La Dea della Stazione
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La Dea della Stazione

Postmoderno, 30000 carat. circa

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  1. x_LUIS_x
     
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    Sto sulle tracce della Dea della Stazione, cherchez la femme, voglio trovarla, voglio scoprire il suo mistero.
    Ma in questa città, parlare espressamente di lei con chicchessia è difficile, c’è una strana sensazione nell’aria, una contraddizione palese, una via di mezzo tra un’omertà pudica e la voglia di gridare il suo nome ai quattro venti.
    Me ne sono accorto appena giunto nei pressi della Stazione Termini, l’ho notato negli atteggiamenti ambigui e negli sguardi sospettosi dei clochard, nei sorrisi e nelle risposte a mezza bocca delle persone comuni che ho tentato di avvicinare.
    Fatto sta che la sera della Vigilia di Natale (ed è passata poco più di una settimana da allora!) è nato un nuovo mito contemporaneo.
    Questo è il mistero che, più di tutti, m’intriga.
    Partita da Piazza dei Cinquecento la vicenda della Dea della Stazione s’è diffusa come uno tsunami in tutto il mondo occidentale, trascinata, più che dal tam tam della Rete e dai mezzi d’informazione di massa, dal passa parola della gente comune.
    I muri delle vie che portano alla Stazione e quelli della Stazione stessa sono imbrattati da scritte inneggianti al lei, corredate da commenti sorprendentemente apolitici, disegni stilizzati in cui la ragazza è raffigurata come il David di Michelangelo, intenta a fissare il suo obiettivo, una sorta di nuova e laica Giovanna d’Arco, con i lunghi e sporchi capelli biondi raccolti a coda di cavallo e gli occhi azzurro cielo, grandi come quelli di un’eroina di un manga giapponese.
    Provo ad avvicinare un tale, un clochard atipico, uno dei molti del Perimetro che alcuni del suo stesso rango, dietro il pagamento di una piccola somma, mi hanno indicato come il possibile depositario di molti segreti su quest’oscura vicenda.
    È sui quaranta, presenta un principio di calvizie, anche se ha i capelli ancora neri. È di bell’aspetto ma molto sciupato. I suoi occhi sono quelli che mi colpiscono di più. Mio padre, da buon artista del Quartiere Latino, li avrebbe definiti “occhi da sognatore”.
    Lui non rifiuta a priori l’approccio, ha i modi affabili e una cultura superiore, probabilmente è uno dei molti frutti della Depressione.
    Ma vuole subito dei chiarimenti. Mi studia.
    Si pone in posizione difensiva quando gli chiedo di parlarmi della Dea della Stazione. Appena apprende che sono un giornalista francese (Vive le France!) si tranquillizza subito.
    << Con gli italiani non parlo, ci sono troppi infiltrati dei servizi segreti e poi siamo troppo stramaledettamente provinciali >>, afferma.
    Solo dopo un paio di sigarette Gaulois si presenta come “Mario” e mi dice che, forse, più tardi, verso mezzanotte, ma deve confermarmelo, può farmi incontrare con un tale che pare, lui davvero stavolta, abbia assistito all’evento in prima persona.
    Un tale che conosce molto bene la Dea della Stazione, puntualizza sorridendo. Sa come sedurmi, certamente.
    << Come si chiama questo signore? >> gli chiedo.
    << Tutti lo chiamano Nemo. Sì, proprio come quello delle “Ventimila leghe sotto i mari” del vostro Jules Verne >>
    Non è facile trovare Nemo, tutti lo conoscono, anche se nessuno sa chi sia, ribadisce con un gioco di parole più o meno involontario. Uno dei misteri secondari della Stazione Termini. Insomma per trovare la Dea, devo trovare Nemo. Un enigma racchiuso dentro un altro enigma. Non mi rassegno.
    Mario m’indica una panchina arrugginita e mi da l’appuntamento là a mezzanotte meno un quarto. Mi dice che se non mi presenterò da solo, posso anche scordarmi dell’intervista a Nemo.
    Accetto, lo saluto e lo vedo andar via a passo veloce, incerto se fidarmi oppure no.
    Non abbiamo pattuito compensi e questo, si sa, è sempre preoccupante prima di un approccio.
    Confido sulla mia buona stella e sul fatto che, in fondo, ho poco da perdere.
    Mi guardo attorno un po’ spaesato. Roma è strana di questi tempi oscuri e nevosi, difende i suoi misteri moderni molto meglio dei suoi misteri millenari. Decido di farmi un giro. In fondo, a mezzanotte manca un’ora e mezza.

