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Un triste Natale
25/12 – ore: 22:02
Fa freddo stasera... Voglio raccontarvi la mia storia, quella che nell'ultimo mese mi ha portato dove sono ora: a scrivere su questo quaderno il resoconto di quelli che, molto probabilmente, sono i miei ultimi pensieri. Mi chiamo Matt e un mese fa lei mi mi ha spezzato il cuore: ho aperto gli occhi una mattina e ho letto il suo sms; le parole che mi hanno spaccato in due come un colpo d'ascia sono poche, l'intero sms è molto più lungo, reso tale da frasi che cercano di rendere meno taglienti, meno letali, quelle sei parole maledette: “io non sono innamorata di te!”
Dio...ha iniziato persino a piovere adesso: è difficile scrivere sotto la pioggia, soprattutto quando hai ancora un bel po' di cose da dire, non so se avete mai provato, comunque vi raccontavo...
Quella mattina mi sono alzato come uno zombie dopo aver letto quel suo dannato sms; mi sono lavato e vestito svogliatamente. Ho cercato di ripetermi che dovevo guardare in faccia la realtà, me lo sarò ripetuto un miliardo di volte in tutta la giornata: mi sono detto che sarei andato avanti, che l'amore non mi avrebbe mai e poi mai ucciso. Ho buttato giù più di qualche pillola di antidepressivo, più di quelle che prendo di solito. Naturalmente il mondo, dopo, non è cambiato di una virgola: quel giorno non sono andato a lavorare, due giorni dopo ho chiamato in ufficio per licenziarmi. Le cose sono peggiorate nelle giornate successive, la mia depressione è aumentata e ho iniziato anche a bere. I pilastri del mio mondo hanno perso la loro solidità, un bicchiere dopo l'altro; della mia vita “normale” vissuta sino a pochi giorni prima non è rimasto più nulla. Ho passato due intere settimane chiuso a casa come un vegetale mangiando quel tanto che basta per sopravvivere e ingurgitando psicofarmaci e alcol a sufficienza per non rimanere cosciente troppo a lungo. “ Io non sono innamorata di te”, come un interferenza assordante, quelle dannate parole hanno continuato a rendere instabile il flusso dei miei pensieri, riemergendo, come un cadavere, dall'oceano di dolore e malinconia nel quale io stesso ho cercato di annientarmi sino ad oggi. Ricordo di aver pensato che fra meno di dieci giorni sarebbe arrivato il Natale, una festività che non ho mai sopportato: quella miriade di gente riversata per le strade, impegnata a comprare di tutto; quel falso buonismo che ogni anno si diffonde come un virus, come se l'aria dovesse cambiare e impregnarsi, per forza, di un profumo migliore, più buono, ma per la gente che, come me, sprofonda negli abissi dei propri problemi, paure e dolori personali, l'aria continua a sapere solo di merda. Il solo pensiero di quella felicità finta, che come pioggia sarebbe cessata dopo i giorni di festa, mi dà la nausea; quelle coppie sorridenti che avrebbero festeggiato la vigilia nel tepore dei loro appartamentini perfetti mi hanno dato solo un motivo in più per trascinarmi fino al bagno e vomitare ripetutamente nel cesso al mattino. So cosa starete pensando: che sono un debole, che solo un idiota si lascerebbe morire in questo modo per una donna, ma, allo stesso tempo, sono sicuro che la maggior parte di voi non ha la più vaga idea di come e quanto io ami lei. Eppure, passate quelle due settimane, qualcosa di cui ignoravo l'esistenza dentro di me mi ha spinto a tentare di reagire, a muovermi anche se solo per inerzia e una mattina di qualche giorno fa mi sono alzato e mi son preparato in maniera abbastanza decente, poi mi son costretto a uscire anche solo per fare quattro passi, quasi per assicurarmi che il mondo fuori non fosse scomparso e che quella lava di gente stesse facendo il proprio dovere acquistando pacchi e pacchettini, aspettando freneticamente il grande giorno in cui li avrebbero scambiati con amori, amici e familiari. Mi sono chiesto se sapessero ancora cosa stessero festeggiando, se ricordassero che si trattava di una natività, la nascita di colui che, di quelli come me, forse, si sarebbe accorto invece di passargli indifferentemente a canto: più di qualcuno mi ha urtato per strada in quei giorni, a volte addirittura travolgendomi, e nessuno di loro si è fermato a chiedermi scusa o a guardarmi in faccia. Ricordo di aver attraversato un paio di isolati quella volta, non mi sono accorto subito della neve, eppure tutta quell'aria fredda mi ha riempito i polmoni facendomi tremare e innescando nel mio cervello il meccanismo che porta a cercare un posto dove bere qualcosa di forte, per riscaldarsi il corpo e l'anima. Sono entrato in un bar, ho guardato la scritta rossa “Buon Natale” illuminarsi di luce intermittente sulla vetrina, poi mi son voltato disgustato e mi son proiettato in pochi passi davanti al bancone. Ho buttato giù quasi un intera bottiglia di whiskey, poi ho pagato e qualcuno mi ha afferrato per il cappotto quando mi sono alzato per uscire, evitandomi così di precipitare per terra; ricordo il peso su di me di ogni sguardo indignato. Sono uscito nel freddo della notte e la perdita di quel calore accumulato dentro di me è stata l'ultima cosa che ricordo di quella notte, non mi sono allontanato molto da casa, ma ignoro tutt'ora come ho fatto ad arrivarci. Mi sono svegliato il pomeriggio del giorno dopo, ancora vestito, nel mio letto, con un mal di testa che mi ha fatto pensare al suicidio. Suicidio... Ho pronunciato quella parola nella mia testa ingenuamente, non potevo immaginare che avrebbe fatto amicizia con le altre sei che già mi torturano, e che col loro aiuto mi avrebbe portato qui.
