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Un ringraziamento a tutti per i consigli, questa è la nuova versione con alcune modifiche, ho cercato di rendere meno affrettata la parte finale.
Attenzione: questo scritto ha contenuti destinati a un pubblico adulto. Leggendo di seguito dichiari sotto tua totale responsabilità di avere più di 18 anni. Se terminologia o situazioni esplicite possono offenderti o andare in contrasto con la tua morale, sei pregato di chiudere questo post.
Meno che perfetto
Era peggio di ogni altra cosa l'arrivo del Natale: perché allora non c'erano solo le scarpe che dovevano essere allineate accanto allo zerbino, il divieto di calpestare i tappeti e gli oggetti radunati per colore. A dicembre comparivano anche le palline di plastica opaca e guai se non erano due per ogni ramo, a distanza di un indice. Dorate, verdi, blu e vermiglie. “A Natale non deve mancare un po' di rosso” sentenziava ogni anno sua madre mentre infilava la stella di vetro sulla punta dell'albero, la fronte segnata dall'eterno corruccio. A Mattia toccava il presepe: gli tremavano le mani mentre metteva in ordine la piccola folla dai sorrisi fissi e gli occhi vuoti. Un anno aveva fatto cadere uno dei re Magi. Gli era volata via la testa: sua madre aveva urlato come se Mattia avesse decapitato il fratellino minore.
Le mani di Mattia tremavano spesso, ma non quando disegnava; allora diventava sicuro e sotto la matita nascevano paesaggi dalle proporzioni irreali. Mescolava i colori, affascinato dalle sfumature. Si perdeva in quei mondi solitari. Lì non poteva arrivare l'eco del rosario di raccomandazioni che ascoltava ogni giorno “Non stare troppo vicino a tuoi compagni a scuola, certo non gli hanno insegnato a lavarsi le mani come facciamo noi” “Conta i gradini mentre scendi, così non ti distrai e non cadi” “Non toccare i cani, portano malattie” Un sole blu scuro che si rifletteva su monti e vallate ricche di fiumi e alberi. Nessuna casa, nessuna scala.
La mattina era il momento di complicati cerimoniali che Mattia imparò prima di sapere le tabelline. La sera invece era dedicata all'esempio. Sua madre parlava e suo padre annuiva, studiando con estrema concentrazione il proprio piatto. “Hai visto quel terribile incidente? Tutti morti, persino il piccolo di pochi mesi...secondo me è meglio rinunciare ad andare in montagna, non ci si può più fidare a guidare su un'autostrada. Mica come quegli stupidi che vanno in giro in luoghi pieni di delinquenti e poi finiscono a pezzi, abbandonati da qualche parte!” Una volta vi fu l'articolo sul ragazzino a cui era venuto un attacco epilettico per i videogiochi; quella sera stessa il Sega Master System di Mattia finì nella spazzatura. Un mese dopo suo padre smise di mangiare a casa. Si presentava sempre dopo cena, mugugnava qualcosa con la consueta debolezza e andava a dormire nella stanza degli ospiti. Non sembrava neppure sentire le urla. A dicembre il prete che passava per la benedizione natalizia delle famiglie mise una mano sul capo di Mattia e sorrise, dicendogli che era fortunato ad avere genitori che rispettassero la santità del matrimonio in quei tempi di confusione e perdita di valori.
Era peggio di ogni altra cosa l'arrivo del Natale, ma quell'anno a Mattia non importava nulla. Per il suo tredicesimo compleanno aveva ricevuto il dono di un segreto che occupava tutti i suoi pensieri.