    Ai bordi delle strade ghiacciate della Stazione, attorno e sopra le auto in sosta, si sono formati giganteschi cumuli di neve sporchi di fuliggine.
    Il Comune, sprovvisto di spazzaneve, ha fatto spargere enormi quantità di sale nel tentativo di evitare la congestione del traffico.
    L’aria è frizzante, sa di brezza marina artificiale, il sale ti entra nelle viscere, ti stura i polmoni.
    Alle ventitré in punto, ora del parsimonioso orologio dell’Albero di Natale, ricoperto di slogan contro la Depressione, sono già davanti alla panchina del pattuito "rendez vous" e decido di aspettare lì.
    Noto che c’è ancora un certo andirivieni di persone a Piazza dei Cinquecento, formato specialmente da gruppi di turisti cinesi in gita organizzata, che fotografano il Perimetro entusiasti, quasi fosse una nuova attrazione turistica.
    Le auto della Polizia vanno e vengono, anche se si limitano a controllare la situazione in modo discreto. Posso ipotizzare che i poliziotti stiano cercando ancora la Dea, magari buttando l’occhio sull’unico misterioso identikit che gira in internet, fisso come un’immaginetta sacra sul parabrezza.
    Sul palco ancora da smontare, tristemente vuoto, oltre il maxischermo spento dalla Vigilia di Natale, sventolano ancora, come bandiere trasandate, i “dazebao” governativi di propaganda.
    Quasi mi storco una caviglia per aver messo il piede su una bottiglia invisibile.
    Per via dello sciopero dei netturbini tutta la piazza è colma di rifiuti di ogni tipo e la neve, copiosa, li ha resi invisibili e temibili come trappole Viet Cong.
    Mario è puntuale, incredibilmente. Anzi, è persino in anticipo, sono le ventitré e quaranta, ha una sportina bianca in mano. Mi saluta da lontano con un cenno.
    Gli offro tutto il pacchetto di Gaulois, ce ne fumiamo subito due, e per riconoscenza mi canta l’inno della Marsigliese.
    Mi dice che è stato a Parigi diverse volte, prima della Depressione ovviamente. Non è riuscito a salire su Notre Dame per via della fila, è il suo unico rimpianto. Avrebbe voluto vederne i gargoyle, tanto citati nei romanzi francesi dell’ottocento.
    Mi propone di seguirlo verso Via dei Mille, girando attorno al Perimetro, alla ricerca di Nemo. Una passeggiata informativa, dice lui.
    Lo seguo. Mi sento a mio agio perché sono vestito in modo trasandato, per cui riesco a mischiarmi facilmente nel suo popolo senza destare troppo nell’occhio.
    Poi mi fa sedere su una griglia di aerazione, si guarda attorno, sporgendo la testa in avanti per tentare d’identificare i vicini, che gli fanno posto, obbedienti.
    Se la canta e se la suona in questo contesto, è una sorta di Principe della Miseria. Deve essere un leader, o comunque se non lo è, gli altri gli nutrono un rispetto piuttosto sospetto.
    Seduti sulla griglia di aerazione, faccio un rapido conto: siamo in otto.
    L’aria calda, che sale dai tunnel della Metropolitana, ci culla dolcemente, spronandoci alla confidenza.
    I nostri compagni di posto sono facce a lui note, amici suoi, dice, di cui ci si può fidare, anche se non ne conosce i nomi.
    Li elenca brevemente con una smorfia: un magrebino, una zingara, un uomo e una donna taciturni dall’etnia imprecisata, un bosniaco, un ex consulente d’intermediazioni bancarie finito in rovina che si presenta e dice di chiamarsi Gabriele.
    Più in là, a destra e a sinistra, lungo il Perimetro, c’è il resto del popolo delle griglie, le cariatidi umane, quelli sì i veri gargoyle viventi, i testimoni di un futuro inesistente, uno stralcio d’umanità alla deriva in pieno Occidente.
    Quanti sono? Gli chiedo.
    Forse mille, forse duemila, fa lui.
    Qualcuno suona una chitarra, qualcun altro ride, qualcuno mastica khat etiope, qualcuno litiga per un posto.
    Quando capisce che mi sono accorto dei litigi, Mario mi spiega che hanno stabilito un sistema di turni perché le griglie non bastano per tutti ma che c’è sempre qualcuno che prova a fare il furbo.
    Ogni notte, in inverno, di questi ultimi anni, specialmente di quest’inverno straordinariamente freddo e nevoso, c’è la stessa attività.
    Sono tutti lì. E’ il Perimetro.
    Poi, in un momento di silenzio, incredibilmente aggiunge.
    << Sono io Nemo, puoi fare a me l’intervista >>.
    Rimango sorpreso, in fondo è un piccolo "coupe de theatre".
    Si scusa ma dice che doveva valutarmi prima, che non poteva correre il rischio di mettere a repentaglio l’incolumità della Dea della Stazione, poiché quella viene prima di tutto.
    Ha dovuto parlare con gli altri. Ha dovuto fare in modo che l’intervista fosse una decisione comune, di tutto il Perimetro.
    Gli dico che capisco e lo ringrazio. Gli chiedo di parlarmi di lei e degli avvenimenti svoltisi alla Vigilia di Natale. Non voglio perdere altro tempo. Non sono ancora sicuro se sono sulla pista giusta.
    Gli altri occupanti della griglia improvvisamente si animano e lo incitano, entusiasti nel sentirsi raccontare la storia l’ennesima volta, anche se, penso, molti di loro vi devono pur aver assistito o partecipato in prima persona, in un modo o nell’altro.
    Schernendosi, Nemo, ora lo chiamo così, con il suo “vero”, oscuro nome, gira allora tra le mani il piccolo panettone regalatogli da una certa Suor Gertrude, stringendo contemporaneamente tra le cosce la bottiglia di spumante, altro suo dono, non consumata dalla sera del ventiquattro.
    Ecco cosa teneva nella sportina bianca.
    Vedo che fissa il panettone quasi fosse un’esotica palla di vetro.
    Posso notare che gli ingredienti, sulla confezione, sono tutti scritti in cinese.
    Nemo poi sparge le sigarette che gli ho regalato ai suoi compagni di griglia, tira fuori, chissà da dove, un accendino.
    Capisco che sta per iniziare il racconto.
    Solo dopo avergli chiesto il permesso, accendo il registratore del mio mini PC portatile.
    Nemo apprezza la mia correttezza. E’ una cosa rara oggi giorno, dice. Forse è perché sono francese, aggiunge.
    << Ti racconto la storia, ma sappi questo >> dice << Io sono il cantore della Dea della Stazione, colui che è il solo ad avere il diritto di esaltarne le gesta. Solo da me sentirai la verità rivelata >>. Poi dopo aversi tirato su il bavero del cappotto che ha avuto dalla Caritas, aggiunge << Io ne sono orgoglioso >>.
    Fisso quel suo profilo irregolare da uomo vissuto. Sembra davvero una sorta di Omero, un poeta cantore di un mito postmoderno. Con mio stupore, considero per la prima volta la possibilità che colui che ho davanti abbia realmente conosciuto la Dea della Stazione e assistito davvero a quegli eventi già divenuti leggenda.
    Chissà perché provo uno strano deja-vù. Per un momento è come se vedessi la situazione da una prospettiva diversa anche se ancora poco chiara. Ho la sensazione di aver percepito qualcosa ma che, a volerlo focalizzare, come un sogno fatto la notte prima, non viene a galla facilmente nella memoria.
    Torno alla realtà, mentre Nemo è sollecitato ancora dal vicino, Gabriele, cui i denti perfetti sono l’unico ricordo dell’altra vita, quella lasciata definitivamente alle spalle, quando la Depressione, iniziata cinque anni prima, nel 2008, lo deve aver sbattuto insieme a molti altri, compreso la Dea, in mezzo alla strada.