Perdonatemi, torno subito...
Scusate, una bimba mi si è avvicinata un attimo fa, mi ha chiesto cosa stessi scrivendo, amo l'innocenza e la curiosità dei bambini, forse perchè le sento più reali e spontanee. I bambini non si nascondono mai dietro frasi fatte o luoghi comuni per mascherare indifferenza e meschinità; tra l'altro la bambina di poco fa è stata l'unica a rivolgermi la parola con un briciolo di interesse in questi giorni: a rivolgermi una domanda. Non potevo non dedicarle un piccolo spazio tra le righe di questo mio quaderno. Alla sua domanda ho risposto che sto scrivendo un racconto, mi ha interrotto chiedendomi se è una favola, le ho detto che può anche esserlo: la favola triste dei miei ultimi giorni persi. Poco dopo una donna ha gridato il nome della bambina e correndo sotto la pioggia l'ha raggiunta, la ha afferrata per un braccio rimproverandola severamente, poi se l'è trascinata appresso senza neanche voltarsi a guardarmi, mi son chiesto se si fosse accorta che ero lì, le ho viste entrambe allontanarsi e sparire nella pioggia che sempre più fitta si è chiusa come un sipario dietro di loro.
Comunque ora torniamo a quello che stavo dicendo prima, dove ero rimasto? Ah! Già! Vi stavo raccontando di quando mi sono svegliato con la mente in frantumi e ho pensato: “...suicidio.” Bhe! A dire il vero di ciò che è accaduto da allora sino ad oggi non c'è molto altro da dire: sono tornato in quel Bar e l'idea di porre fine alla mia vita è cresciuta come un tumore inarrestabile nei giorni successivi. Non so perchè vi parlo di questi squallidi momenti, forse perchè vorrei che qualcuno passando su questo ponte, tra non molto, possa trovare questo quaderno e si possa rendere conto, leggendolo, che ho creduto di vivere come una persona normale per tutta la vita, accorgendomi solo ultimamente di essere completamente solo. Lo chiamano “il ponte dei suicidi”, è il simbolo di San Francisco, se mi sporgo oltre l'arancione dell'acciaio e guardo giù il fiato mi si spezza nella gola, non potete immaginare lo spettacolo, la vertigine; l'idea di quell'altezza insieme a quella di perdermi nell'oceano sottostante insieme a tutti coloro che mi hanno preceduto quasi mi dà sollievo, quasi mi allontana dall'essere solo. Ho sperato sino alla fine che lei chiamasse, che mi salvasse e invece nulla...Non è proprio il mio Natale questo e mi viene quasi da ridere, ma dura poco...Scusate, stò già piangendo, di solito non lo faccio mai, ma ora potete anche concedermelo non credete? Buon Natale, a te che forse raccoglierai questo quaderno, a tutti voi che abitate in questa grande città, in questo immenso Paese. Non sono una persona cattiva sappiatelo, forse solo stanca, delusa dalla gente, gente come voi che continua a ignorare che ogni Natale, come ogni altro giorno, ci sono persone, uguali a voi, solo più sole, che vi camminano accanto, come invisibili: gente che può essere salvata da un telefono che squilla, da un sorriso scambiato per strada, da qualche parola detta per dare sollievo; ma forse sto cadendo nella retorica ora, non voglio che succeda. Poco fa ho gettato il mio telefonino. L'ho guardato precipitare nell'abisso insieme a quelle tue sei parole amore mio: ora “io non sono innamorata di te” è solo una frase con una riga tirata sopra per cancellarla e presto io la seguirò. Grazie sconosciuto/a per aver letto sino a qui e ancora Buon Natale fratello (o sorella) e non giudicarmi troppo male chiunque tu sia. Addio.
Matt.
25/12 – ore:23:52
Un uomo attraversa il Golden Gate Bridge, sembra uscito da un fumetto; è vestito in modo bizzarro: una giacca nera sopra una camicia rossa e un paio di jeans, ai piedi porta delle polacchine ormai fuori moda. Ha freddo e si tiene su il bavaro, ha l'aria sperduta, come se non sapesse che cosa ci stesse facendo lì; all'improvviso si ferma notando per terra un quaderno violentato dal vento e dalla pioggia. Lo raccoglie e legge. Passano pochi minuti, una lacrima gli riga il viso e cade vicino alla scritta “Addio.” sul foglio del quaderno. Si sporge oltre la ringhiera, per guardare giù nell'abisso, poi lo coglie una vertigine e l'uomo si ritrae. Chiude il quaderno e se lo mette sotto la giacca, con una manica si asciuga il viso. “Buon Natale a te Matt”, dice e riprende a incamminarsi sparendo, lentamente, oltre la pioggia battente. Sotto i suoi passi, sotto il metallo e l'asfalto, oltre i settanta metri di vuoto che seguono fino alla superficie oscura dell'oceano, il corpo e l'anima di un uomo hanno trovato finalmente la pace.
Edited by rolandking - 28/2/2009, 17:17
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