore della prima domanda. Non abbia paura di mettere in difficoltà Omnia.» Le telecamere si orientarono tutte verso il volto del Presidente, pronte a immortalare la scena. «Salve Omnia.» salutò il Presidente, alzandosi in piedi. «Buongiorno, signor presidente Ivanov.» rispose il computer, provocando una nuova serie di applausi. Sorridendo, il Presidente domandò: «Omnia, quale giudichi essere stato l’evento che più di ogni altro ha segnato la storia dell’umanità?» «All’interno di un processo evolutivo, ogni azione è determinata da una precedente causa. Ne consegue che non è possibile stabilire una scala d’importanza per gli eventi storici, essendo tutti l’uno consequenziale all’altro. L’unico atto che può essere ritenuto fondamentale è quello creativo medesimo. È tuttavia ragionevole pensare, con una percentuale di probabilità del 99,94647 per cento, che, dati i rilevamenti satellitari, la struttura dell’universo si alterni continuamente in uno stato di espansione e condensazione, dando così vita a un infinito processo di auto creazione. Come tale, risulta superfluo distinguere l’atto creativo dall’atto evolutivo. Lo stesso Theodor Gibson nella teoria delle stringhe evolutive sostiene...» «Bene così, Omnia. La tua spiegazione è stata già abbastanza... esauriente.» rispose il presidente, mentre per tutta la sala i presenti bisbigliavano tra loro, sforzandosi di capire le parole della macchina. «Tesoro, vuoi porre tu il quesito successivo?» La moglie del Presidente si alzò e, dopo aver meditato un po’ su di una domanda che portasse a un responso meno arduo da interpretare rispetto a quella del marito, disse: «Omnia, saresti in grado di rilevare se è ancora in vita qualche esemplare di koala?» Sullo schermo lo sfondo bianco fu rapidamente sostituito da un’immagine satellitare, la quale s’ingrandì progressivamente sino a visualizzare un singolo albero. All’immagine fu quindi applicato un filtro agli infrarossi che visualizzò una piccola macchia scura che si muoveva lentamente tra i rami. «Ramor, quinto pianeta del sistema Belghira. Identificata una colonia di sessantasette esemplari. Non se ne rilevano altre all’interno dei settori esaminati.» Questa volta la sala scoppiò in un fragoroso applauso. «Qualcuno vuole porre un’altra domanda a Omnia?» chiese Sidorovich quando i presenti smisero di battere le mani. Tutti insieme, i giornalisti si misero a gridare domande di ogni tipo: da quale fosse il reale concetto di arte a quali potessero essere le soluzioni per porre fine al conflitto Iandiano nel sistema Nuala, da dove avesse avuto origine l’universo al perché della crisi economica del 9002. Sidorovich dovette faticare parecchio per riportare la calma all’interno della sala, e quando finalmente ci riuscì un giornalista urlò: «Perché non facciamo porre una domanda al professor Strelok?» Di nuovo le telecamere si mossero all’unisono in un’unica direzione. «Sì, professor Strelok, domandi qualcosa a Omnia per gli spettatori.» continuò un altro giornalista. Strelok si girò in direzione di Sidorovich, come a volergli chiedere l’autorizzazione. Il commissario piegò le labbra in un sorriso tanto finto quanto forzato per far contenta la stampa. Il silenzio tornò ad essere totale. Il grande schermo era tornato a mostrare lo sfondo bianco dell’inizio, in attesa anche lui della domanda che sarebbe stata posta. Il professor Strelok si rivolse al monitor che, come un’autorità superiore, lo sovrastava. «Omnia, sono il professor Strelok.» «Buongiorno, professor Strelok.» «Omnia, voglio fare un gioco.» Strelok scambiò un ultimo sguardo con Lukash, il cui volto si trasformò in una maschera di autentico panico. «Dimmi chi sei.» Sullo sfondo bianco comparve la barra di progressione. Uno dopo l’altro, a cadenza regolare, i numeri da zero in avanti segnarono l’avanzamento della ricerca. Nessuno osava parlare, anche se la lentezza di quell’operazione allarmava i più. Lukash corse verso Strelok. «Perché?» gli sibilò all’orecchio. «Guarda.» si limitò a rispondere Strelok. La barra era ormai giunta a segnare il novantacinque percento. Novantasei. Novantasette. Novantotto. Novantanove. Per un attimo la progressione si bloccò. Poi giunse il cento. Lo schermo divenne nero e tutte le luci della sala si spensero. E così fu anche in tutti gli altri ventimila pianeti della Repubblica. Miliardi e miliardi di computer smisero di funzionare, mostrando solo uno sfondo nero. E pochi istanti prima che la Repubblica smettesse di esistere, su tutti gli schermi comparve una parola: DIO.
Edited by Okamis - 17/2/2009, 14:54
|
|