    Come a cercare ispirazione, Nemo sembra pensare intensamente a lei, alla sua storia, al suo lontano passato di maestra d’asilo caduta in disgrazia, costretta a fare la puttana lungo le vie notturne e alberate attorno alla Stazione per sopravvivere.
    Così dice la fresca leggenda. Così recita il nuovo mito.
    E lui ne è diretto testimone, a quanto pare.
    Nemo sospira, accende la mia sigaretta e finalmente inizia a raccontare.
    << Alle ore venti e trenta circa del ventiquattro di Dicembre, insieme alla Dea e a molti altri, eravamo in attesa della Tombola di Natale e il Cenone, eventi entrambi sponsorizzati da un noto Network nazionale. Gli avevano dato un titolo non propriamente originale: la “Speranza di Natale”. In giro, nell’euforia elettrizzante, c’era l’esercito intero dei senza tetto, non solo il Perimetro, anche quelli venuti da tutti gli altri angoli della città. Il regolamento del gioco prevedeva premi in buoni pasto per gli ambi e i terni. I più fortunati, i vincenti delle quaterne e delle cinquine, sarebbero stati invitati al pranzo del venticinque presso alcune famiglie agiate, dove oltretutto, avrebbero goduto di un vero letto dove dormire per le due notti successive. Uno solo di noi, il vincente assoluto della Tombola, il fortunatissimo, avrebbe ottenuto una sorpresa ancora non rivelata. A tutti era stato comunque promesso il cenone natalizio che i volontari delle associazioni di solidarietà stavano già preparando. Tutta la Piazza era stata riempita da un numero infinito di tavoli e sedie. Era prevista, inoltre, la visita di un noto politico nazionale di primo piano, il vice presidente del consiglio, ed era stato montato un palco con un maxischermo per un discorso in diretta TV, con collegamenti da altre città d’Italia, dove quell’evento si replicava allo stesso modo, ma con altri protagonisti. Dozzine di furgoni delle televisioni con cameraman e una nota giornalista presentatrice al seguito, impellicciata per il freddo dalla vita in su ma con le gambe nude, si stavano preparando per la messa in onda, mentre le suore della Caritas, tra cui la dolce Suor Gertrude, facevano il possibile, coadiuvate con modi meno gentili dalla Polizia in tenuta anti sommossa, per tenere a bada la massa impaziente che spingeva da dietro, distribuendo tazze di brodo caldo liofilizzato. Era un’occasione più unica che rara, e a parteciparvi nessuno di noi vi avrebbe mai rinunciato. Mi girai attorno per saggiare l’aria della serata, per vedere le facce presenti e spettegolare un po’. C’erano gli zingari al completo, venuti per sorvegliare la situazione e cercare di cogliere dagli eventi un’occasione a loro favore. C’erano i vari clan organizzati degli extracomunitari della stazione, più o meno con le stesse intenzioni. C’erano Andrea e la Guercia che si solleticavano a vicenda, il Panzone che cantava una litania infantile, Chicco e Laura che avevano occupato fin dal mattino le prime file per stare davanti alle telecamere dei Network. Io e la Dea della Stazione, invece, eravamo saliti in piedi su una vecchia panchina arrugginita, quella dove ci siamo fissati appuntamento, attenti a non scivolare a terra per via della neve che ancora cadeva copiosa. Avevamo le mani gelate perché a entrambi, alcuni giorni prima, avevano rubato i guanti. Passò, sotto di noi, Ada, una vecchina cui fecero largo un po’ tutti. Le volevano bene perché raccontava continuamente una storia nella quale si citava vittima di un’ingiustizia terribile: la figlia l’aveva cacciata da casa per occuparne l’appartamento con il convivente. Alcuni ragazzi, senza dimora fissa, giocavano a pallone per riscaldarsi tra la neve. Poi altri, non ricordo il nome. Non mancava proprio nessuno all’appello. E’ questo il bello delle feste >> sottolineò.
    Aspirò una lunga boccata di fumo dalla sigaretta, poi continuò.
    << Infine c’erano anche gli altri ancora, i normali, cui questa festa non era dedicata, posizionati oltre la cintura bianca e rossa della Polizia Municipale. Nei loro atteggiamenti vedevamo di riflesso non più già il disprezzo, ormai metabolizzato da tempo, ma il terrore, quello di finire dall’altra parte, insieme a noi. Alle venti e quarantacinque in punto, comunque, una schiera di auto blu irruppe a Piazza dei Cinquecento ad alta velocità rischiando di investire quelli che si erano posizionati alle prime file poco oltre la zona delimitata per il pubblico. Sul palco, tra lo stridio dei microfoni, la nota commentatrice, appena dopo la fine della pubblicità, iniziò subito, eccitata, la presentazione. Salutò il pubblico a casa e noi, i senza tetto, nessuno escluso, con voce rotta dalla commozione annunciò l’arrivo imminente del politico. Il pranzo e la Tombola erano offerti, disse, da alcuni importanti sponsor. Elencò lentamente i nomi, tra gli applausi generali. Il Panzone era letteralmente su di giri e salutava le telecamere frenetico, essendosi conquistato un posto in prima fila. Chicco e Laura sembravano in catalessi. Appena un istante prima dell’esordio del politico, che era impegnato intanto da una parte a parlare al cellulare, venne sul palco un vescovo, sceso da una delle macchine al seguito, che approvò la Festa, benedicendo tutti commosso, ripromettendosi successivamente un commento più lungo. Gli occhi della commentatrice luccicavano ai lampi dei flash, molti urlavano “bravi” d’incitamento, uno di noi, Giacomo lo Sdentato, scelto a campione, fu trascinato controvoglia sul palco per balbettare alcune frasi di ringraziamento in attesa del politico, che ancora si faceva attendere. Era visibilmente a disagio, anche se gli avevano fornito in tutta fretta una giacca pulita per apparire più telepresentabile. Il vescovo lo baciò con enfasi, apparentemente senza schifarsi. Lui si commosse e pianse. Quando si calmò, la commentatrice gli chiese il suo nome. Volle sapere perché era finito nella strada. Lui girò la mano in aria come per dire “è una lunga storia”. Tutti noi applaudimmo, catarticamente. Allora la commentatrice gli chiese cosa ne pensasse dell’evento. Lui rispose che era felice, che non gli era capitata mai una cosa del genere. Stava per dire altro ma lei gli strappò il microfono di bocca, scusandosi. Stava facendo la sua entrata sul Palco, finalmente, il sorridente e annunciato rappresentante del governo, il vice presidente del consiglio, con le sue guardie del corpo al seguito, dotate di occhiali antiriflesso e auricolare. Un urlo nella folla di benvenuto ne accompagnò il breve tragitto al palco. La commentatrice incitò all’applauso, presentandolo solennemente. Lui ringraziò. Ci furono momenti di complimenti reciproci per l’iniziativa, saluti in diretta nazionale dalle altre piazze collegate in altre città d’Italia, col Maxischermo: Milano, Torino, Bologna, Palermo. Anche là altri, nelle nostre stesse condizioni e con lo stesso nostro animo, attendevano impazienti l’inizio della Tombola e l’assalto ai tavoli per il cenone. Calò un momento di silenzio, interrotto da brevi fischi, qualche applauso, il rumore dei clacson delle auto, che arrancavano attorno nelle strade innevate, cosparse di sale.
    ”Benvenuti” disse il politico” in questi momenti di enorme difficoltà, il governo è lieto di partecipare a quest’evento di straordinaria mobilitazione sociale, la Speranza di Natale, per assicurare a chi, meno fortunato di noi, ha subito sulla sua pelle, le estreme conseguenze della crisi di questi lunghi anni di depressione”
