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Visto che questo mese viene richiesto di scrivere un racconto breve breve, alla fine ho deciso di partecipare comunque (anche se in extremis), a dispetto di quanto detto l'ultima volta Spero vi piaccia. Poi, da domani vedrò di cominciare a leggere e commentare i racconti degli altri partecipanti (tendo a non farlo mai prima per evitare di venire influenzato).
Un uomo
L'uomo alzò la testa, incrociando lo sguardo con l'obbiettivo della telecamera che, immobile nell'angolo opposto della stanza, puntava su di lui. Restò a fissarla per alcuni secondi, certo che dall'altra parte qualcuno lo stesse spiando. Con il piede destro non la smetteva di tamburellare sul pavimento. Maledizione, per quanto tempo ancora avevano intenzione di farlo aspettare? L'uomo guardò l'orologio: le undici e mezza di sera. Ormai era in quella stanza da più di venti minuti senza che nessuno si fosse degnato anche solo di portargli un bicchiere d'acqua. Forse era uno dei loro giochini, un trucco per farlo crollare. Ma perché? Era stato lui a presentarsi per parlare, era lui quello che aveva bisogno d'aiuto! Da oltre la porta giunse un rumore di passi, accompagnato da alcune voci che discutevano. Ma il suono era distorto dalle pareti e così l'uomo non fu in grado di comprendere quanto veniva detto fino a quando la porta non si aprì. Le uniche parole che riuscì a cogliere furono un inutile “Ci sentiamo più tardi”. Il commissario entrò nella stanza, andandosi a sedere di fronte all'uomo. Tra le mani stringeva una cartelletta. La aprì, ordinandone il contenuto sulla superficie del tavolo. Erano decine di foto segnaletiche tutte dello stesso formato. Il commissario spinse le foto sull'altro lato del tavolo. Poi da una tasca interna della giacca tirò fuori un registratore e lo accese. «Le controlli con attenzione.», disse il commissario senza troppi preamboli. In fondo avevano già avuto modo di parlare approfonditamente nelle due ore precedenti. La cordialità dei primi minuti aveva ormai lasciato il posto al desiderio di finire quella faccenda il prima possibile. L'uomo cominciò a sfogliare le foto, lentamente. Non voleva rischiare di non riconoscere le persone cercate solo a causa di un diverso taglio di capelli. Gli ci vollero alcuni minuti primi di averle visionate tutte. «Riconosce qualcuno?», domandò il commissario. L'uomo annuì, andando a riprendere due foto che aveva messo da parte. «Questi.», disse, battendo l'indice sulle immagini. «Ne è sicuro?» «Assolutamente. Non potrei mai scordare quelle facce.» «Avrò bisogno di una sua dichiarazione ufficiale al riguardo. Ce ne occuperemo più tardi. Ora mi racconti di quando li ha incontrati.» L'uomo ci stette un attimo a pensare, massaggiandosi il mento ispido. «Il biondo è stato circa sei mesi fa... anzi, no, sette. Sì, sette mesi fa. Era da poco finito il periodo scolastico, lo ricordo bene. Il nero invece fu circa tre mesi più tardi.» «Dove?» «Il biondo fu al bar Haiti. Ha in mente, quello che si trova in via Luperini?» Il commissario fece segno di no con la testa. «È un peccato. Fanno un cappuccino da favola lì, con la schiuma alta e delle brioche che...» «Vada avanti.», lo interruppe il commissario. «Ah, sì, certo. Beh, vede, io in quel bar ci faccio colazione tutti i giorni. Ci passo intorno alle otto, prima di andare al lavoro.» «Lei lavora da quelle parti, giusto?» «Sì. Il mio studio si trova in via Ripamonti, a meno di cinquanta metri di distanza.» «Quindi quel locale per lei è un luogo abituale.» «Oh, certo. Mi conoscono praticamente tutti lì dentro. Sono cliente fisso da più di dieci anni, ormai.» «Ed è stato all'interno del bar che ha conosciuto i due nelle foto?» «Sì, ma solo il biondo, come le dicevo. Vede, in fondo al bar c'è un locale isolato con alcuni video-poker, un calcetto e uno di quei cosi – non so come si chiamano – quelli con un braccio meccanico con cui devi tentare di afferrare un orsacchiotto o un pallone. A volte, se mi capita di essere in anticipo sui miei orari, mi faccio una partita al video-poker, giusto per ammazzare il tempo. È stato