Sierra Leone
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Sierra Leone

di Federica Maccioni-13.600 battute ca-genere: ?

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  1. federica68
     
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    ok ragazzi, mi butto nell'arena per prima, così rompo il ghiaccio.


    Sierra Leone

    Non so il mio nome.
    Nella foresta mi chiamavano Ghepardo, perché sapevo colpire e fuggire silenzioso come un ghepardo.
    Mi ricordo poco della vita di prima.
    Una notte sono arrivati dei soldati. Gridavano, minacciavano con i fucili. Il padre di un mio amico era il capo villaggio: ha chiesto cosa volevano ma non mi ricordo cosa hanno risposto; poi ha ordinato di andarsene e loro hanno sparato. La sua testa è esplosa. L'hanno lasciato per terra, mentre la moglie urlava e si graffiava la faccia. Allora hanno sparato di nuovo, e lei è caduta.
    C'era sangue dappertutto e il mio amico aveva gli occhi spalancati, sembravano più grandi della testa.
    Gli uomini hanno cominciato a far uscire i bambini dalle capanne, e sparavano a tutti quelli che chiedevano qualcosa. Hanno sparato anche a mio papà. Lui è chiuso dentro di me, ora. Non lo faccio mai uscire perché non devo piangere. Io sono il Ghepardo, e i ghepardi non piangono.
    Ci hanno presi, noi bambini. Anche mia sorella piccola e il mio amico, e ci hanno portati via.

    Siamo arrivati a un accampamento nella foresta, e ci hanno ordinato di sistemarci nelle tende. Poi qualcuno ci ha dato del latte. Doveva esserci qualcosa dentro, aveva un sapore strano, ma dopo averlo bevuto ci siamo sentiti bene, più leggeri. Allora i soldati hanno detto: “Adesso vi insegniamo a sparare”.
    Siamo andati in uno spiazzo dove c'erano delle assi piantate a terra, e dovevamo immaginare che quei pezzi di legno fossero gli uomini che avevano ucciso i nostri genitori; a noi sembrava quasi vero, quando ci pensavamo. “Ammazzateli”, ci hanno detto.
    Il fucile pesava: la prima volta che ho sparato mi ha spinto indietro, sono caduto e tutti gli uomini hanno riso. Ma poi ho capito come si fa e non sono più caduto.
    Dovevamo centrare dei cerchietti disegnati sulle assi. Io li bucavo tutti, nessuno era più bravo di me. Ho imparato a usare anche il machete, il pugnale e tutte le altre armi.
    Dopo un po' di tempo hanno cominciato a portarci a combattere. Ci davano il latte prima, e dopo averlo bevuto noi ci sentivamo forti come elefanti e feroci come leoni, e andando in battaglia urlavamo e la gente aveva paura.
    Quando ho ucciso il mio primo nemico non mi è piaciuto. Ho vomitato e i soldati hanno riso di me. Da allora il mio latte aveva un gusto più forte. La nausea non mi è più venuta, e quando mi veniva non ci facevo caso. Però quando tornavo al campo dovevo lavarmi le mani tante volte, perché erano sporche di sangue e non si pulivano mai. Mi lavavo anche le orecchie perché non riuscivo a togliere le urla che ci restavano dentro.
    Poi piano piano ho imparato a non far entrare le grida nella mia testa e a non sporcarmi le mani. Non so come ho fatto: è successo da solo. Allora hanno cominciato a chiamarmi Ghepardo, e quando tornavamo al campo mi facevano festa perché avevo ucciso tanta gente. Mi facevano bere la birra e una volta mi sono ubriacato e tutti mi davano pacche sulle spalle e ridevano, ma sono stato malissimo per due giorni, dopo.
    Durante un'azione il mio amico è morto. Io l'ho visto, era vicino a me. Era pieno di sangue e aveva gli occhi grandi come quando ci avevano portati via. Poi ha smesso di respirare.
    Vedevo poco mia sorella, perché stava in una tenda con le altre ragazze e i soldati non volevano che maschi e femmine parlassero tra loro. Però una notte lei mi ha svegliato. Piangeva, piangeva. Non si fermava più. Mi sono alzato e ho visto tanto sangue che le colava giù per le gambe, ma non mi ha voluto spiegare il perché.
    L'ho accompagnata al fiume e le ho detto di pulirsi bene per vedere dove era ferita e se era grave; allora lei ha smesso di piangere e mi ha detto che era stato il comandante del nostro gruppo. L'aveva svegliata, le aveva detto di seguirlo. Poi le aveva fatto male, tanto, e le aveva detto che da ora in avanti lei doveva dormire tutte le notti nella sua tenda. Ma quando lui si era addormentato era fuggita senza farsi sentire, ed era venuta da me. Aveva paura, non voleva che lui le facesse male ogni notte.
    “Portami via”, mi ha detto. “Dormono tutti, andiamocene”.
    Allora le ho preso la mano e siamo corsi via nella foresta. Le sentinelle non si sono accorte di niente, perché io sono il Ghepardo, e nessuno sa muoversi silenzioso come me.