    Ci fu qualche fischio, ancora applausi, scoppiò una breve zuffa tra due clan di extracomunitari e uno di zingari della tribù Kokarané, subito sedata con l’aiuto vigile e rapido della Polizia. Qualcuno fu portato via a forza.
    Continuava a nevicare, un ombrello spuntò sopra la testa del vice presidente.
    “Il momento di difficoltà non deve mai farci scordare chi è senza casa, senza un lavoro, senza sapere dove andare. Il Governo è impegnato in prima persona per fronteggiare la crisi con numerose iniziative tra cui questa, organizzata simbolicamente proprio alla vigilia di Natale qui davanti alla Stazione Termini. E’ un lodevole esempio per tutti noi”
    Ci fu ancora uno scrosciare di applausi. Il politico continuò, agevolato dal microfono dell’infreddolita presentatrice che assentiva, convinta e commossa.
    “Inoltre, tra tutti quelli che hanno preso il bigliettino della Tombola sarà messo in palio” - tacque un istante per aumentare il pathos - persino un posto di lavoro!”.
    Ci furono degli “oooh” di meraviglia e un autentico diluvio di applausi e di urla isteriche.
    Un posto di lavoro! Sembrava davvero un sogno!
    “Ciò non servirà ovviamente che a lenire le difficoltà di uno solo di voi, ma sarà d’esempio a tutti gli altri per dimostrare che la speranza non deve mai venir meno. Questo è lo spirito del Natale!”
    Il Panzone esultò, cadendo a terra, forse svenuto. Qualcuno lo aiutò a riprendersi, passandogli la neve in faccia. Ci furono altri parapiglia, tra le risate di un gruppo distaccato che sembrava stesse giocando a carte sulla strada, per i fatti suoi. La Guercia iniziò a cantare.
    Mentre il politico continuava lentamente il discorso con la folla sempre più ammaliata, passò Suor Gertrude dal perimetro della folla a distribuire brodo caldo. Ci riconobbe, svettanti sulla panchina, e ci salutò. Le feci un segno. Le sorrise, annuendo. Mi aveva promesso una confezione di assorbenti che avrei donato alla Dea.
    Passarono quindi altri minuti mentre il politico continuava il suo monologo, tra la folla sempre più impaziente e adorante.
    Alcuni in prima fila erano estatici, altri sorridevano come ebeti, quasi stessero assistendo allo spettacolo più bello della loro vita.
    Fu proprio allora, quando il politico stava per concludere il discorso con una frase a effetto, forse un po’ scontata, che vidi, con la coda dell’occhio, la Dea chinarsi.
    Lì per lì non riuscii a capire cosa stesse facendo.
    Mi voltai e la vidi risalire con una palla di neve in mano, in posizione slanciata, quasi un David di Michelangelo al femminile, il riflesso di mille luci della notte nei suoi splendidi occhi cerulei, il viso sereno, determinato, di chi cerca il bersaglio e sa di poterlo far suo.
    La osservai mentre, slanciandosi, s’inarcava in un modo quasi sensuale, ottimizzando la potenza contenuta nel suo gracile corpo denutrito.
    La distanza non era enorme ma la precisione da ottenere difficile. Fu il primo pensiero che mi balenò per la testa.
    Fissai gli occhi poi sulla traiettoria ad arco della palla di neve.
    Era scura, ma diventava di nuovo bianca ogni volta che incrociava un raggio di luce proveniente dagli addobbi natalizi.
    Aveva un compito da svolgere. Capii che non l’avrebbe mancato mai. Era la palla di neve perfetta, portava con sé un’energia vitale da tempo scomparsa.
    Colpì il politico in pieno volto, frammentandosi in diversi pezzi, sgocciolandosi lungo il suo cappotto di cammello con l’effige d’oro scintillante della Repubblica spillata al petto tra lo sguardo stupito della commentatrice e delle guardie del corpo.
    Un silenzio surreale si diffuse in tutta la folla. Persino i clacson delle macchine sembrarono tacere, quasi a rispettare quel momento che irrompeva nella Storia.
    Molti si girarono verso l’origine della traiettoria e c’è chi giura di aver visto la sua figura femminile magra, ma allo stesso tempo possente, ergersi così com’è raffigurata oggi nei graffiti.
    Posso garantire, io che l’ho vista da vicino, che era esattamente così.
    Lei, la puttana, l’ex maestra finita sulla strada, aveva lo sguardo fisso sul palco, in contemplazione del successo, vincente.
    Com’era bella. Quegli occhi sembravano contenere qualcosa che un po’ tutti avevamo scordato.
    Erano la metafora della verità che avevamo perso e che avevamo improvvisamente ritrovato.
    Quasi come un Titano, risvegliato da un lungo letargo, la folla lasciò allora da parte le proprie divisioni interne.
    Le zuffe sparirono, i magrebini si unirono agli zingari, gli ex uomini e donne provenienti dalla classe media si mischiarono con i nigeriani, i disoccupati e i rumeni si allearono tra di loro come un’unica, forte, inaspettata falange. Anche la gente comune, quella posizionata fuori dal Perimetro smise di avere ogni antagonismo con chi stava dentro.
    Mai un gruppo così eterogeneo di persone e culture fu più unito di quello nella storia dell’Umanità.
    Sembrava un’onda di un mare in inverno in tempesta.
    Tutti fecero lo stesso gesto, si chinarono contemporaneamente a terra e raccolsero una palla di neve.
    In fondo era quasi semplice, capisci? La verità era a portata di mano. Solo che nessuno l’aveva mai vista. La Dea aveva acceso loro quella piccola lampadina interiore.
    La folla emise poi un ruggito, il cui eco si diffuse per le stradine attorno alla stazione Termini e, tramite il Maxischermo, anche nelle altre città d’Italia in cui si svolgeva lo stesso evento. Nei riflessi degli occhi dei cameraman, della Polizia, dei politici, della presentatrice, delle guardie del corpo, scattate a proteggere il vice presidente del consiglio, comparve lo stupore.
    Come dal nulla, una marea di palle di neve cominciò a piovere sul palco.
    Dopo poco la stessa cosa cominciò a accadere in tutte le città collegate, i bersagli erano diventati coloro che occupavano i rispettivi palchi.
    Come in una scena comica, vedemmo la presentatrice incespicare sui tacchi a spillo, cadere addosso al vescovo e finire insieme a lui a gambe all’aria mostrandosi senza mutandine, mentre ai vigili urbani volavano via i “pizzardoni” bianchi, alle guardie del corpo volavano gli occhiali antiriflesso dal naso.
    La Polizia si difese con gli scudi in plexiglas e reagì immediatamente lanciando alcuni lacrimogeni.
    Io e la Dea scendemmo dalla panchina e ci mettemmo a correre, gettandoci a terra, strisciando accanto a un’auto insieme con un ubriaco.
    Dovunque era un volare di palle di neve e candelotti lacrimogeni.
    Rischiando di essere travolti, ridendo come forsennati, riuscimmo ad aggirare un autobus, scivolando via per i vicoli laterali.
    Prima di defilarci del tutto, vedemmo che infuriava una battaglia epica che stava sconvolgendo il cielo di Piazza di Cinquecento.
    Dal maxischermo si capiva che la stessa cosa stava accadendo da un’altra piazza collegata, forse a Milano.
    Corremmo per non so quanti metri attraverso una via laterale, tra l’indifferenza dei rari passanti che via via incrociavamo.
    Alla fine, fermandoci esausti, ci fissammo negli occhi >>.