La mattina era stata uguale a tutte le altre e a scuola nessuno aveva parlato di auguri. A malapena lo salutavano. Era per tutti l'idiota, quello che contava i gradini, non capiva le battute e si disperava per i brutti voti. L'ultima volta era scoppiato in lacrime, tra lo sghignazzare generale e l'imbarazzo dell'insegnante. Solo Sabrina non aveva riso. Era arrivata un mese prima e in pochi giorni si era fatta benvolere per la sua risata allegra, le battute pronte e le amicizie con un gruppo di ragazzi più grandi. Alla seconda settimana il professore di matematica aveva castigato la sua vivacità confinandola in banco con Mattia; “Con lui sono sicuro che starai zitta”, aveva dichiarato compiaciuto della soluzione. Sabrina non aveva smesso di parlare. Raccontava a Mattia tutti gli affari suoi, dalle avventure del gattino che aveva adottato alle lettere che suo padre le scriveva dal carcere. Le prometteva che sarebbe tornato in tempo per festeggiare il Natale con lei. Sabrina lo ripeteva almeno una volta al giorno. Mattia annuiva e non riusciva a staccare gli occhi dal viso della ragazzina. Non era tanto bella Sabrina, dicevano. Non brutta, ma carina neppure. Mattia si indignava nel sentire quelle parole, perché le altre ai suoi occhi non valevano nulla in confronto a lei. Bastarono pochi giorni per trasformare l'interesse in adorazione. Non disegnava più paesaggi lontani, ma il volto di lei. Cercava di coglierne i particolari, la linea del naso, la curva dei ricci che le scendevano sulla fronte, gli occhi scuri e un poco allungati. Una volta passò un'ora a mescolare tempere con ostinazione per ottenere il rosso cupo dei suoi capelli. “Sei bravo!” commentava Sabrina compiaciuta. Si era fatta regalare diversi di quei disegni e li aveva appiccicati su una Smemoranda sempre sul punto di esplodere, piena di dediche, poster spiegazzati e pacchetti di sigarette vuoti.
Il giorno del tredicesimo compleanno di Mattia, Sabrina si voltò verso di lui alla seconda ora e lo invitò ad andare al bar con lei quel pomeriggio. Mattia rimase a fissarla inebetito, incapace di emettere un suono. Sabrina sorrise “Dobbiamo festeggiare il tuo compleanno, non ti pare?” Fu eterna quella mattina, divisa tra una gioia incredula e il terrore che lei cambiasse idea. La campanella finale gracchiò e li lasciò liberi di rinchiudersi in un angolino nascosto del bar di Tino, quello con la sala giochi e i pacchetti di noccioline muffe. Mattia non aveva neppure toccato la sua Coca Cola e il caffè di Sabrina era diventato una brodaglia gelida mentre lei continuava a parlare e ridere. “E allora io e Marco...beh ci siamo capiti. Adesso è tutto finito. E baciava male tra l'altro, il peggiore di tutti i ragazzi tra quelli che ho avuto”. Mattia deglutì. Gli piacevano tutti i racconti di Sabrina, tranne questi. Tacque e spostò lo sguardo sul bicchiere scuro. Si morse le labbra, reprimendo una gelosia bruciante. “Ti imbarazzi? Guarda che sei tutto rosso”. Mattia maledì la sua pelle chiara. “Tu quante ragazze hai baciato?” Incalzò lei, senza pietà anche se il tono non sembrava cattivo. Mattia serrò le mani sul bicchiere di Coca Cola e non rispose. Gli occhi e la gola gli bruciavano. “Dai!” insisté Sabrina. Dopo qualche istante di silenzio aggiunse, esitando “Non hai mai baciato?” domandò, trovando conferma nel suo silenzio. Mattia alzò gli occhi per affrontare la sua vergogna e Sabrina rise di nuovo, prima di prendergli il viso tra le mani e allungarsi in avanti per posare le labbra sulle sue. Lui rimase immobile, sconvolto, schiuse le labbra assecondando con timidezza i movimenti di lei. Si sentì strano prima, la sensazione di un vago sapore alla menta e mille pensieri che arrivarono tutti insieme. Poi si rilassò e allora fu piacevole. Infine la sentì staccarsi da lui e rimase imbambolato a fissarla “Beh abbiamo rimediato ora no?" Disse Sabrina ridendo. Mattia trovò il coraggio di annuire e lei riprese a parlare di cantanti, gatti e del regalo che aveva comprato per il padre, lasciandogli il tempo di assaporare una felicità incredula.