    Cercavamo un villaggio di cui i ragazzi più grandi del nostro battaglione parlavano sempre: dicevano che là c'erano degli uomini che aiutavano i bambini quando non volevano più fare la guerra. Io sapevo che un ragazzo che tutti chiamavano Cobra era scappato per andarci, e prima di fuggire mi aveva spiegato la strada. Non so come faceva a conoscerla, ma era grande, e i grandi sapevano sempre più cose di noi piccoli.
    Dopo due giorni siamo arrivati. Cobra era là. Era più grasso, e ci ha abbracciati quando ci ha visti. C'erano tanti altri bambini che ci hanno detto di essere stati soldati anche loro.
    Gli adulti ci hanno dato da bere, da mangiare, da lavarci. Alcune donne hanno portato via mia sorella e quando è tornata era pulita e pettinata, non aveva più addosso la divisa mimetica, ma un vestito colorato come quelli che usava mia madre. Una delle donne la teneva per mano e le sorrideva.
    C'erano anche alcuni uomini bianchi, la nostra gente ha detto che erano dei guaritori. Mi hanno portato in una stanza tutta bianca e un uomo con un vestito bianco mi ha fatto spogliare. Ha detto che doveva visitarmi, mi ha appoggiato un pezzetto di ferro freddo sul petto e io dovevo respirare con la bocca aperta. Poi mi ha dato una maglietta pulita e un paio di pantaloni.
    I primi tempi mi veniva voglia di bere quel latte che ci davano nella foresta, ma qui non ce n'era. Una volta mi sono buttato per terra, mi strappavo i capelli e non riuscivo a smettere, perché volevo il latte. Allora mi hanno fatto una puntura e dopo sono stato meglio. Poi è passato, e il latte non mi è venuto più in mente.
    Stavo sempre con Cobra, mia sorella e gli altri ragazzi. Un bambino di nome Akin mi ha insegnato a giocare a pallone e siamo diventati amici. Non avevo mai giocato a pallone.
    Spesso però ci veniva voglia di vedere il sangue e di uccidere, allora ci picchiavamo forte fra noi, e una volta un ragazzino ha ferito una bambina. Gli adulti non si sono arrabbiati, ma sono diventati molto tristi e gli hanno spiegato che ora non era più nella foresta e che nessuno gli era nemico.
    Poi quel ragazzo non ha più picchiato nessuno e qualche volta l'ho visto piangere anche se è più grande di me. Io invece non piango mai, perché sono il Ghepardo.
    Ma anche a me piano piano la voglia di uccidere è passata. Forse sarà stato perché ogni giorno ciascuno di noi parlava con quei guaritori; ci facevano raccontare tutto quello che ricordavamo, e dopo ci sentivamo meglio. Anche mia sorella stava meglio, e la notte non si svegliava più urlando per la paura del capitano che le aveva fatto male.
    Qualcuno dei bambini che c'erano al villaggio era senza gambe, andava in giro su una sedia con delle ruote. Mi hanno spiegato che era per colpa delle mine, e io sono restato stupito, perché sapevo che cosa sono le mine e come sono fatte; una delle prime cose che ci hanno insegnato al campo è che vanno lasciate dove si trovano e non toccate per nessun motivo. Quei bambini non lo sapevano, le hanno viste belle e colorate e volevano giocarci, così sono saltati sulle mine.
    Pochi giorni dopo che siamo arrivati, i bianchi hanno fatto una cosa stranissima.
    Tutti li guardavamo a bocca aperta, perché hanno messo delle luci colorate su un albero finto. Non avevo mai visto alberi fatti così e con tutta quella roba brillante sopra. Gli adulti si divertivano, legavano ai rami palline colorate e nastri luccicanti. Akin mi ha spiegato che era per il Natale. Lui era qui da tanto tempo, e l'aveva già visto due volte. Il Natale è una festa che fanno i bianchi, ed è il compleanno di un bambino che è nato più di duemila anni fa, mi ha spiegato.
    “Ma allora non è più un bambino, è un vecchio vecchissimo”, ho detto io.
    Gli adulti hanno riso, ma non come ridevano i nostri comandanti al campo. Quelle erano risate che facevano male dentro. Adesso invece era venuto da ridere anche a me. Era bello vedere che la mia gente aiutava i bianchi a preparare l'albero: dicevano che a Natale avremmo fatto festa con loro.
    Però quel bambino di duemila anni mi ha dato da pensare per molti giorni e molte notti. Poi ho chiesto spiegazioni. Akin non sapeva niente di lui, allora siamo andati da una ragazza con i capelli biondi e gli occhi del colore del cielo, che si chiama Marcella. Lei ha detto che no, non è più un bambino, è diventato grande ed è stato ucciso perché diceva che gli uomini sono tutti uguali, e che i ricchi devono dividere con i poveri quello che hanno, e che bisogna aiutarsi l'uno con l'altro come fratelli. Ha raccontato anche che lui voleva molto bene alle donne e ai bambini, e che diceva che esiste un posto bellissimo dove tutti gli uomini che restano bambini nel cuore andranno dopo morti. Marcella ha spiegato che dei soldati l'hanno ammazzato come a quel tempo si ammazzavano gli schiavi ribelli, appendendolo a un pezzo di legno con dei chiodi nelle mani e nei piedi e lasciandolo soffocare piano piano quando non è più riuscito a tenersi su con le gambe.