    Nemo fermò il racconto, dandoci il tempo di metabolizzarlo, gettando il mozzicone di sigaretta attraverso la grata.
    Dopo un istante capii che non era veramente questo il motivo. Stava omettendo un particolare, era ovvio.
    Osai chiedergli.
    << L’hai baciata? >>
    Chissà perché Nemo sorrise, quasi si aspettava quella domanda personale.
    << Quel momento era unico, capii che non avrei avuto una seconda opportunità, che, se proprio volevo, avrei dovuto baciare la Dea allora. Ma non lo feci. Invece del bacio, tra noi, in quel lungo e intenso sguardo, restò una sorta di complicità, un abbassarsi di occhi pudici, un’emozione repressa, un’occasione mancata costruita >>.
    Si fermò quasi per demarcare il concetto. Poi riprese.
    << La Dea della Stazione mi salutò. Non osai chiederle dove andava e la fissai svanire in una via laterale, immobile, mentre lasciava le sue dolci orme sul marciapiede. Rimasi lì a fissarle fino a che non furono cancellate dalla neve. Tornai alla Stazione Termini solo dopo aver girovagato per due ore a vuoto, quando la situazione si era quasi stabilizzata ed era tornato l’ordine. L’aria era ancora pesante per via del gas lacrimogeno. Incontrai Suor Gertrude, con una mascherina al volto e gli occhi arrossati. Mi diede il piccolo panettone e lo spumante, li ho conservati fino a oggi: era l’unica cosa che si era salvata dalla rivolta. Il resto del cibo era stato assaltato dai vari clan e si era disperso in mille rivoli. La ringraziai comunque, benedicendola. Nel suo sguardo pudico osservai, stupito, una certa complicità per quanto era successo. Si ricordò degli assorbenti. Mi diede la confezione che avevo richiesto per la Dea. Inutile dire che anche questa l’ho ancora qui con me >>.
    Appena il racconto cessa tutti gli occupanti della griglia si levano in piedi e applaudono.
    Qualcuno, forse il bosniaco, urla “ Viva la Dea della Stazione!”
    Scoppio a ridere ma, istintivamente, mi viene di fare altrettanto.
    Come per magia, di riflesso, avviene una cosa sconcertante: tutto il Perimetro si leva in piedi un istante dopo, ripetendo l'ovazione.
    I cinesi impazziscono per la scena e scattano un numero enorme di foto. Anche della gente che passa lì per caso fa la stessa cosa, applaude e incita la Dea.
    Un’auto della Polizia, ancora di pattuglia, rallenta un attimo, indecisa se intervenire i meno. Poi, visto che la situazione rimane calma, prosegue il suo giro di perlustrazione.
    Ci risediamo. Il brusio d’eccitazione continua ancora a lungo tra le risate e dei colpi di tosse.
    Questo è dunque. Il nuovo mito del ventunesimo secolo è nato così.
    Fatico a credere che a Parigi, a Londra, a Berlino, a New York, ci sia gente che ripete gli stessi schemi, inneggiando a questa fantomatica figura femminile. Si stanno scomodando psicologi, sociologi, massmediologi. Forse c’è poco da capire. La Dea della Stazione è diventata un meme di portata planetaria. Scuoto la testa.
    << Perché la Dea è così amata da tutti? >> chiedo a Nemo, mentre, come fosse un prete, mastica un boccone del suo panettoncino, commosso, dividendolo con i suoi compagni.
    << Perché la Dea siamo noi >> mi fa indicando il Perimetro, alzando la bottiglia di spumante al cielo e passandola subito agli altri.
    Poi m’invita ad alzarmi.
    << Vieni, facciamo due passi >>.
    Saluto gli altri con un sorriso, ricambiato. Mi chiedo cosa Nemo abbia in serbo ancora per me, sono curioso.
    Mi conduce sotto braccio verso quella panchina, dove tutto ha avuto inizio.
    Oso fargli la domanda da un milione di euro. Anzi, gliene faccio ben due.
    << Chi è questa ragazza? Dov’è ora la Dea della Stazione? >>.
    Lui scuote la testa, fissando un’altra effigie di lei, disegnata con lo spray su un accesso per una scala mobile.
    << Lei è solo la Dea e si trova qui, nel mio cuore >>.
    Un flash viola mi squarcia il cervello. Ho un sospetto che sale dal subconscio dove si era rifugiato, viene a galla tutto insieme. Si ricollega ad alcune cose dette da lui prima, non lo so.
    Ma lascio che sia lui a parlare.
    << Hai mai sentito quel detto "le bugie sono verità interiori"? >>mi fa.
    << Come hai fatto a...>> voglio chiedergli mille cose ma è come rovesciare una bottiglia piena con il collo stretto. Lui m’interrompe subito.
    << Ascoltami. A chi avrebbe mai importato sapere chi fosse stato il primo a tirare una palla di neve se quella stessa palla di neve non fosse stata poi così importante? >>
    Rifletto sulla questione, non di poco conto.
    << Chi è stato allora? >>
    Lui scoppia a ridere.
    << Che importanza può avere? Dai! Riflettici. Una palla di neve! Può averla tirata chiunque! >>.
    << Ma... >> lui frena di nuovo la mia protesta stingendomi il braccio.
    << Stava sempre allo stesso posto, giù verso Castro Pretorio. Poi un giorno di tre anni fa è sparita senza che io abbia mai saputo che fine abbia fatto. Ho ripensato tante volte a quel corpo mai visto, che era e sarebbe stato di molti ma che non sarebbe mai stato il mio, a quegli occhi blu come il cielo d’estate, a quel viso d’angelo adornato dai capelli biondi, disordinati e spesso sporchi, ma tenuti lo stesso dignitosamente a coda di cavallo con una molletta in diamanti finti che avevo trovato a terra e che le avevo donato pudicamente, contraccambiato da un sorriso che non scorderò mai. Non so nemmeno il suo nome! Ogni volta che penso a lei, una dolce ferita, mai rimarginata, riprende regolarmente a sanguinare nel mio cuore.
    La amavo. Mai le ho confessato ciò che provavo. Mai l’ha saputo.
    In questa contraddizione mi sono crogiolato, questa dolce malinconia è stata il mio unico conforto. Sai che scrivevo delle poesie una volta? Una di queste l’ho intitolata a lei, l’ho chiamata la “Dea della Stazione”. Oggi sono solo Nemo. Ma so ancora raccontare storie, non trovi? >>
    << Ma perché mi hai rivelato tutto questo? >>
    << Perché tu sei quel tipo di persona che cerca la verità a tutti costi. Non sei come quegli altri bellimbusti che girano per la Stazione a caccia di fotografie della Dea. Quelli si possono abbindolare facilmente. Tu non ti saresti mai fermato, non è così? I tipi come te si riconoscono subito >>.
    << È così >>ammetto.
    << L’unico modo per disarmarti dalla voglia di scoprire la verità era fornirtela subito su un piatto d’argento. Ho pensato questo >>.
    Chissà perché intuisco che ha visto in me molto meglio di quanto non abbia fatto io in trentaquattro anni.
    << Scriverai di quale verità, dunque? >>mi chiede, senza ansia.
    << Sarebbe inutile comunque scrivere di una qualsiasi verità, Nemo. Nessuno può sfatare un mito come questo, ormai. Lo sai >>.
    << La pensiamo allo stesso modo >>mi fa.
    Conclude il discorso stringendomi forte la mano, lasciandomi a bocca aperta e con mille altre domande senza risposta. Lo vedo andar via, lentamente, tornando al suo Perimetro, fatto di gente persa e ora con una speranza.
    Fisso un piccolo disegno con lo spray, scritto su un marciapiede, che resiste alla neve che lo sta coprendo.
    “ Noi siamo la Dea della Stazione” c’è scritto.
    Così nascono i miti, penso. Così vanno preservati.

