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Non sono un maniaco
Alcune persone meritano la sofferenza, quasi la cercano. Io sono qua per loro, sono la cura che questa società gli impone. Sono l’angelo della notte, che sorveglia la città. Io non odio nessuno, e garantisco che non mi diverto neanche. Faccio solo ciò che devo. Però, tanta abnegazione al compito si paga cara. Con la vita che faccio, non mi posso permettere amici. A dirla tutta, non mi posso permettere neanche di andare in discoteca o a cena fuori. Anche i pochi conoscenti che mi rimangono, mi guardano male. Inizio a essere sospettoso, sarà che dormo poco. Quando qualcuno mi guarda male, ho il terrore che sappia quello che faccio. In fondo, ho paura del giudizio degli altri; che mi considerino un sadico, uno che vive del dolore degli altri. È per questo che ho il mio travestimento, che mi fa sembrare uno studente sfigato, con la mia tracolla, che fa tanto impegnato di sinistra. Ma, al calar della notte, smetto i panni dell’universitario e indosso il completo da macello. Certo, adoro l’adrenalina. Mi annoia, invece, la ricerca. Ore e ore a girare in caccia o ad aspettare, smanioso di mettere in pratica la mia arte. Alcune volte non mi capita nessuno e mi ritiro nel mio buco, incazzato, per un’altra notte insonne. Resto solo, in compagnia dei miei incubi e delle mie preoccupazioni. Ieri notte, mi è capitato per le mani uno di questi stronzetti impasticcati del sabato sera. Ha ucciso un poveraccio in bicicletta, prima di accartocciarsi con la sua Golf intorno a un palo. L’ho trovato ancora al volante, tremante e impaurito. Gli ho fatto un lavoretto pulito, da manuale. Mi guardava con i suoi occhietti bovini ancora fatto, mentre gli segavo via le gambe. Poveretto, continuava a urlarmi: «Non voglio morire. Ti prego». Io non ho mai ucciso nessuno, non è certo questo quello che faccio. Io li lascio vivere. Al di là delle mutilazioni fisiche, la loro sofferenza è sapere che, in fondo, è solo colpa loro. Lungi da me giudicare, i conti li faranno con la loro coscienza. Un po’ mi dispiace per lui, ma certo mi dispiace di più per il poveretto che ha ammazzato. Dovrebbero pagarmi e anche tanto per questo servizio alla comunità. Ora però non ci voglio pensare, verrà un giorno in cui tutto questo mi tornerà utile. Solo, vorrei proprio capire quando. Viviamo in tempi bui, nessuno ti dà nulla, neanche se te lo sei meritato o hai fatto qualcosa per la società. Quando al mattino torno nel mio buco, provo repulsione per quello che faccio, per le grida e le lacrime, ma il mio carattere calmo e meticoloso non mi permette di abbandonare il mio compito, o rifugiarmi nel cinismo.
Oggi, invece, ho davanti a me un minchione di ragazzino che ha infierito a pugni su un bambino di sei anni. Avrà quindici anni. Sarà pure un bullo, ma per farlo smette di piangere, ho dovuto narcotizzarlo. Non amo essere disturbato, quando faccio il mio lavoro. Gli lego il braccio e lo immobilizzo. Taglio con precisione la pelle tra lo scafoide e il radio. Qui pratico una recisione pulita, in corrispondenza della base del polso. Il bastardo non sarà in grado di reggere neanche una piuma. Sono sicuro che questo gli insegnerà a tener ferme le mani. A volte sorrido da solo per le mie battute. La cosa che più mi pesa è dovermi nascondere agli altri. Non poter urlare a tutti quanto sono stufo. Non sopporto il suono ipocrita della mia voce, quando fingo con gli altri che va tutto bene. Mi credono un buono, uno gentile. Io, quando chiudo gli occhi, vedo solo sangue e membra staccate. A volte fisso le persone, immaginando già quello che gli farò se mi capitano sotto mano. Vedo un vigile al semaforo e già lo immagino sfregiato e senza un occhio. Vedo un parcheggiatore e lo trasformo in un paralitico, su sedia a rotelle. Ormai anche il mio portiere me lo immagino monco, senza braccia. Mentre sono immerso nei miei pensieri, mi si para davanti il padre del ragazzino. Un attimo di imbarazzo, poi metto su uno dei miei migliori sorrisi e dico: «Non si preoccupi, guarirà presto, gli dia un po’ di cioccolata. Ora è libero.» Lui mi ringrazia con l’aria un po’ afflitta, ma senza guardarmi. Un sorriso sprecato. Domani sarà diverso. Parlerò con il direttore della scuola di specializzazione e mi farò spostare dal pronto soccorso. Dopo tre anni di pratica o mi fa entrare in chirurgia d’urgenza o mollo tutto per fare il chirurgo estetico. Basta turni di notte in autoambulanza e soprattutto voglio essere pagato.
Scritto da Gaetano Rauseo
Edited by Pestorg - 4/9/2008, 00:28
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