    “I miei comandanti non hanno mai pensato a far fuori la gente così”, ho detto io, “eppure di modi me ne hanno insegnati tanti”.
    La ragazza mi ha abbracciato e non ha detto nulla.
    Poi ne ho parlato con mia sorella, e lei è rimasta colpita dalla faccenda che tutti gli uomini sono fratelli: ha detto che il capitano che le ha fatto male quella notte non sarà mai suo fratello. Io ho pensato che neanche i nostri ufficiali potranno mai esserlo.
    Una volta ho chiesto a Marcella che cosa c'entra un albero colorato con un uomo saggio ucciso in quel modo, ma lei ha detto solo che da loro si usa così.
    Poi una sera ci hanno spiegato che quella notte era Natale, e i bianchi hanno voluto fare davvero festa con tutti quanti noi, adulti e bambini. La roba da mangiare era più buona del solito, e c'era anche del vino che faceva le bolle, ma io non l'ho bevuto perché non volevo ubriacarmi di nuovo. Ci hanno dato dei pacchettini colorati, uno ciascuno, a noi ragazzi. Dentro c'erano dei quaderni e delle matite colorate.
    Il giorno dopo ho cominciato a disegnare. Disegnavo tutto quello che mi ricordavo della mia vita nella foresta con i soldati. La matita rossa e quella nera si sono consumate in fretta. Marcella mi chiedeva spesso di farle vedere i miei disegni e spiegarglieli. Ogni volta vedevo che piangeva di nascosto.
    Io, intanto, pensavo sempre a quello che aveva detto quell'uomo ammazzato sulla croce, così si chiama il legno dove l'hanno appeso: che gli uomini che restano bambini nel cuore vanno in quel luogo bellissimo dopo morti, e non capivo. Perché dopo morti? Perché non possono andarci da vivi? E poi, che vuol dire bambini nel cuore?
    Ci ho pensato spesso, ed è passato del tempo.
    I bianchi hanno tolto le luci dall'albero finto e sono andati a curare altra gente in altri villaggi, ma io e mia sorella siamo restati qui. Marcella mi ha regalato una delle palline colorate che erano attaccate all'albero strano, e quando la guardo penso a quell'uomo di duemila anni fa e a tutte le cose che ha detto.
    Prima di andarsene, i guaritori bianchi hanno insegnato alla mia gente a curare le malattie con le loro medicine, che sono diverse da quelle degli stregoni. Gli sciamani le usano tutte e due, per essere più sicuri, però. Ogni tanto i bianchi tornano a trovarci, e io ho rivisto spesso Marcella. Qualche volta si sono fermati molto tempo con noi, e abbiamo parlato tanto; sono contento quando Marcella viene al villaggio.
    C'è anche una donna che ci fa da mamma, il suo nome è Hawa. Lei ci ha detto che il villaggio adesso si chiama centro di prima accoglienza. Non so cosa vuol dire, ma ogni giorno arrivano bambini, qui. Alcuni con le divise da soldato come me e mia sorella, alcuni sono feriti, senza gambe, senza occhi, senza braccia. Molti muoiono e io penso che loro ci vadano, in quel posto bellissimo. Loro ce l'hanno, il cuore da bambini. Anche il mio amico deve esserci andato, quello che è morto nella foresta, il figlio del capo villaggio.
    Ma io voglio andarci da vivo. L'ho detto a Marcella, e un giorno le ho chiesto anche se non possiamo provare a costruirlo noi, per poi andarci tutti insieme. Quella volta, lei ha sorriso e ha detto che qualcuno ci ha provato. Mi ha fatto vedere delle foto di un uomo che aveva la pelle scura come me, che è stato ucciso anche lui, come Gesù, l'uomo della croce. Lui si chiamava Martin ma non l'hanno appeso alla croce: gli hanno sparato. Poi lei mi ha dato delle altre foto, un uomo avvolto in un vestito bianco, con piccoli occhiali rotondi. Si chiamava Gandhi. Anche lui ci ha provato, ma hanno sparato pure a lui.
    Allora, anche se sono il Ghepardo, ho deciso che non sparerò mai più.
    Mi sa che non serve, però, perché quando arriva qualche ragazzino nuovo, capisco che i bambini continuano a morire e saltare sulle mine. Capisco che gli adulti continuano a obbligarli a uccidere la gente, come hanno fatto con me e mia sorella. Capisco perché hanno sparato a Martin e a Gandhi, e messo Gesù sulla croce: perché nessuno lo vuole, quel posto bellissimo, qui, sulla terra.
    Se no, lo avrebbero già costruito.