    Edited by x_LUIS_x - 13/12/2008, 20:44
     
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  2. federica68
     
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    SPOILER (click to view)
    Il racconto non è male, lo stile anche, ma ci sono tante imprecisioni (qualcuna te l'ho segnalata) che rendono poco scorrevole la lettura e un po' zoppicante il ritmo.


    CITAZIONE
    “occhi da sognatore”.
    (...)
    “Con gli italiani non parlo, ci sono troppi infiltrati dei servizi segreti e poi siamo troppo stramaledettamente provinciali”, afferma.
    (...)
    si presenta come “Mario”
    (...)
    - Come si chiama questo signore? - gli chiedo.

    attento all'uso delle virgolette e alla gestione dei dialoghi. Te ne ho riportato qui qualcuno, ma il problema si ripete in tutto il racconto.
    Alcuni dialoghi hanno le virgolette, che però sono le stesse che usi altrove, e altri dialoghi hanno il trattino.
    Dovresti uniformare i dialoghi e, se decidi di usare le virgolette per questi,usare qualcos'altro per il resto, che so il corsivo, magari.




    CITAZIONE
    Lungo le strade ghiacciate della Stazione, attorno e sopra le auto in sosta, si sono formati giganteschi cumuli di neve sporchi di fuliggine.
    Il Comune, sprovvisto di spazzaneve, ha fatto spargere enormi quantità di sale nel tentativo di evitare la congestione del traffico.

    questa frase mi ha lasciata un po' perplessa, mi è sembrata poco verosimile.
    se il Comune non ha gli spazzaneve, come ha fatto la neve ad ammucchiarsi sulle macchine, cosa che fanno invece regolarmente gli spazzaneve? (facendo incazzare tutti quelli che alle 6 di mattina devono mettersi a spalare per potre recuperare la macchina sepolta dagli spazzaneve per poter essere al lavoro alle 8, fra l'altro :D )
    il sale poi dovrebbe provocare un pantano sulle strade, direi, sciogliendo la neve che non riesce a depositarsi e che viene pesticciata dalle macchine.
    Almeno questo è quello che vedo succedere qui tutti gli anni, non so dove abiti tu, magari fa più freddo, se non abiti a Roma davvero, e succede qualcos'altro, boh?



    CITAZIONE
    gli altri gli nutrono un rispetto piuttosto sospetto.

    "gli nutrono" mi suona strano
    direi che si usa "nutrono per lui". Piuttosto "gli portano" anche se è più colloquiale...

    attento alla rima rispetto/sospetto, non suona benissimo


    CITAZIONE
    compreso la Dea, in mezzo alla strada.

    svista: compresa



    CITAZIONE
    C’era Andrea e la Guercia

    c'erano



    CITAZIONE
    Volle sapere perché era finito nella strada.

    sulla?

    CITAZIONE
    Allora la commentatrice, che ci accorgemmo portava una gonna fin troppo corta,

    l'avevi già detto, anche se con altre parole: se ne erano già accorti, direi.

    CITAZIONE
    vice presidente del consiglio,

    Consiglio, maiuscolo,

    CITAZIONE
    Le sorrise, annuendo.

    lei

    CITAZIONE
    tra la folla sempre più impaziente e adorante.

    i due aggetivi insieme mi stonano. Se è adorante, pende dalle sue labbra, quindi non è impaziente.
    se è impaziente, si stufa di quel tirare in lungo quindi non è adorante.
    Almeno secondo me...

    CITAZIONE
    Persino i clacson delle macchine sembrarono tacere,

    anche questo costrutto mi ha lasciata un po' perplessa... se "sembrano" tacere vuol dire che non stanno tacendo in realtà, e se tacciono, stanno tacendo e non "sembrando" tacere...