così che ho incontrato il biondo la prima volta. Mi si avvicinò chiedendomi se avevo da scambiare alcuni spiccioli per il calcetto, tutto qua.» «Non fu lei a relazionarsi per primo, dunque?» «Io? No, no. No di certo. Comunque, come le stavo dicendo, il biondo mi chiese da scambiare un pezzo da cinque. Io gli diedi le monete e lui allora mi propose di fare il quarto al calcetto, visto che gli mancava un giocatore. È così che è cominciata.» «Quindi c'erano altre due persone?» «Sì, esatto.» «Gli altri due li vide solo in quell'occasione?» «No, anche le volte successive. Dove c'era il biondo, c'erano anche loro, sempre.» «E ci ha mai parlato con loro?» «Non molto. Era soprattutto il biondo quello che parlava. Gli altri se ne stavano in disparte, a chiacchierare tra di loro.» «E in quell'occasione di cosa parlaste?» L'uomo alzò le spalle. «I soliti discorsi inutili, quelli tipici fra persone che non si conoscono. Nulla che potesse mettermi in guardia su di loro. Alla fine della partita il biondo mi disse che loro erano lì praticamente tutte le mattine se mia andava una partita. Io però devo dire che prima di allora non li avevo mai notati.» «E l'altro, invece, come l'ha conosciuto?», domandò il commissario, indicando con gli occhi l'altra fotografia. «Intende il nero? Sempre tramite il biondo. Vede, dopo un po' di volte che c'incontrammo al bar, cominciammo a vederci anche fuori dal mio orario di lavoro, soprattutto nella zona del parco. A me faceva piacere avere qualcuno con cui chiacchierare un po'. Sa, non ho molti amici. La maggior parte delle persone che conosco sono colleghi o clienti del bar. Invece con il biondo era diverso. Mi sentivo bene con lui, a mio agio. E non mi capita spesso, glielo assicuro.» «Sì, ma tornando al discorso, come ha conosciuto l'altro?» «Al parco, gliel'ho detto. I due si conoscevano. Fu così che presi ad uscire con loro, a parlarci, a sapere cosa volevano.» «A sapere cosa volevano?», ripeté il commissario, aggrottando la fronte. «Sì. Vede, dopo un po' di tempo che ci frequentavamo, si andarono a rompere tutte quelle insicurezze delle prime volte. Non c'era più alcun imbarazzo o roba del genere. Senza che me ne accorgessi, cominciarono a parlarmi anche dei loro “segreti”, se capisce quello che intendo dire. Tanto che furono loro a parlarmene per primi. Io all'inizio non ci volevo credere. Insomma, mi sembrava impossibile. Ma loro erano così insistenti. Dicevano che non avevo le palle per farlo, mi deridevano, soprattutto il nero. Avevo paura di perderli, di tornare solo. E io avevo un disperato bisogno di loro... Ecco perché accettai. «Mi vorrebbe dire che sono stati loro a chiederglielo?» «Sì, proprio loro. Dio, se solo avessi saputo come sarebbe andata a finire...», disse l'uomo, prendendosi la testa fra le mani. Il commissario fece un sospiro. «Può bastare.» L'uomo alzò la testa. Vide il commissario spegnere il registratore, alzarsi e andare ad aprire la porta, per poi fare segno ai due agenti seduti lì vicino di entrare. «Continueremo la nostra conversazione domani.», disse il commissario. Poi, rivolto ai due agenti, ordinò loro di ammanettare l'uomo. L'uomo non oppose resistenza. Sin dal momento in cui era entrato nel commissariato di polizia l'aveva messo in conto. «Non volevo che finisse in questo modo.», disse, mentre il poliziotto alle sue spalle stringeva i due anelli d'acciaio attorno ai polsi. L'uomo fu spinto senza troppi riguardi fuori dalla stanza degli interrogatori. «Mi dovete aiutare!», gridò rivolto al commissario. «Non è stata colpa mia... non lo volevo. Mi avete capito? Io non lo volevo!» Il commissario rimase immobile. Aspettò che le parole dell'uomo venissero zittite dai due poliziotti. Poi prese dal tavolo una delle foto segnaletiche indicate dall'uomo. Il suo sguardo indugiò sul volto raffigurato, sui capelli biondi e il sorriso da chi la sa lunga. Girò l'immagine. Sull'altro lato erano presenti i dati anagrafici della persona raffigurata, il suo nome, la sua data di nascita. Aveva solo nove anni.
Edited by Okamis - 12/9/2008, 19:15
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