    Edited by federica68 - 15/12/2008, 21:27
     
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  2. Piscu
     
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    ti ho dato 3.

    piaciuto. ero dubbioso finché non è emerso il natale, perché mi pareva che la storia non approdasse a nulla. invece acquisisce un bel significato, dopo.




    un paio di appunti:

    CITAZIONE (federica68 @ 1/12/2008, 21:42)
    Gli adulti hanno riso, ma non come ridevano i nostri comandanti al campo. Quelle erano risate che facevano male dentro.

    il "quelle" è ambiguo, può riferirsi ad entrambe le risate. alla prima lettura infatti io l'ho associato a quelle dei missionari.


    CITAZIONE (federica68 @ 1/12/2008, 21:42)
    “I miei comandanti hanno mai pensato a far fuori la gente così”

    manca un "non".


    e poi un dubbio che mi è venuto: in sierra leone ci sono i ghepardi e gli elefanti? ammetto di non saperlo io stesso, ma l'ambiente della savana è abbastanza presente da poter essere conosciuto da un ragazzino senza alcuna istruzione?
     
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  3. shivan01
     
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    Ciao!
    Altra storia delle tue, pregna di un sentimento che descrivi con mestiere e trasporto, cosa che pochi in questa comunità fanno con risultati paragonabili.
    Brava.
    Il voto è 4, anche perché le imprecisioni che ti segnalo in spoiler non so se sono volute e in quale misura.
    Ciao

    SPOILER (click to view)
    Nella foresta mi chiamavano Ghepardo, perché sapevo colpire e fuggire silenzioso come un ghepardo
    ripetizione

    Il padre di un mio amico, era il capo villaggio; ha chiesto cosa volevano, non mi ricordo cosa hanno risposto
    frase troppo spezzettata

    gli occhi spalancati, grandi, sembravano più grandi della testa
    ripetizione forse voluta, ma evitabile

    e sparavano a tutti quelli che chiedevano qualcosa. Hanno sparato anche a mio papà. Il mio papà è chiuso dentro di me, ora
    doppia ripetizione. Anche qui forse volute, ma evitabili

    Il fucile pesava: la prima volta che ho sparato, mi ha spinto indietro. Io sono caduto, e tutti gli uomini hanno riso. Ma poi ho capito come si fa, e non sono più caduto
    frase spezzettatissima, pesante da leggere.

    ce ne sono altre così. Conoscendo la cura che metti nei tuoi lavori, ti chiedo un paio di cose. Lo stile è semplice semplice: è dovuto al fatto che parla il bambino? Le ripetizioni e le frasi a smozzico le devo leggere con questa chiave d'interpretazione?



    ciao!
     