    CITAZIONE
    ai vigili urbani volavano via i “pizzardoni” bianchi, alle guardie del corpo volavano gli occhiali antiriflesso dal naso.

    ripetizione

    CITAZIONE
    urla “ Viva la Dea della Stazione!”

    niente spazio dopo le virgolette, ne ho visto almeno un altro più avanti.
    Mancano i due punti dopo "urla"

    CITAZIONE
    tutto il Perimetro si leva in piedi un istante dopo, ripetendo il gesto.

    che gesto? semmai la frase, credo

    CITAZIONE
    Questo è dunque.

    vedrei una virgola dopo "è"

    CITAZIONE
    - Hai mai sentito quel detto: le bugie sono verità interiori? - mi fa.

    "mi fa" è troppo colloquiale, secondo me. Troverei un'altra espressione. Lo usi anche altrove

    CITAZIONE
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    - E’ così - ammetto.

    È

    Occhio anche agli avverbi in "mente": ce ne sono un po' troppi, in alcuni punto anche molto ravvicinati, fanno la rima. Proverei a sfoltire e togliere quelli non indispensabili

    Il racconto sembra aver bisogno ancora di qualche revisione.

    Le imprecisioni mi hanno fatta incespicare un po' troppo nella lettura, per questo sarebbe un 2 1/2, che arrotondo a 3, perchè 2 mi sembra troppo penalizzante, visto che per il resto, nel suo complesso, il racconto l'ho trovato ben costruito e abbastanza ben gestito
     
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  3. shivan01
     
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    ciao
    Federica ha ragione a dirti che ci sono imprecisioni, ripetizioni e altre cosette. Sembra che tu non abbia riletto con abbastanza attenzione, MA...
    ... fatti dire un'altra cosa, un po' più generale. Tu hai uno Stile. Ce l'hai. Non è ancora maturo, ma si intravede. Lavora, scrivi e scrivi, tiralo fuori. Te lo dico per spronarti e incoraggiarti, e perché c'è anche un'altra cosa da rimarcare.
    E' una cosa importante, che mi spinge a darti un bel 4 pieno pieno. La tua è una signora Storia. Proprio bella. Una di quelle cose che si ricordano, almeno per un po'.
    Chi mi conosce lo sa che non do 4 facilmente, ma il tuo è meritatissimo.
    Complimenti davvero.

    Ps.: e occhio alle sviste!
     
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  4. Vinch
     
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    Questo è un racconto con delle grandissime potenzialità. Ha una storia originale e con una vena ironica e critica molto buona. In più s'intravede uno stile in potenza molto buono.
    Il problema è che ci sono molte imperfezioni sotto tanti punti di vista che bisognerebbe mettere a posto e che penalizzano un bel po' il tutto. Cerco di segnalarti tutto quello che mi ricordo.

    Innanzituto credo che la prima parte, prima della narrazione di nemo sia troppo lunga. Va bene creare delle aspettative (peraltro ben fatto) ma io accorcerei un po'...

    poi ci sono tante frasi che mozzano il respiro, troppo articolate, che andrebbero spezzate e accorciate (es:Schernendosi, Nemo, ora lo chiamo così, con il suo “vero”, oscuro nome, gira allora tra le mani il piccolo panettone regalatogli da una certa Suor Gertrude, stringendo contemporaneamente tra le cosce la bottiglia di spumante, altro suo dono, non consumata dalla sera del ventiquattro.)

    Quindi tante e troppe ridondanze che spiegano e descriveno un fatto (es: Allora la commentatrice, che ci accorgemmo portava una gonna fin troppo corta, gli chiese cosa ne pensasse dell’evento)

    Poi le cose forse troppo inverosimili (es: "Fatico a credere che a Parigi, a Londra, a Berlino, a New York, ci sia gente che ripete gli stessi schemi, inneggia a questa fantomatica figura femminile. Si stanno scomodando psicologi, sociologi, massmediologi. Forse c’è poco da capire. La Dea della Stazione è diventata un meme di portata planetaria." - anch'io non lo credo, in una settimana???
    "La stessa cosa stava avvenendo in contemporanea dovunque, in tutte le città collegate, i bersagli erano diventati coloro che occupavano i rispettivi palchi." - mmm... come fanno a farlo in contemporanea? meglio qualche minuto dopo...)

    Troppi refusi (es: "sarebbero stati inviatati" , "quasi un Davide di Michelangelo al femminile" e altri che mi sono perso...)

    Eccessi e forzature (es: cadere addosso al vescovo e finire insieme a lui a gambe all’aria mostrandosi senza mutandine)

    Errori di forma (- L’hai baciata? - / i trattini si mettono solo all'inizio se poi si va a capo. Oltretutto all'inizio hai usato le virgolette "...", poi usi itrattini per i dialoghi.)
    Non si scrive E', ma È (si ottiene con la combinazione alt+(0200) del tastierino numerico.

    Mi sono dilungato un po' perché credo che se curassi la forma e affinassi il tuo (buon) stile potresti ottenere dei risultati ottimi.

    Per ora il mio voto è 2

    Ciau
     
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  5. x_LUIS_x
     
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    Ringrazio, innazi tutto, chi mi ha letto finora, nonchè le parole d'elogio, quelle d'incoraggiamento di Nicola, e le critiche espresse!
    Anche io apporterò alcune modifiche tentando di eliminare i molti refusi e se ce la faccio, qualche ridondanza (ma sono nel mio modo d'essere, posso farci poco! Lo so, mi odierete, ma leggere quello che scrivo troppe molte non ce la faccio, è un mio grosso difetto! :angry: ).
    Mi pare, comunque, d'aver letto che c'è tempo fino al 12, no?
    Lo farò stasera, forse domani, perchè adesso sto così :down:!
    Ho trovato alcune osservazioni sulla trama molto argute e vi ringrazio anche per queste.
    a) Vinch: tre touchè!
    E' vero, ti confesso m'ero posto anche io il problema della settimana (un po' pochina, infatti all'inzio l'avevo allungata a 20 giorni). Tuttavia volevo che vi fossero ancora gli addobbi della festa natalizia in Piazza nonchè la neve (è assai raro già che a Roma nevichi => che nevichi per un gran lungo periodo è mooolto improbabile). Poi non volevo far passare troppo tempo dall'evento altrimenti, anche l'argomento, poteva non essere più interessante per un'inchiesta giornalistica.
    Avermi fatto notare, contestualmente, l'incrongruenza della diffusione troppo rapida della leggenda è legittimo. Posso solo replicare, ahimè, col fatto che, un evento, anche se improbabile, non è impossibile. Anzi, per certi versi è proprio l'eccezionalità ad autoalimentare il ricordo di un avvenimento eccezionale. Difesa un po' banale ma tant'è. Ho avuto una discussione con un collega su la Guerra dei Mondi di Spielberg tempo fa. Gli feci notare che solo a Tom Cruise aveva funzionato la macchina quando c'era stato l'attacco degli alieni! Com'era possibile? Solo a lui! Il collega mi rispose dicendomi che se il film avesse descritto la storia di chi aveva la macchina guasta (e poi veniva ucciso), il film sarebbe finito subito! Beh, è una metafora, non so se ci azzecca, ma è divertente.
    E' giusta anche l'osservazione sulla "contemporaneità" degli avvenimenti su maxischermo. Provo a difendermi ipotizzando che l'avvenimento non avviene in quell'istante ma è ricordato, per cui, la memoria appiattisce il tempo. Quel "contemporaneamente", dunque, è molto più "lungo". Non so se mi sono spiegato. Ovvio che mi hai preso in castagna: avevo necessità di abbreviare un po' il monologo di Nemo che, lo so, è troppo lungo (sembra una radio libera!). Se mi mettevo a descrivere quello che stava succedendo nelle altre città facevo notte.
    b) Federica: touchè anche a te! Non ho molto capito solo l'incongruenza della neve sulle auto (in mancanza di spazzaneve). Chi la toglie la neve dalle auto in sosta se si accumula sul tetto e ai lati? Se accade da noi a Roma, sono sicuro nessuno :lol:!