La seconda domenica di dicembre era giunta e con essa il rito dell'albero. Le statuine attendevano di essere sistemate nel presepe. Sempre nello stesso punto. Mattia osservò sconsolato quell'orda di pastorelli e riprese a tagliare il cartoncino lungo il bordo delle decorazioni da appendere al vetro. Sua madre era al telefono: gli arrivava l'eco del tono controllato riservato agli estranei. Continuò a seguire con scrupolo il bordo di una casetta innevata con la forbice, mordicchiandosi il labbro inferiore. Quindi sentì i passi nervosi in avvicinamento; non alzò lo sguardo sino a quando non udì la voce aspra. “Dove sei stato venerdì pomeriggio? Sei arrivato a casa che era già buio”. Mattia non alzò lo sguardo dal cartoncino “Dovevo fare una ricerca... sono rimasto in biblioteca”, balbettò. “Me lo ha detto la madre di Filippo dove sei stato”. La voce si alzò un poco, lasciando presagire il crescendo che Mattia conosceva. Avrebbe voluto correre via, ma non mosse neppure un passo; succedeva sempre così in quei momenti, rimaneva immobile, preda di un fuoco crudele che gli bruciava occhi e gola. “Sei stato con quella puttanella di Sabrina, in giro con lei a combinare chissà cosa” Mattia alzò di scatto la testa e fissò sua madre in viso. “Non parlare così di Sabrina!” Una rabbia improvvisa gli aveva dato forza a sufficienza per replicare, ma il tono di voce rendevano le sue parole una supplica più che un avvertimento. La donna urlò. Era una voce che pugnalava le orecchie. “Piccolo mostro bugiardo! Tu non sai che hai fatto! Le persone ti hanno visto. Ora per loro sei un amico di quella piccola bastarda. Con una famiglia di sbandati alle spalle. Si droga? Ti ha dato delle pastiglie?” Sua madre non prendeva neppure fiato continuando a vomitare insulti e parole; poi vi fu il rumore di qualcosa che si rompeva e le grida si arrestarono per un qualche istante. Gesticolando aveva fatto cadere la confezione con la grande stella di Natale di vetro. Si chinò a raccoglierla con espressione inorridita. Mattia si alzò dalla sedia e chiuse le mani a pugno nel vano tentativo di non farle tremare. Sentì il freddo dell'impugnatura delle forbici e il cartoncino che si accartocciava. Sua madre posò i resti della stella di Natale sul tavolo e gli si avvicinò, alzando la mano destra “Vedi che mi hai fatto fare? Mostro! Colpa tua. Non la rivedi più la piccola bastarda, te lo giuro!” Mattia deglutì: così sarebbe stato; non una sola minaccia di sua madre rimaneva senza conseguenze. Tornò a fissare il suolo; sentiva che non avrebbe trovato la forza di ribellarsi a quel divieto. “Chiamerò i suoi genitori. Chiamerò la polizia! Dirò che ti ha offerto della droga, che la mettano in cella come i suoi parenti infami!” Sabrina avrebbe sofferto a causa sua; proprio lei, che lo aveva reso felice. Non sarebbe stata accanto a suo padre per festeggiare il Natale, ma sola e lontana. Mattia ricordò quanto la ragazza aveva esitato prima di scegliere per essere sicura di trovare il regalo giusto per lui. “No, no, per favore. Non c'entra nulla. Lasciala stare. Per favore” Mattia iniziò a ripete le parole come una litania disperata. Non si fermò quando la mano gli calò sul capo con forza un paio di volte. “No, lo farò eccome. Finirà al riformatorio, la schifosa” La voce era bassa ora, nello occhi spalancati era comparsa una feroce soddisfazione. La vista di Mattia si offuscò e in quella nebbia ricordò Sabrina mentre gli confidava il suo terrore per le prigioni. Era l'unica volta in cui il ragazzo l'aveva vista sull'orlo delle lacrime, mentre giurava che si sarebbe ammazzata piuttosto che finire là. Non poteva permetterlo. Deglutì; le mani avevano smesso di tremare. La mano stava calando di nuovo sul suo capo quando alzò di scatto le forbici; il colpo perse ogni forza, gli scivolò sui capelli come una carezza. Mattia affondò. Una, due, tre volte. Non lo fermarono le grida. Era abituato a sentire urlare. “A Natale non deve mancare un po' di rosso” mormorò fissando il cadavere sotto l'albero.
Edited by beatrix_w - 20/12/2008, 11:59
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