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  4. federica68
     
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    @piscu:
    grazie per il commento e le segnalazioni. Non so che fauna ci sia in Sierra Leone, ma tieni conto che sono gli adulti ad aver dato il nome dio battaglia al bambino, e quindi potrebbe essere verosimile che gli abbiano spiegato cos'è un ghepardo; allo stesso modo avrebbero potuto incitare i ragazzi quando li mandavano al massacro, per drogarli, con immagini, tipo, "bevete questo, vi farà sentire come dei leoni, dopo non vi fermerete davanti a niente, peggio degli elefanti", robe così, e magari avergli detto cosa sono elefanti e leoni anche in altri contesti, credo.

    Nicola: grazie! Guarda, ho avuto delle difficoltà non da poco a tenere un linguaggio dal vocabolario limitato e poco articolato.
    Il ragazzino in sostanza racconta come un testimone orale, perciò usa costrutti semplici e ripetitivi. Ne ho tolti già un casino!! Adesso vedo di togliere anche quelli che mi segnali. Il fatto che sia smozzicato è perchè lui rivive i suoi traumi, e parla a singhiozzo, di getto, non costruisce frasi molto articolate. Ma in effetti posso rendere il tutto più fluido.
    È che una prima versione che avevo scritto più fluida, era poco verosimile per un bambino nella sua situazione, ma mi sa che posso trovare una via di mezzo... ora ci provo


    grazie a tutti e 2
     
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  5. Okamis
     
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    Visto che le uniche segnalazione "tecniche" che avrei da segnalare sono state già dibattute da chi mi ha preceduto, passo subito al succo della questione :)

    Voto: 3.

    Stilisticamente trovo il racconto molto valido, soprattutto nel suo saper riprodurre in maniera corretta il modo di parlare di un bambino analfabeta. L'unica ragione per cui non ti dò 4 è per via della caratterizzazione psicologica del bambino. In pratica in tutte le sue azioni subisce le decisioni altrui, il che se nella prima parte è anche abbastanza logico, nella seconda (ovvero a partire dalla richiesta di fuga della sorella) mi pare leggermente forzata la cosa. Nello specifico, per tutto il racconto il protagonista non mette mai in discussione i nuovi insegnamenti ricevuti nel centro di prima accoglienza. A parte questo, ripeto, si tratta di un buon racconto.

    PS: in verità un passaggio l'avrei reso in un altro modo, ma è proprio un'inezia ;)
    Da...
    CITAZIONE
    Poi piano piano ho imparato a non far entrare le grida nella mia testa e a non sporcarmi le mani: non so come ho fatto, è successo da solo.

    a...
    CITAZIONE
    Poi piano piano ho imparato a non far entrare le grida nella mia testa e a non sporcarmi le mani. Non so come ho fatto: è successo da solo.

     
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  6. federica68
     
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    [QUOTE]
    CITAZIONE (Okamis @ 2/12/2008, 23:00)
    per via della caratterizzazione psicologica del bambino. In pratica in tutte le sue azioni subisce le decisioni altrui, il che se nella prima parte è anche abbastanza logico, nella seconda (ovvero a partire dalla richiesta di fuga della sorella) mi pare leggermente forzata la cosa.

    perchè?
    è un bambino. Tieni conto che i bambini soldato hanno dai 5 anni in su, raramente arrivano ai 12, bambini di quell'eta non prendono decisioni. In realtà, è il fatto che sia fuggito che è strano... anche se nei reacconti dei volontari delle ong si parla di bambini anche molto piccoli che arrivano ai centri da soli o in gruppetti, fuggendo dalle zone di combattimento, quindi qualche fuga c'è.

    CITAZIONE
    Nello specifico, per tutto il racconto il protagonista non mette mai in discussione i nuovi insegnamenti ricevuti nel centro di prima accoglienza.