    Un saluto!
     
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  6. federica68
     
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    CITAZIONE (x_LUIS_x @ 10/12/2008, 14:13)
    b) Federica: touchè anche a te! Non ho molto capito solo l'incongruenza della neve sulle auto (in mancanza di spazzaneve). Chi la toglie la neve dalle auto in sosta se si accumula sul tetto e ai lati?

    gli sfigati proprietari delle macchine, che come ti dicevo, in caso di neve devono essere provvisti di pala portatile in macchina.

    ci sono stati casi di auto talmente sommerse dalla neve che non sono state spostate fino a Marzo! In certi parcheggi succede, gli spazzaneve ammucchiano la neve al centro del parcheggio, e qualche volta (anche se di rado) sotto al mucchio c'è la macchina di qualche sfigato
     
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  7. VdB
     
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    CITAZIONE
    Fatto sta che la sera della Vigilia di Natale (e sono passati solo sette giorni da allora!)

    Solo per la cronaca, sette giorni dopo la vigilia è il 31 dicembre… A mezzanotte non si dovrebbe festeggiare il capodanno?
    Te lo dico perché ho letto il racconto ma ho letto anche che lo devi modificare… allora preferisco attendere per esprimere un giudizio, però intanto questa segnalazione te la faccio.

    Ps
    SPOILER (click to view)
    Magari chissà, potresti enfatizzare proprio il fatto che è capodanno, sta per nevicare di nuovo, la gente "della strada" è in fermento, la polizia ha paura di nuovi disordini e proteste... e il giornalista è lì proprio perché ci si aspetta un'altra ricomparsa della Dea in occasione del Capodanno.
    Ciauz
    Van
     
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  8. Diz-buster
     
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    Divertente, malinconico e terribilmente attuale.
    SPOILER (click to view)
    Bella l'idea della neve, protagonista nel creare la giusta atmosfera e usata come mezzo non violento, ma di sicuro effetto, della rivolta.
    E' proprio la neve la "Vera" Dea della stazione............. :sisi: :sisi: :sisi:

    Ho votato 4.
     
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  9. shivan01
     
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    anche perché la stazione Termini con la neve non la vediamo dal 1984
     
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  10. VdB
     
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    OT open mode
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    anche perché la stazione Termini con la neve non la vediamo dal 1984

    Il 6 gennaio del 1985 per la precisione. Lo dico perchè c'ero (purtroppo). :)

    OT close

    Edited by VdB - 11/12/2008, 11:17
     
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  11. shivan01
     
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    ecco sì, quell'inverno lì. ricordo che uscimmo con la panda di un amico, che aveva la patente da 10 minuti e facemmo un incidente dopo 3 metri :asd:
     
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  12. federica68
     
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    CITAZIONE (shivan01 @ 11/12/2008, 11:16)
    ecco sì, quell'inverno lì. ricordo che uscimmo con la panda di un amico, che aveva la patente da 10 minuti e facemmo un incidente dopo 3 metri :asd:

    :asd:
    fantastico!
     
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  13. Diaphane
     
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    Ciao!
    Mi è piaciuto molto il tuo racconto, il finale, soprattutto, mi ha colpito veramente... :)
    Quello che mi sento di dirti, però, è che, forse, dovresti ridargli un'occhiata... Il racconto di Nemo all'inizio mi sembra un po' troppo lungo con tutta la descrizione che fa, e in generale ho trovato parecchi (troppi?) incisi che mi hanno costretta più volte a rileggere certe frasi...
    Al di là di questo, la storia si apprezza veramente :)
    Ti ho dato un 3 (ma pieno!! ^_^ )
     
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  14. x_LUIS_x
     
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    Grazie Diaphane, grazie Diz, grazie davvero!
    Grazie a VdB che mi ha fatto capire che stavo ambientando una storia tra mortaretti, castagnole e tricche tracche senza neanche accorgermene :cry: !
    Ho dato qualche ritocco seguendo quasi tutti i vostri consigli anche se difficilmente riuscirò nell'intento di collassare la storia accorciando e sfoltento (e chi gliela fa!).
    Può darsi che qualche ritocco lo darò ancora, sempre entro il tempo utile!
    Un saluto!
    L!!!
     
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  15. VdB
     
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    Il mio voto è quattro.
    SPOILER (click to view)
    Le imperfezioni ci sono, alcune ripetizioni o frasi ridondanti
    per esempio:
    CITAZIONE
    una schiera di auto blu irruppe a Piazza dei Cinquecento ad alta velocità rischiando di investire quelli che si erano posizionati alle prime file poco oltre la zona delimitata per il pubblico.

    però il quattro è motivato dalla bella idea della rivolta con la neve, una semplice palla che diventa valanga... L'atmosfera che hai saputo ricreare compensa le pecche segnalate anche da altri, e quindi non mi ripeto. Fra tutti i racconti di questo mese il tuo è quello che sicuramente mi rimarrà più impresso. e credo che questo sia un gran pregio.

    Ciao e a rileggerci
    Van
     
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22 replies since 5/12/2008, 23:41   602 views
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