    Non gli danno insegnamenti, ma informazioni, che sono cose molto diverse.
    Credevo fosse chiaro.
    I medici fanno l'albero e fanno festa con loro, ma parlano di Cristo solo se i bambini chiedono e solo per spiegare perchè fanno l'albero. Infatti l'amichetto non sa nulla di Cristo, anche se si trova là da anni, evidentemente non ha mai chiesto niente, e i medici non fanno proselitismo religioso, ma curano i bambini (una specie di Medici senza Frontiere, o di Emergency).
    Poi il protagonista è un bambino, ripeto. Non può ragionare come un adulto, o come un adolescente. Il linguaggio che usa è di un bambino di non più di 8-9 anni, deve per forza ragionare come un bambino di quell'età, e a quell'età non mettono in discussione quello che gli adulti dicono.
    Inoltre è un bambino traumatizzato da esperienza tremende. Quando un bambino così trova una figura adulta di riferimento, mette ancora meno di prima in discussione quello che l'adulto dice. Tutt'altro. Lo prende per oro colato. OT on(Fra l'altro questo è il motivo per cui non bisogna mentire ai bambini per nessuna ragione e neppure sulle cose insignificanti, e ogni educatore lo sa. Il che non vuol dire usare un linguaggio che non possono comprendere, ma dirgli sempre la verità su qualunque cosa chiedano, anche se con parole semplici). OT off.
    Fra l'altro, la volontaria (che non è una suora, ma una psicologa, infatti vuole vedere i suoi disegni e farseli spiegare, cosa che gli piscologi fanno in caso di traumi in bambini molto piccoli, anche se il protagonista non può saperlo) gli dà notizie storiche su Cristo, e non religiose. Non c'è ragione perchè lui metta in discussione delle notizie storiche. Chiede spiegazioni, questo sì, ma questo è detto nel racconto. L'unica cosa che Marcella gli dice di "religioso" è il concetto di paradiso, ma è una religiosità molto blanda, appena accennata, e glielo riporta subito nella Storia, infatti non gli dà immaginette di santi o roba simile, ma gli parla di Gandhi e di Martin Luther King. Non vedo ragione perchè lui dovrebbe mettere in discussione figure storiche che per lui rappresentano quello che non ha mai avuto: un mondo di pace. Cerca invece di imitarli.
    Fra l'altro, il bambino mette eccome in discussione l'unica nozione religiosa ricevuta, il paradiso dopo la morte. Dice chiaro che lo vuole qui, adesso, da vivo.

    se questa cosa non è chiara, è un casino, perchè tutto il racconto si basa su questo...



    comunque grazie per il voto e il commento positivo
    vado a sistemare la cosa che mi hai segnalato, in effetti va meglio come dici tu

    grazie ancora
     
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  7. Okamis
     
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    Nella brevità del mio commento temo di essere stato frainteso. Quello che intendevo non è assolutamente che il protagonista debba ragionare come un adulto, anzi. Ma andiamo con ordine...
    Hai scritto che i soldati danno delle informazioni al bambino più che degli insegnamenti, il che è verissimo. Ma a mio modo di vedere è altrettanto vero che un bambino di quell'età vede le informazioni come degli insegnamenti. Volendo fare un paragone natalizio (visto il tema ;) ), è come quando si dice a un bambino che Babbo Natale esiste. Poi arriva qualcun altro che gli dice l'esatto contrario. Credi che il bambino passerebbo da un "credo" all'altro senza porsi domande o anche senza obbiettare al secondo venuto? Io non credo, ma forse questa è solo una mia sensazione. Poi, poco alla volta, magari si può riuscire a fargli cambiare idea, ma in mezzo ci sarà un percorso.
    Per dirla in altre parole, non intendevo criticare la "passività" del protagonista (come hai detto pure te, è pur sempre un bambino) quanto la quasi totale assenza di un percorso intermedio tra la prima e la secoda parte. Ho avuto la sensazione che il passaggio sia stato troppo repentino, come se in mezzo mancasse qualcosa. Ma, ripeto, forse è solo una sensazione personale :)
     
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  8. federica68
     
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    non avevo visto la cosa sotto qs aspetto

    ci penserò
    grazie ;)
     
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  9. esimon
     
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    Ciao Fede :)
    mi è piaciuto, scritto bene e storia interessante. L'unico appunto è che la trama a mio parere scorre senza scossoni, potrebbe diventare ancora migliore. per questo non arrivo al 4, ma ciò non toglie che è un ottimo racconto.
    Ciao
    Simone
     
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  10. federica68
     
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    ciao Simone!
    grazie :P
     
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  11. Diaphane
     
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    Ciao Federica...
    A me il racconto è piaciuto veramente molto, brava perché descrivi una realtà terribile e lo fai con il linguaggio, vero, di un bambino... I miei complimenti, credo di non aver ancora letto nessuno che sia capace di fare questo...

    L'unico appunto che mi senti di dirti è che ho trovato un pochino brusco il passaggio dalla prima alla seconda parte, il momento della fuga intendo... Magari era intenzionale, ma mentre leggevo ho sentito come una stonatura...

    Il mio voto era fra il 3 e il 4, ma ho optato per il 4 perché trovo veramente apprezzabile il linguaggio che hai usato...
    Ancora complimenti! :)

    SPOILER (click to view)
    "ma non mi voluto spiegare il perché"
    credo che sia una svista
     
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  12. federica68
     
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    ciao Diaphane
    grazie per l'apprezzamento e per il giudizio positivo
    parlare come un bambino è stata la difficoltà più grande, credimi.
    Usare un vocabolario limitato e semplice non è facile. Ho letto anche varie testimonianze che si trovano sui siti di ong per cercare di cogliere il "modo" che hanno questi bambini di parlare della loro esperienza, e spero di essere riuscita a rendere la cosa meglio che ho potuto...

    per il passaggio un po' brusco l'avevo pensato anch'io, mentre lo rivedevo, ma ho provato ad aggiungere delle parti e mi pareva che il tutto perdesse immediatezza. In effetti i 2 bambini non premeditano la fuga, ma colgono l'occasione, e solo dopo il fratellino si ricorda di quello che gli aveva detto l'altro ragazzino.

    devo valutare se rendere il passaggio più fluido, credo, ma soprattutto "come"...

    grazie ancora per il suggerimento. Vado a sitemare la svista, grazie anche di quello
     
    .
  13. VdB
     
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    Il mio voto è tre (stretto).
    SPOILER (click to view)
    Il tuo stile si è adattato alla situazione, lo scritto è denso di significati, buona la trovata di partire da una denuncia sui bambini-soldati per concludersi sui valori di religione-fratellanza. Il racconto mi è piaciuto, il messaggio coglie in pieno lo spirito di un mondo migliore. Brava.
    Quel che invece mi lascia indeciso e mi fa scendere di voto (sarebbe un due e trequarti arrotondato in eccesso) è la scelta di calarti nei pensieri di un bimbo “selvaggio”. Non so bene come potrebbe parlare un bambino cresciuto in quelle condizioni. Sono però certo che non lo farebbe nel modo con cui lo hai fatto tu. Non è un giudizio severo il mio, è solo constatazione, credo che i dubbi al riguardo siano gli stessi che avrai affrontato quando hai scelto di narrare questa storia. Sei stata coraggiosa a farlo. Io, da lettore, sapevo che non stavo leggendo le parole di “quel” bimbo (starai dicendo e bravo str... ehm... furbo, questo ce lo sapevo anche io... :P ). Avevo pensato a qualche riferimento finale a una possibile scolarizzazione del ragazzo (gli stanno insegnando a scrivere e questo è una sorta di diario\tema). Poteva essere un espediente per sopperire alla difficoltà del realismo. Non l’ho trovata.
    Ti faccio alcuni esempi:
    CITAZIONE
    dove c'erano delle assi piantate

    Le assi?
    CITAZIONE
    ucciso il mio primo nemico

    secondo me non direbbe nemico, parlerebbe della tribù\etnia contraria (non conosco la Sierra Leone, ma per intenderci qualcosa tipo hutu\tutsi del Rwanda)
    CITAZIONE
    dovevo lavarmi le mani tante volte

    In Africa con la carenza d’acqua in un campo della guerriglia? Tipo la mamma che dice al figlio:vai immediatamente a lavarti le mani! :D

    Insomma ce ne sono altre di espressioni o modi di familiarizzare con il nostro mondo che mi stonano proprio. In particolare l’assenza anche solo di un accenno a una parola, modi di intendere di quel luogo.
    Spero non ne hai a male di questa mia analisi. Credo che il voto finale sia comunque congruente con gli sforzi da te fatti per scrivere un bel brano.
    ps credo che in Africa non ci sia la "figura" dello sciamano :)

    Ciao
    Van
     
    .
  14. federica68
     
    .

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    [QUOTE=VdB,5/12/2008, 14:57]
    CITAZIONE
    Non so bene come potrebbe parlare un bambino
    secondo me non direbbe nemico, parlerebbe della tribù\etnia contraria (non conosco la Sierra Leone, ma per intenderci qualcosa tipo hutu\tutsi del Rwanda)

    mah, guarda, nelle testimonianze che ho letto nei siti delle ong, parlano proprio di "nemico". I bambini vengono drogati e istigati all'odio, gli raccontano che è a causa del "nemico" se le loro famiglie sono state uccise. Se poi questo nemico ha anche una connotazione tribale, può darsi, ma a parte che non l'ho trovato, volevo mantenermi sul generico e usare il linguaggio che usano loro.
    CITAZIONE
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    dovevo lavarmi le mani tante volte

    In Africa con la carenza d’acqua in un campo della guerriglia? Tipo la mamma che dice al figlio:vai immediatamente a lavarti le mani! :D

    il campo si trova nella giungla, non tutta l'Africa è arida. Ho trovato molte testimonianze sul fatto che i bambini "vengono portati nella foresta", "nella foresta facevamo questo", "nella foresta ci dicevano quest'altro", e se ci fai caso, il campo si trova vicino a un fiume, dove il bambino porta le sorella a lavarsi.
    il lavarsi le mani è una reazione psicologica normale, ci sono varie persone che lo raccontano, quando si uccide una persona. Non lo si fa per igiene.

    CITAZIONE
    Insomma ce ne sono altre di espressioni o modi di familiarizzare con il nostro mondo che mi stonano proprio. In particolare l’assenza anche solo di un accenno a una parola, modi di intendere di quel luogo.

    è legittimo quello che dici, ci mancherebbe, ma tieni conto che questi bambini sono sradicati dalla loro cultura, e ripeto, drogati e istigati. I soldati pseudo governativi li usano come carne da macello, non si preoccupano certo di dargli indicazioni culturali.
    gli fanno usare armi da fuoco che sono come le nostre, e tutta la loro esistenza è finalizzata a uccidere ed essere uccisi con quelle armi, molto occidentali. Le droghe sono occidentali, e persino le divise mimetiche.
    Nelle testimonianze che ho letto(certo non le ho lette tutte, sarebbe stato umanamente impossibile, ma solo quelle che mi servivano per farmi l'idea di come parlano questi bambini e di che vita fanno) non ci sono indicazioni culturali specifiche di "africanità", solo rapimento dal villaggio/droga/istigazione alla violenza/violenza su di loro/morte, tutto molto universale direi
    Qualche volta il campo di qualche ong, allora il tutto viene fuori.
    CITAZIONE
    Spero non ne hai a male di questa mia analisi. Credo che il voto finale sia comunque congruente con gli sforzi da te fatti per scrivere un bel brano.

    ognuno vota e commenta come gli sembra più opportuno, non vedo perchè dovrei prendermela :woot:
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    ps credo che in Africa non ci sia la "figura" dello sciamano :)

    c'è, eccome
    è una figura importante, una sorta di anello di collegamento con gli dei, la cura delle malattie è una sorta di comunicazione/possessione dello sciamano (uomo o donna) con qualche dio ben specifico.
    A questo proposito ti consiglio la lettura del bellissimo libro
    "la sposa degli dei", di Kossi Komla Ebri, ed. dell'Arco. Molto bello e illuminanate, in presa diretta, rivelatore su quante idee preconcette abbiamo noi bianchi sull'Africa Nera...[/SPOILER]
    ciao ciao
     
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  15. VdB
     
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    User deleted


    Ciao fede scusa se ti rispondo di fretta. Magari invece che spiegarmi, farò peggio :)
    SPOILER (click to view)
    In merito al linguaggio:
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    nelle testimonianze che ho letto nei siti delle ong, parlano proprio di "nemico"...
    ...volevo mantenermi sul generico e usare il linguaggio che usano loro.

    Il punto è questo: è il linguaggio dei bambini o dei medici che raccontano le esperienze dei bambini?

    Per quanto riguarda la faccenda delle mani era riferita al fatto che penso sia un nostro modo di fare, se ci si lava al fiume lo si fa con altre modalità che non sciacquarsi le mani, ci si immerge o cose del genere. Questa è la mia convinzione, ma di certo mi sbaglio e non riesco a spiegare la mia interpretazione di ciò che fa il ragazzo (che avevo scherzosamente tradotto nel gesto che un bambino, andato fuori a giocare, fa nel lavandino di casa sotto la minaccia della mamma).
    Sullo sciamano intendevo non che non esista in quanto “stregone” e in ciò che fa, ma nel “termine” stesso che fai dire al ragazzo. Nella prefazione del libro che mi hai segnalato ho trovato questa frase.
    CITAZIONE
    Le malelingue dicono che è vittima dei vodù di suo zio, l'hunò Briyawo.

    Intendevo questo per dare alla storia termini e espressioni del posto…

    Ciao grandissima!! A rileggerci.
    Van
     
    .
35 replies since 1/12/2008, 21:42   565 views
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